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giovedì 1 ottobre 2020

Mettersi al posto che Gesù ha scelto per sé


Parola di Vita - Ottobre 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11).

I Vangeli ci mostrano spesso Gesù che accetta volentieri gli inviti a pranzo: sono momenti di incontro, occasioni per stringere amicizie e consolidare rapporti sociali.
In questo brano del Vangelo di Luca, Gesù osserva il comportamento degli invitati: c'è una corsa ad occupare i primi posti, quelli riservati alle personalità; è palpabile l'ansia di emergere gli uni sugli altri.
Ma Egli ha in mente un altro banchetto: quello che sarà offerto a tutti i figli nella casa del Padre, senza "diritti acquisiti" in nome di una presunta superiorità. Anzi, i primi posti saranno riservati proprio a quelli che scelgono l'ultimo posto, al servizio degli altri. Per questo proclama:

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Mettendo al centro noi stessi, con la nostra avidità, il nostro orgoglio, le nostre pretese, le nostre lamentele, cadiamo nella tentazione dell'idolatria, cioè dell'adorare falsi dei, che non meritano onore e fiducia.
Il primo invito di Gesù sembra quindi quello di scendere dal "piedistallo" del nostro io, per non mettere al centro il nostro egoismo, ma piuttosto Dio stesso. Egli sì che può occupare il posto d'onore nella nostra vita!
È importante farGli spazio, approfondire il nostro rapporto con Lui, imparare da Lui lo stile evangelico dell'abbassamento. Infatti, metterci liberamente all'ultimo posto è scegliere il posto che Dio stesso ha scelto, in Gesù. Egli, pur essendo il Signore, ha scelto di condividere la condizione umana, per annunciare a tutti l'amore del Padre.

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Da questa scuola impariamo anche a costruire la fraternità, cioè la comunità solidale di uomini e donne, adulti e ragazzi, sani e malati, capaci di costruire ponti e servire il bene comune.
Come Gesù, anche noi possiamo avvicinare il nostro prossimo senza paura, metterci al suo fianco per camminare insieme nei momenti difficili e gioiosi, valorizzare le sue qualità, condividere beni materiali e spirituali, incoraggiare, dare speranza, perdonare. Raggiungeremo il primato della carità e della libertà dei figli di Dio.
In un mondo malato di arrivismo, che corrompe la società, è davvero andare controcorrente, è una rivoluzione tutta evangelica. É questa la legge della comunità cristiana, come scrive anche l'apostolo Paolo: «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso» [1].

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Come ha scritto Chiara Lubich: «Osservi? Nel mondo le cose stanno in un ordine completamente diverso. Vige la legge dell'io […] E sappiamo quali sono le dolorose conseguenze: […] ingiustizie e prevaricazioni di ogni genere. Tuttavia, il pensiero di Gesù non va direttamente a tutti questi abusi, ma piuttosto alla radice da cui essi scaturiscono: il cuore umano. […] Occorre, per Lui, trasformare proprio il cuore e di conseguenza assumere un atteggiamento nuovo necessario per stabilire rapporti autentici e giusti. Essere umili non vuol dire soltanto non essere ambiziosi, ma essere consapevoli del proprio nulla, sentirsi piccoli davanti a Dio e mettersi quindi nelle sue mani, come un bambino. […].
Come vivere bene questo abbassamento? Attuandolo, come ha fatto Gesù, per amore dei fratelli e delle sorelle. Dio ritiene fatto a sé quello che fai loro. Dunque, abbassamento: servirli. […] E l'esaltazione avverrà certamente nel mondo nuovo, nell'altra vita. Ma per chi vive nella Chiesa questo rovesciamento di situazioni è già presente. Infatti, chi comanda deve essere come uno che serve. Situazione, dunque, già mutata. E così la Chiesa, ove si vivono le parole che abbiamo approfondito, è già per l'umanità un segno del mondo che verrà»
 [2].

Letizia Magri

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[1] Cf. Fil 2,3.
[2] C. Lubich, Parola di Vita ottobre 1995, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) pp. 564-565.

Fonte: Città Nuova n. 9/Settembre 2020

venerdì 25 settembre 2020

Lavorare nella vigna di "famiglia"



26a domenica del Tempo ordinario (A)
Ezechiele 18,25-28 • Salmo 24 • Filippesi 2, 1-11 • Matteo 21,28-32
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

I responsabili di Israele, sacerdoti e anziani del popolo, rifiutano Gesù e il suo messaggio, appellandosi alla fedeltà verso la Legge. Invece, i "trasgressori" della Legge, pubblicani e peccatori, ascoltano il suo annuncio e si convertono.
I primi, persuasi di essere fedeli alla volontà di Dio manifestata dalla Legge, in realtà rifiutano il suo disegno, che si sta attuando in Gesù: in nome dell'attaccamento alla Legge, tradiscono Dio. Prigionieri della loro falsa sicurezza, i maestri e le guide in Israele si rifiutano di convertirsi: sono il figlio maggiore della parabola.
È un'adesione formale, piena di rispetto, quella del secondo figlio, ma che "tradisce" la volontà del padre: si può professare la fede, recitare il Credo, sapere a memoria le verità rivelate e i Comandamenti, ma sul piano delle scelte concrete non attuare le opere che la fede richiede.
Nel figlio minore sono rappresentati gli uomini e le donne che non osservano la Legge, ladri, pubblicani, prostitute, ma hanno la fortuna di incontrare Gesù o, meglio, di lasciarsi "trovare" da Lui. Il suo messaggio è certamente più esigente della Legge, perché chiede un radicale cambiamento di vita, ma è incentrato sull'annuncio di un Dio che è Padre e attende e desidera abbracciare i figli perduti. Scoprendosi amati, essi accolgono ciò che Gesù rivela. Spesso chi sperimenta il freddo e il vuoto lontano da casa, scopre e gusta la gioia del rientro in famiglia più di chi ci vive dentro in modo abitudinario e superficiale. Se prima hanno detto "no", ora dicono un sì pieno alla volontà del Padre.
È la "conversione": «Ma poi si pentì e vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» (Mt 21,30a.31).
Il Vangelo e la storia della Chiesa sono pieni di questi personaggi che si sono "pentiti" e hanno assaporato la gioia del perdono e della vita nuova: Matteo, Zaccheo, Maria Maddalena…: "Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà" (Ez 18,28: cf. I lettura). I "giusti", invece, osservanti meticolosi della Legge, ritengono di non aver bisogno di conversione.
Allora, coloro che secondo la valutazione corrente sono i primi, possono diventare gli ultimi nel Regno di Dio che si fa presente in Gesù: «In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt21,31).

«Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna» (Mt 21,28): non è un padrone, ma un padre che si rivolge al figlio. Si tratta di lavorare nella vigna del padre, di famiglia: non è "la mia vigna", ma semplicemente "la vigna". Il campo, che è la Chiesa e il mondo, ci appartiene: in esso possiamo spendere il particolare "disegno" del Padre su di noi. La luce per scoprirlo la troviamo nel Vangelo, nei segni che provengono dai fratelli e dalle situazioni incontrate, nel vivere il "momento presente".
In definitiva, si tratta di essere addirittura come il Figlio: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù…» (Fil 2,5: cf. II lettura).
Il lavoro prioritario, in cui impegnarsi senza tregua, è la carità fraterna: l'accordo, la sintonia, l'unità in tutti i rapporti. Due vizi mortali la insidiano: "lo spirito di rivalità" e la "vanagloria". Si supera la vanagloria e lo spirito di parte "considerando gli altri superiori a se stessi" (cf. Fil 2,2-3: II lettura).

Forse anche noi ci lusinghiamo con le belle parole, le cerimonie riuscite, i programmi pastorali ben elaborati, ma lasciando mancare una ricerca seria, non priva d'inquietudine, di ciò che Dio vuole oggi da noi e dalla nostra comunità.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ma poi si pentì e vi andò (Mt 21,41)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 …ma poi si pentì e vi andò (Mt 21,41) - (01/10/2017)
(vai al testo)
 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? (Mt 21,31) - (28/09/2014)
(vai al testo…)
 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? (Mt 21,31) - (25/09/2011)
(vai al testo…)
 Ciascuno consideri gli altri superiori a se stesso (Fil 2,3) - (26/09/2008)
(vai al post "L'umiltà del servizio")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Dio crede in noi, sempre (29/09/2017)
  Fare la volontà del Padre, sull'esempio di Gesù (26/09/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Il figlio che pentitosi va nella vigna, di Bernadette Lopez)

venerdì 18 settembre 2020

L'invidia non coglie la gratuità


25a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 55,6-9 • Salmo 144 • Filippesi 1,20c-24.27a • Matteo 20,1-16
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Tu sei invidioso perché io sono buono?
La giornata lavorativa era di dodici ore: dall'alba, circa le sei del mattino, al tramonto, verso le sei di sera. Con gli operai incontrati all'alba, il padrone si accorda per la paga "giusta", oggi diremmo "sindacale". Al termine della giornata si verifica qualcosa di strano: gli operai che hanno lavorato un'ora soltanto ricevono la stessa paga dei primi. Sembrerebbe naturale il disappunto e l'accusa di "ingiustizia" rivolta al padrone.
Ma è sorprendente la risposta: «tu sei invidioso - letteralmente: il tuo occhio è cattivo - perché io sono buono?». È il messaggio centrale della parabola.
Le scelte di Gesù in favore di quanti non contano provocano le critiche aspre degli osservanti, farisei e scribi: Gesù mette sullo stesso piano peccatori e giusti, ecco l'ingiustizia! Ma il Padre ha un modo di agire imprevedibile, fuori schema, che non può essere giudicato secondo i criteri umani («I miei pensieri non sono i vostri pensieri», cfr. I lettura). La condotta di Dio rivela una "giustizia" superiore. Se dà un salario uguale per un lavoro disuguale, ciò non significa che gradisce meno l'impegno di chi lavora tutto il giorno.
La ragione ultima del suo modo di agire? «Io sono buono». La bontà di Dio supera i parametri della retribuzione "dovuta": questo non vìola la giustizia, ma la realizza in modo più pieno. In altri termini, la "ricompensa" divina non è qualcosa che mi spetta per diritto, ma è un dono totalmente gratuito: in definitiva, è "Dio che si dona", chi può meritarlo? Di fronte a questo amore, che è totale gratuità, non ha senso essere "invidiosi".
Allora, a Dio poco importa se uno lavora e si impegna? Basta pensare alla parabola dei talenti (Mt 25, 14-30), per capire che non è così: ogni minimo gesto d'amore lo incanta. Il Padre però ama tutti, guarda a ciò che ciascuno è capace di dare, e vuole che i suoi condividano la sua benevolenza.

Li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata…
Ciò che Gesù smaschera è l'egoismo e l'orgoglio che si nascondono dietro l'apparente esigenza di giustizia: «li hai trattati come noi». È la posizione di privilegio che si rivendica e non tollera che altri la condividano: quasi che il valore e il prestigio personale risaltino meglio finché gli altri rimangono un gradino sotto. È la mentalità che capovolge l' "ama il prossimo tuo come te stesso" e nega praticamente il legame fraterno che unisce i membri della comunità cristiana ed umana.
Il principio della "gratuità" contesta una concezione di Dio e del mondo propria dei farisei di tutti i tempi: un sistema di relazioni fondato sul "merito", in cui il favore di Dio si compra e ogni uomo vale quanto valgono le sue prestazioni. Un mondo in cui chi sbaglia deve "pagare" duramente, altrimenti non vale la pena fare tanti sforzi per essere "giusti". In realtà, tale mondo, che non dà spazio alla misericordia e alla gratuità, si rivela "dis-umano".
Non possiamo fare calcoli con Dio, insegnandogli che cosa deve dare a noi e agli altri: d'altra parte, chi è in grado di misurarlo? Piuttosto, sapremo riconoscere con stupore e gratitudine tutto ciò che ci dona, mentre ci rallegreremo di ogni gesto della sua bontà, anche quando non riguarda direttamente noi, ma i fratelli.

"Padre, apri il nostro cuore… perché comprendiamo l'impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino" (II Colletta).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Andate anche voi nella mia vigna (Mt 20,7) - (24/09/2017)
(vai al testo)
 Sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15) - (21/09/2014)
(vai al testo…)
 Sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15) - (18/09/2011)
(vai al testo…)
 Andate anche voi nella vigna (Mt 20,7) - (19/09/2008)
(vai al post "Anche noi chiamati")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Il Dio che viene a cercarmi anche quando si sarà fatto molto tardi (22/09/2017)
  La gratuità di Dio (19/09/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
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(Immagine: Andate anche voi nella vigna, di Bernadette Lopez)

domenica 13 settembre 2020

Percorsi diaconali per una conversione pastorale






Il diaconato in Italia n° 221
(marzo/aprile 2020)

Percorsi diaconali per una conversione pastorale
«Una Chiesa missionaria in uscita richiede una conversione pastorale… basata sulla sinodalità, e una rete al servizio dell'evangelizzazione» (Documento finale del Sinodo sull'Amazzonia, 20)





ARTICOLI
Verso la città santa (Enzo Petrolino)
La conversione pastorale cuore del rinnovamento voluto dal Concilio (Gualtiero Bassetti)
La parola di Dio in tempo di epidemia (Giulio Michelini)
La pandemia e il cambio d'epoca (Massimo Naro)
Vino nuovo in otri nuovi (Luigi Vidoni)
Gesù ci chiama alla conversione (Lorenzo Zani)
Sul sagrato di piazza San Pietro, il 27 Marzo 2020 (Papa Francesco)
Percorsi diaconali per una conversione pastorale (Enzo Petrolino)
Essere cristiani oggi: se il cristianesimo fa la differenza (Timothy Radcliffe)
Una verifica del percorso fatto (Andrea Spinelli)
Dal servizio ministeriale a quello pastorale (Francesco Giglio)
Spiritualità nuziale per il ministero diaconale (Luca Garbinetto)

Il momento favorevole (Omelia: Mario Delpini)
Fermatevi e sappiate che io sono Dio (Lettera: Mauro Giuseppe Lepori)


(Vai ai testi…)

venerdì 11 settembre 2020

Perdonare: debolezza o sapienza?


24a domenica del Tempo ordinario (A)
Siracide 27,30-28,7 • Salmo 102 • Romani 14,7-9 • Matteo 18,21-35
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Appunti per l'omelia

Quante volte dovrò perdonare … fino a sette volte?
Pietro ha capito che è necessario perdonare, ma pensa che tale obbligo abbia un limite. "Sette" indica pienezza, perfezione: in pratica, devo perdonare proprio tante volte? Non tante volte, precisa Gesù, ma ... fino a settanta volte sette, un numero illimitato di volte.
Finché l'attenzione si concentra sul rapporto tra uomo e uomo, può apparire senza senso perdonare il torto ricevuto. Gesù, invece, sposta l'attenzione sulla relazione tra Dio e l'uomo.

Diecimila talenti sono una somma da capogiro, oggi diversi milioni di euro. Ma il re «si è impietosito» del servo debitore: un verbo ricorrente nel Vangelo, che esprime una compassione viscerale, profonda.
Sarebbe spontaneo immaginarsi non solo lo stupore e la gratitudine verso il padrone, ma anche la disponibilità ad esprimere pari generosità. Chi ha fatto e continua a fare l'esperienza della misericordia inaudita di Dio, come può non usare misericordia a chi è in debito con lui? Un debito che è sempre qualcosa di non paragonabile a ciò viene condonato: la sproporzione è abissale. Cento denari sono la cinquecentomillesima parte di ciò che il padrone ha condonato.

I nostri comportamenti e le nostre reazioni interiori non sono forse tante volte "fotocopia" dell'atteggiamento del servo "spietato"?

Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?
All'interno di una breve frase il verbo "aver pietà" ricorre per caratterizzare sia l'agire di Dio che l'agire dell'uomo. La misericordia di Dio diventa la fonte, il modello e il motivo del perdono che siamo chiamati ad offrire al fratello. È la stessa logica del "Padre nostro": «perdona a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Il perdono, come l'amore, è una corrente che, quando investe, non può essere arginata dalla nostra grettezza e meschinità.

La parabola è come un grande commento alla quinta domanda del Padre nostro.
Non nel senso che Dio ci perdona tanto quanto noi sappiamo perdonare al fratello: il nostro "debito" verso Dio è immensamente più grande.
Neanche nel senso che Dio sia tenuto a perdonarci: il perdono di Dio rimane assolutamente gratuito. Nel senso, invece, che poniamo le condizioni perché il perdono di Dio ci possa raggiungere: se perdoniamo, è segno che ci sentiamo peccatori riconciliati, che il perdono del Padre ci ha rinnovato il cuore e ci ha resi capaci di perdonare a nostra volta.

La comunità cristiana è il luogo dove i rapporti tra fratelli sono permeati e trasfigurati dalla misericordia. Non c'è nessuno che sia soltanto creditore o soltanto debitore.
Ogni volta che volere il bene dell'altro appare impossibile o costa troppo ristabilire il rapporto, il pensiero della misericordia del Padre è l'unico che può aiutarci a dare una "svolta" al nostro cuore.
Questo ha un valore che va al di là della comunità cristiana: questa è segno e simbolo di ciò che è chiamata ad essere l'umanità. Nel proliferare attuale di guerre e conflitti, come può risuonare la parola del Vangelo?

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Vedi anche: Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,22)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Il padrone ebbe compassione di quel servo (Mt 18,27) - (17/09/2017)
(vai al testo)
 Quante volte dovrò perdonargli? (Mt 18,21) - (11/09/2011)
(vai al testo…)


Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Perdonare: acquisire il cuore di Dio, fare ciò che Dio fa (15/09/2017)

Vedi anche il post:
  Il perdono, ricchezza di Dio (10/09/2011)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Perdonare sempre, di Bernadette Lopez)

venerdì 4 settembre 2020

La potenza dell'unità


23a domenica del Tempo ordinario (A)
Ezechiele 33,1.7-9 • Salmo 94 • Romani 13,8-10 • Matteo 18,15-20
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Oggi e domenica prossima il Vangelo propone alcune regole di vita comunitaria: Gesù indica come si vive all'interno della famiglia, che fa riferimento al Padre.
Ogni membro è prezioso agli occhi del Padre, in particolare i "piccoli", i cristiani più fragili, a rischio di venir meno nella fede. Tutti devono sentirsi responsabili che nessuno si perda. Non possiamo mai dire di un fratello: "Si arrangi!".
Se la Chiesa è una famiglia, dove si è legati l'uno all'altro, quando «tuo fratello commette una colpa», scatta l'operazione "ricupero", che non tralascia nessun tentativo.
Anzitutto il dialogo personale: «ammoniscilo fra te e lui solo». Una "correzione", motivata dall'amore e fatta con amore, può avere un risultato positivo: «egli ti ascolterà» e allora «avrai guadagnato tuo fratello».
Ma se l'iniziativa personale fallisce, non è una ragione per fermarsi: si possono coinvolgere altre persone e, se non basta, «dillo all'assemblea», alla Chiesa, perché l'intera comunità, in una "congiura" d'amore, si impegni per lui.
Tutto esaurito? Sembrerebbe di sì, ad una lettura immediata delle parole di Gesù: «Se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano», escluso dalla comunità.
I pubblicani e i pagani non si sottomettono alle regole in vigore nella comunità giudaica, per questo sono esclusi: tuttavia, Gesù li cercava e aveva molteplici relazioni con loro.

Al di là di ogni procedura ufficiale, vale qualunque altro tipo di approccio: l'amore sa inventare tentativi illimitati ed efficaci, pur di far breccia sul fratello colpevole.
Anche il "legare e sciogliere", tipico della comunità guidata dai suoi responsabili, il dichiarare un membro colpevole o il riammetterlo col perdono, rientra nelle attività volte a ricuperare i fratelli, coinvolgendo l'intervento di Dio stesso.
La qualità di vita di una comunità cristiana e l'efficacia della sua testimonianza dipendono dalla qualità dei rapporti fraterni e dall'attenzione reciproca. La fraternità non tollera che si lasci andare il fratello per la sua strada, ma porta a compiere ogni sforzo per "salvarlo".
Anche la preghiera rientra in questa logica: «Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà». Il verbo "accordarsi" propriamente significa "realizzare una sinfonia": è un termine musicale e richiama l'essere intonati, privi delle dissonanze che nascono dalla discordia. Si tratta di essere profondamente armonizzati e uniti nella carità. Non è la pluralità delle voci che assicura l'efficacia della preghiera, ma l' "accordo": bastano "due".
La preghiera, allora, ottiene: perché? Quando c'è tale "sinfonia", è presente Gesù stesso: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». Uniti dalla medesima fede, dall'impegno di attuare la sua volontà, che è in definitiva il suo "comandamento nuovo". L'essere "riuniti nel suo nome" realizza in pienezza "l'accordarsi tra loro".
Matteo sottolinea con forza la "presenza" di Gesù nella Chiesa: l'identità del figlio di Maria è "Emmanuele", "Dio con noi"; il Risorto dichiara solennemente: «Io sono con voi tutti i giorni»; Gesù assicura la sua presenza all'interno della più piccola comunità, dove i rapporti sono rinnovati dall'amore.
L'affermazione di Gesù dice anche che l'unità nel suo nome è frutto della sua presenza, dono suo: dono ed impegno allo stesso tempo. È questa presenza che fa la Chiesa: "Dove due o tre sono uniti nel nome di Gesù, lì è la Chiesa" (san Bonaventura); "Quando due o tre sono uniti nella fede nel suo nome, Gesù viene in mezzo a loro, sedotto e attratto dal loro accordo" (Origene).

Prima di porre in atto qualunque strategia pastorale, prima di qualunque incontro, occorre assicurare quel presupposto indispensabile che è la presenza di Gesù fra i suoi: presenza non automatica, ma legata alla "sinfonia" dell'amore evangelico.

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Vedi anche: Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza): Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20) (vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata  Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20) - (10/09/2017) (vai al testo)
 Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20) - (07/09/2014) (vai al testo…)
 Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20) - (04/09/2011) (vai al testo…)
 Pienezza della legge è la carità (Rm 13,10) - (05/09/2008) (vai al post "L'unico debito")


Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Cristo tra noi, generatore di vita e di fraternità: anima di ciò che esiste (08/09/2017)
  La fraternità, frutto della presenza di Gesù tra i suoi (05/09/2014)

Vedi anche il post:
  Uomini di comunione (04/09/2011)

Commenti alla Parola:
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(Immagine: Uniti nel suo nome, di Bernadette Lopez)

martedì 1 settembre 2020

L'amore senza misura di Dio per noi


Parola di Vita - Settembre 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo» (Lc 6,38).

"C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo…": [1] così l'evangelista Luca introduce il lungo discorso di Gesù, che si snoda attraverso l'annuncio delle beatitudini, delle esigenze del Regno di Dio e delle promesse del Padre ai suoi figli.
Gesù annuncia liberamente il suo messaggio a uomini e donne, di diversi popoli e culture, accorsi per ascoltarlo; è un messaggio universale, rivolto a tutti e che tutti possono accogliere per realizzarsi come persone, create da Dio Amore a Sua immagine.

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo»

Gesù rivela la novità del Vangelo: il Padre ama ogni suo figlio personalmente di amore "traboccante" e gli dona la capacità di allargare il cuore ai fratelli con sempre maggiore generosità. Sono parole pressanti ed esigenti: dare del nostro; beni materiali, ma anche accoglienza, misericordia, perdono, con larghezza, ad imitazione di Dio.
L'immagine della ricompensa abbondante versata nella veste ripiegata, ci fa comprendere che la misura dell'amore di Dio per noi è senza misura e che le sue promesse si realizzano oltre le nostre aspettative, mentre ci libera dall'ansia dei nostri calcoli e dei nostri calendari, dalla delusione di non ricevere dagli altri secondo la nostra misura.

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo»

A proposito di questo invito di Gesù, Chiara Lubich ha scritto: «Ti è mai capitato di ricevere da un amico un dono e di sentire la necessità di contraccambiare? […] Se succede a te così, puoi immaginare a Dio, a Dio che è Amore. Egli ricambia sempre ogni dono che noi facciamo ai nostri prossimi in nome suo […] Dio non si comporta così per arricchirti o per arricchirci. Lo fa perché […] più abbiamo, più possiamo dare; perché – da veri amministratori dei beni di Dio – facciamo circolare ogni cosa nella comunità che ci circonda […]. Certamente Gesù pensava in primo luogo alla ricompensa che avremo in Paradiso, ma quanto avviene su questa terra ne è già il preludio e la garanzia» [2].

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo»

Ma cosa potrebbe accadere se ci impegnassimo a praticare questo amore insieme, con tanti altri uomini e donne? Sarebbe certamente il germe per una rivoluzione sociale.
Racconta Jesùs, dalla Spagna: «Mia moglie ed io lavoriamo nella consulenza e nella formazione. Ci siamo appassionati ai principi dell'Economia di comunione [3] e abbiamo voluto imparare a guardare l'altro: i dipendenti, con la valutazione dei salari e le alternative a ovvi licenziamenti; i fornitori, rispettando i prezzi, i pagamenti, i rapporti a lungo termine; la concorrenza, con corsi congiunti e offrendo il nostro Know How, i clienti, con consigli dati in coscienza, anche rinunciando al nostro tornaconto. La fiducia che si è generata ci ha salvato poi nella crisi del 2008.
Successivamente, attraverso la ONG "Levántate y Anda" (Alzati e cammina), abbiamo incontrato un insegnante di spagnolo in Costa d'Avorio. Voleva migliorare le condizioni di vita del suo villaggio con una sala parto. Abbiamo studiato il progetto e offerto la somma necessaria. Non ci credeva. Ho dovuto spiegargli che erano gli utili dell'azienda. Oggi la sala di parto "Fraternità", costruita da musulmani e cristiani, è il simbolo della convivenza. Negli ultimi anni i profitti della azienda si sono moltiplicati per dieci. Con altre aziende EdC abbiamo creato il Commercio Internazionale di Comunione e insieme a imprenditori congolesi abbiamo investito in una nuova società che trasporta cibo da Kinshasa a villaggi lontani
».

Letizia Magri

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[1] Cf Lc 6,17-18.
[2] C. Lubich, Parola di Vita giugno 1978, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) pp. 108-110.
[3] https://www.edc-online.org/


Fonte: Città Nuova n. 8/Agosto 2020

venerdì 28 agosto 2020

Come seguire Gesù


22a domenica del Tempo ordinario (A)
Geremia 20,7-9 • Salmo 62 • Romani 12,1-2 • Matteo 16,21-27
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Pietro, e con lui la Chiesa, che poco prima ha confessato la sua fede in Gesù ricevendone in cambio le chiavi del regno, ora viene provato nella sua fede. Quando riconosce in Gesù il figlio di Dio, egli diventa suo discepolo; quando però non accetta il mistero di morte che segna il destino di Gesù, come segna quello della Chiesa, egli diventa un "satana". Anche qui, come nella descrizione dell'apostolo Pietro che cammina sulle acque, si rimane colpiti dal contrasto tra la sua fede e la sua mancanza di fede.
Gesù è stato riconosciuto da Pietro come il Cristo, il Messia atteso. Ma in che modo? Senza dubbio nella gloria di una regalità vittoriosa. Ed ora il Maestro si presenta come il servo sofferente di Isaia, che riscatta il suo popolo attraverso la passione e la morte. Anche e soprattutto attraverso la risurrezione, certo, ma non è ancora chiaro che cosa egli intenda con questa parola. Allora Pietro, l'impulsivo, spinto da un amore poco illuminato, si ribella all'apparente crudeltà del piano divino. E all'improvviso assistiamo a un totale capovolgimento della sua situazione. Lo stesso Gesù che gli aveva detto: «Beato te!» dopo la sua professione di fede, ora lo rimprovera aspramente: «Va' dietro a me, Satana!». Un momento prima l'apostolo era una «pietra» abbastanza solida perché Gesù potesse costruirvi la propria Chiesa, e adesso viene trattato come un ostacolo, una pietra d'inciampo sulla strada del messia. Gesù, che gli aveva detto: «Il Padre mio che sta nei cieli te l'ha rivelato», ora afferma: «tu non pensi secondo Dio!».
L'ingiunzione rivolta a Pietro, «Passa dietro a me!», può essere interpretata da ogni cristiano come un invito a seguire il Maestro: come il Cristo, il discepolo non può eliminare dalla propria vita la croce della salvezza. Davvero i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini. «Non bisogna salvare la propria anima come si salva un tesoro. Bisogna salvarla come si perde un tesoro. Spendendola» (Ch. Péguy).

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me…».
A Pietro Gesù ha detto "torna a metterti dietro di me"; adesso gli dice come: «rinneghi se stesso» (il che non significa frustrare la propria esistenza, ma rinunciare a ideali di ambizione), prenda la sua croce e mi segua».
La croce non è come comunemente si dice "data da Dio" ma "scelta dagli uomini". La croce è il patibolo, il supplizio, che non è che Dio dà a tutti quanti, ma coloro che liberamente, volontariamente, per amore, vogliono seguire Gesù, la devono sollevare, da sé.
Per andare dietro a Gesù, il discepolo deve fare tre cose: anzitutto dire di no alla propria mentalità, al proprio progetto; poi avere il coraggio di rischiare la condanna a morte; e infine accogliere la proposta del Maestro e imitarne la vita.
La frase più strana è la seconda: «prendere la propria croce». L'abbiamo fatta diventare un luogo comune, per dire che ci vuole pazienza e ognuno deve sopportare la propria difficile situazione; ma questo significa intendere la parola "croce" in senso metaforico, mentre al tempo di Gesù la croce era semplicemente un patibolo, uno strumento di uccisione orribile. L'espressione «prendere la propria croce» era facilmente compresa dalla gente di quel tempo come una immagine per indicare il rischio di una condanna a morte e proprio questo intendeva dire Gesù ai suoi: seguirlo significava mettere in conto anche di lasciarci la pelle. «Se qualcuno vuole venirmi dietro - dice - si prepari al peggio, perché non gli propongo una vittoria facile, né una buona sistemazione, ma gli prospetto un rischio molto serio, addirittura quello di essere condannato a morte». Quindi, se uno è disposto a lasciare la sua mentalità e a rischiare la vita, vada dietro a Gesù e lo imiti.
La croce non viene data ma viene presa per seguire Gesù. La croce non sono tanto le sofferenze o le malattie che la vita, inevitabilmente, ci fa portare, ma nel linguaggio biblico significava, essendo una pena di morte riservata ai rifiuti della società, la perdita totale della propria reputazione. Allora Gesù dice: "se qualcuno consegue desideri di successo, di ambizione, non pensi a venirmi dietro, perché seguire me significa perdere completamente la propria reputazione".

(dalla Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano, a cui si rimanda per il testo completo)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Se qualcuno vuol venire dietro a me… (Mt 16,24) - (03/09/2017)
(vai al testo)
 Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24) - (31/08/2014)
(vai al testo…)
 Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente (Ger 20,29) - (21/08/2011)
(vai al testo…)
 Il Figlio dell'uomo (…) renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Mt 16,27) - (29/08/2008)
(vai al post "Essere dono")


Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Perdere per trovare: noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato (02/09/2017)
  Andare dietro a Gesù (29/08/2014)

Vedi anche il post:
  La passione del profeta (28/08/2011)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Vieni dietro a me, di Bernadette Lopez)

venerdì 21 agosto 2020

La fede messianica di Pietro


21a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 22,19-23 • Salmo 137 • Romani 11,33-36 • Matteo 16,13-20
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il racconto di quella che si è soliti chiamare la «confessione di Cesarea» introduce nei sinottici un passo abbastanza omogeneo che riveste particolare importanza. Dalla proclamazione della messianicità di Gesù parte, infatti, una nuova fase dell'annuncio. Gesù aveva predicato e operato soprattutto nella Galilea. La gente era piena di ammirazione ma anche di sconcerto perché il modo di fare di Gesù non corrispondeva a certi schemi entro i quali si era cristallizzata l'immagine del Messia atteso da Israele. «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Non è uno scambio di cortesie tra Gesù, figlio dell'uomo, e Simone, figlio di Giona: queste due affermazioni riguardano da vicino la fede di ogni credente. Gesù compie presso i suoi discepoli quello che oggi chiameremmo un «sondaggio d'opinione»: che cosa dice la gente di lui? Dicono che è un grande uomo, un profeta del passato: Elia, Geremia, o il Battista che è appena stato messo a morte. Sono risposte un po' deludenti. Forse quelle dei nostri contemporanei sarebbero ancora più eterogenee, e anche più riduttive: in esse si mescolerebbero il meglio e il peggio, il sublime e l'ingiurioso, o l'insignificante. Comunque, una cosa è certa: oggi come ieri, la storia di Gesù non è dietro alle sue spalle, ma davanti a lui. Se Gesù è davvero «il Cristo, il figlio del Dio vivente», come dichiara Simone, ispirato dall'alto, allora il suo mistero non è limitato a un punto del tempo e dello spazio, ma abbraccia tutte le generazioni e l'intero universo.
Nella sua confessione di fede, Simone ha intuito come in un lampo, per un attimo, questo mistero. Ed era indubbiamente necessario – e giusto – che usasse parole più grandi di lui, perché dovevano esprimere la fede della Chiesa nascente, all'inizio della sua storia. Sul credo di Pietro Gesù ha costruito la sua Chiesa; Pietro, l'uomo dagli slanci immediati e generosi, ma anche il discepolo che l'avrebbe rinnegato. Cristo ne fa il suo luogotenente, incaricato di confermare nella fede i fratelli fino alla venuta del regno. Il principe degli apostoli ha segnato la Chiesa col sigillo della sua personalità, come avrebbero fatto Giovanni il mistico o Paolo il missionario, se fossero stati al suo posto. La Chiesa è innanzitutto la casa di noi poveri credenti, così spesso combattuti tra la fede e il dubbio, tra la generosità e l'infedeltà, ma che continuiamo nonostante tutto a balbettare con Pietro: «Credo!».

(dalla di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano, a cui si rimanda per il testo completo)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (27/08/2017)
(vai al testo)
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (24/08/2014)
(vai al testo…)
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (21/08/2011)
(vai al testo…)
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (22/08/2008)
(vai al post "Risposta di fede")


Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  La domanda che conta: Chi sono io per te? (25/08/2017)
  Il compito affidato a Pietro (22/08/2014)

Vedi anche il post:
  La La gente chi dice che io sia? (21/08/2011)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8-9.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine di Bernadette Lopez)

venerdì 14 agosto 2020

Un dono senza barriere


20a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 56,1.6-7 • Salmo 66 • Romani 11,13-15.29-32 • Matteo 15,21-28
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Non sono stato inviato che alla casa di Israele
Il disegno di Dio è di arrivare a tutti attraverso il popolo eletto: e Gesù compie la missione di far crescere la fede in questo popolo, proprio per la fede di tutti.
Il popolo di Dio, oggi, è la Chiesa e Gesù chiede che prima di tutto sia una comunità che vive il Vangelo: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore a null'altro serve che ad essere gettato via» (Mt 5,13).
A volte le scelte della Chiesa e della comunità cristiana sembrano insensibili alle richieste della gente: ma è più importante che venga testimoniata a tutti la fede, anziché soddisfare tutte le pretese.
Ricordava Agostino: «La prima carità è l'annuncio del Vangelo!», perché il Vangelo rinnova la vita personale e sociale, rendendo le persone protagoniste del proprio "destino".
La misura della crescita di una comunità non sta anzitutto nel numero di Messe, feste, attività, ma nelle occasioni offerte per il confronto con il Vangelo, nella capacità di ascolto, di accettazione reciproca, di collaborazione, pur nella diversità.
Evangelizzare non è voler cambiare gli altri, ma vivere per primi il Vangelo.
Dalla comunità possiamo attenderci più proposte di confronto con la Parola che di feste e riti.

Donna, grande è la tua fede!
Nonostante il silenzio, il rifiuto e la quasi brutale distinzione tra figli e cani, la donna insiste nel chiedere aiuto a Gesù. Sa di non aver alcun diritto, eppure è sicura di Gesù: dietro l'apparente durezza scorge il suo amore e il suo desiderio di venirle incontro.
Gesù non compie "miracoli" per attirare alla fede, ma dove trova la fede: lui vede e vuole il nostro bene più di quanto lo vediamo e vogliamo noi stessi. Possiamo essere sicuri che ci ama anche quando non sentiamo immediate consolazioni, che ci ascolta ed esaudisce anche negli apparenti "no" alle richieste, che non ci abbandona nel momento dello smarrimento. Da lui sentiamo parole di speranza, l'invito a costruire con lui il nostro cammino e il cammino di chi ci incontra.

È molto attuale la lezione che emerge da questo brano:
- l'incontro autentico con Gesù non si realizza nella pratica stanca e abitudinaria di un cristianesimo considerato come un'eredità che ci troviamo fra le mani, ma si compie nella fede, un rapporto personale, sempre nuovo e sempre da rinnovare, con Gesù;
- il contatto sempre più frequente e quotidiano con persone di altre religioni, vissuto nel dialogo rispettoso, non è per noi un cedimento o tradimento del Vangelo o rinuncia alla nostra identità, ma è una forma in cui si esprime la missione universale dei discepoli di Gesù.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Donna, grande è la tua fede! (Mt 15,28)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Pietà di me,Signore, figlio di Davide (Mt 15,22) - (20/08/2017)
(vai al testo)
 Donna, grande è la tua fede! (Mt 15,20) - (17/08/2014)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  La grande fede della donna cananea che "cambia" Gesù (18/08/2017)
  L'appartenenza a Cristo si fonda unicamente sulla fede (16/08/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8-9.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: La cananea, acquarello di Maria Cavazzini Fortini)

giovedì 13 agosto 2020

La nemica della finta umiltà


Assunzione della B.V. Maria
Apocalisse 11,19;12,1-6.10 • Sal 44 • 1Corinzi 15,20-26 • Luca 1,39-56
(Visualizza i brani delle Letture - Messa del Giorno)
(Vedi anche i brani delle Letture della Messa vespertina nella vigilia)

Appunti per l'omelia

(da «L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"», omelia pubblicata su "Vita Pastorale" 8-9 2020)

Di Maria abbiamo una conoscenza un po' falsata da duemila anni di tradizione cristiana che su di lei ha molto riflettuto, accrescendo il sapere teologico del suo ruolo nella storia della salvezza. Di Maria la Chiesa ha davvero compreso molte cose. Ma tante le ha anche tradite. Nella tradizione popolare, nella predicazione troppo devota, nell'iconografia eccessivamente carica, nella teologia di bassa lega di cui si nutrono tanti libriccini spirituali... di Maria sono state dette molte cose imprecise. A volte inventate, talvolta decisamente bizzarre. Ci sono, poi, le derive spirituali di certi movimenti, che fanno di Maria quasi una dea, ponendola come colei che intercede presso il Figlio, quasi che sia più buona del Figlio, quindi capace di piegarne il giudizio a maggior misericordia.
Sì, ci sono cose gravi che si dicono di Maria. Di una Maria troppo Madonna e poco donna. Troppo santa e poco discepola. Troppo in alto sugli altari anziché in basso, come lei è stata, quando "non era ancora Madonna". Maria ha la grandezza dei piccoli. Per capirla dobbiamo conoscerla per quella che è stata e che il Vangelo di oggi narra. Maria è stata una donna povera, una rappresentante di quel popolo di poveri e umili di Israele che ha custodito la fede, mentre i grandi e i potenti leggevano le Scritture senza mettersi in cammino, come i sacerdoti di Gerusalemme consultati da Erode alla nascita di Gesù.
Maria viene salutata da Elisabetta come «la madre del mio Signore». Nella sua piccolezza Maria non nega questo immenso titolo che la pone, tra tutte le ragazze di Israele, come colei che ha ricevuto il dono di essere la madre del Messia. È piccola e non nega questa gloria che la pone al di sopra di tutte. Maria è capace di accettare questa proclamazione di Elisabetta perché è davvero umile: non ammantata di quella falsa umiltà di cui siamo tanto esperti noi, che ci scherniamo se veniamo lodati per gustare ancor di più l'orgoglio della lode ricevuta. E per la stessa ragione nascondiamo i vizi spacciandoli per virtù.
Maria sa che è il Signore che l'ha fatta grande, per grazia, per elezione. Vedendolo, lei lo proclama grande: «Grandi cose ha fatto in me [... ] per questo la mia anima lo magnifica, lo proclama grande». È l'esperienza, il vissuto che le fa riconoscere che Lui è grande e sa fare in lei, piccola, cose grandi. Perciò, senza tanta falsa umiltà, risponde alla cugina Elisabetta senza diniego: «Sì, mi è stata fatta grazia e io ne sono grata». Ecco, quindi, la nostra vocazione, di cui possiamo prendere coscienza se ci specchiamo in Maria, quella vera,non quella delle immagini distorte. La nostra vocazione è di esser piccoli grandi uomini, piccole grandi donne.
La Chiesa è fatta di un popolo di poveri e umili, che sanno di essere fatti grandi dalla misericordia di Colui che li ha amati. Noi cristiani assomigliamo a Maria quando sappiamo vivere la vera umiltà, che consiste nella consapevolezza dei propri limiti e piccolezza. Ma soprattutto di essere amati gratis e in anticipo e – cosa ancora più difficile – nella consapevolezza di ciò che questo amore fa in noi e per noi: «Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente». Sì, in me! Lui è onnipotente contro la mia impotenza, perché capace di generare al di là della mia sterilità.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 L'anima mia magnifica il Signore(Lc 1,46) (15/08/2019)
(vai al testo…)
 Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente(Lc 1,49) (15/08/2018)
(vai al testo…)
 L'anima mia magnifica il Signore(Lc 1,46) (15/08/2017)
(vai al testo…)
 Beata colei che ha creduto (Lc 1,45) (15/08/2015)
(vai al testo…)
 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49) (15/08/2014)
(vai al testo…)
 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49) (15/08/2013)
(vai al testo…)
 L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46) (15/08/2012)
(vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
 Abbiamo un Padre che ci aspetta con amore (13/08/2019)
 Saper "vedere" le meraviglie di Dio (14/08/2018)
 La vittoria definitiva sul "drago" delle nostre paure di morte (14/08/2017)
 In Maria splende il nostro luminoso destino (13/08/2016)
 Come Maria… (13/08/2015)
 La "cose grandi" compiute da Dio (14/08/2014)
 Gioia e gratitudine immensa (14/08/2013)
 La meraviglia del Cielo (14/08/2012)

Vedi anche i post:
 La festa del nostro corpo (15/08/2019)
 Maria Assunta, sintesi dell'umanità realizzata (15/08/2011)
 Il nostro luminoso destino (15/08/2010)


Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8-9.2020)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2019)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2018)
  di Cettina Militello (VP 6.2017)
  di Luigi Vari (VP 7.2016)
  di Luigi Vari (VP 7.2015)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2013)
  di Marinella Perroni (VP 7.2012)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Claudio Arletti (VP 7.2010)
  di Claudio Arletti (VP 7.2009)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno A)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno B)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno C)

domenica 9 agosto 2020

Diaconato, «l'estensione ideale tra Chiesa e mondo»


Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve
Lunedì 10 agosto il card. Bassetti ordina tre diaconi permanenti nella festa di San Lorenzo



Dal sito dell'Arcidiocesi, 8 agosto 2020:
Ricorre il 10 agosto la solennità di San Lorenzo, diacono e martire, titolare della cattedrale di Perugia. Questa ricorrenza, molto sentita dai fedeli perugini, è vissuta anche come la festa diocesana dei diaconi permanenti. È consuetudine del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ordinare alcuni diaconi nel giorno in cui la Chiesa celebra il Santo martire e diacono per eccellenza della carità. Anche quest'anno, seppur segnato dall'emergenza Covid-19, il cardinale ordinerà in cattedrale, lunedì pomeriggio (ore 18), tre diaconi che hanno completato il ciclo quinquennale di formazione. Si tratta di tre coniugati, da anni impegnati insieme alle mogli nelle loro parrocchie dove hanno maturato la vocazione al diaconato: Valerio Agostini, della parrocchia di Santa Petronilla di Perugia, nato nel 1954, consulente finanziario, sposato con Luana, genitori di sei figli di cui due in Cielo e una in affido definitivo; Fabio Costantini, della parrocchia della concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio di Città della Pieve, nato nel 1963, medico psichiatra, sposato con Barbara, genitori di cinque figli di cui una adottata e affetta da una grave disabilità; Sergio Lucaroni, in pensione, della parrocchia di Santa Petronilla di Perugia, nato nel 1958, sposato con Sandra, genitori di tre figli.

Il diaconato familiare del cardinale Bassetti. Tre storie esemplari di vita umana e cristiana presentate in un ampio servizio pubblicato nell'ultimo numero del settimanale cattolico La Voce, a cura di Mariangela Musolino, dedicato anche al diaconato permanente. Con i tre ordinandi, i diaconi permanenti nella comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve sono una quarantina, numero cresciuto sensibilmente nell'ultimo decennio. Il cardinale Bassetti, nel valorizzare la figura del diacono permanente, come prevede il Concilio Vaticano II, ha parlato di recente di "diaconato familiare" per richiamare ancor di più l'attenzione dei cristiani all'importante ruolo svolto da tutti i componenti del nucleo familiare, in primis della moglie, nell'attività del diacono al servizio della comunità ecclesiale locale. In parrocchia il diacono permanente opera in diversi ambiti coadiuvando il parroco, dal servizio liturgico a quelli della carità e della catechesi ed evangelizzazione, oltre a ricoprire ruoli nell'amministrazione e gestione delle attività pastorali. «C'è un gran bisogno di famiglie che si prendano cura di altre famiglie - commentano il diacono Luigi Germini e la moglie Maria Rosaria, membri dell'equipe diocesana di formazione al diaconato -. La nostra caratteristica di famiglia diaconale è che non siamo più laici, ma viviamo nel mondo dei laici, quindi siamo l'estensione ideale tra Chiesa e mondo».

Il "Punto ristoro sociale Comune-Caritas S. Lorenzo". La solennità di San Lorenzo a Perugia è vissuta anche come giornata di riflessione sulla carità, nel richiamo della testimonianza evangelica del santo titolare della cattedrale il cui esempio è sempre attuale non solo per i diaconi, ma per tutti i credenti e gli uomini di buona volontà. Non è un caso che sia stato intitolato a San Lorenzo il "Punto ristoro sociale Comune-Caritas" di Perugia, più comunemente conosciuto come la "Mensa S. Lorenzo" ubicata nell'antico oratorio del quartiere del Carmine, in pieno centro storico. Questa mensa è attiva dal 2008, coordinata dall'assistente sociale Stella Cerasa, dove, dal lunedì al sabato, 70 persone in difficoltà (soprattutto anziane e sole) trovano ristoro e calore umano sentendosi come in famiglia. Anche nel giorno di San Lorenzo la mensa sarà aperta all'ora di pranzo, animata da volontari e operatori Caritas, una delle opere segno della Chiesa diocesana espressione di collaborazione concreta, in ambito sociale, tra Istituzioni civili e religiose del capoluogo umbro.

(Fonte: http://diocesi.perugia.it/solennita-san-lorenzo-diacono-martire-titolare-della-cattedrale-la-festa-dei-diaconi-permanenti-lestensione-ideale-chiesa-mondo/)

venerdì 7 agosto 2020

Nel tumulto la sua presenza


19a domenica del Tempo ordinario (A)
1Re 19,9a.11-13a • Salmo 84 • Romani 9,1-5 • Matteo 14,22-33
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

«Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare»: nella solitudine, riempita dalla presenza del Padre e vissuta nel colloquio con Lui, Gesù "ritempra" le forze e rigenera la propria adesione alla sua volontà. E mentre Gesù è solo sul monte, senza i discepoli, i discepoli, senza Gesù, sono sulla barca "agitata dalle onde". Non è difficile riconoscere un'immagine della Chiesa, in rotta di navigazione verso l' "altra sponda" nel mare della storia, segnato da prove, contrarietà, indifferenza: quando nella comunità la missione sembra languire perché si è affievolita la comunione con Gesù e tra i fratelli; quando la Chiesa sembra abbandonata a se stessa, perché il suo Signore si è reso invisibile e pare assente.
La barca richiama anche simbolicamente l'esistenza di una persona, di una famiglia, di una comunità: sotto il peso di sofferenze fisiche o morali, scossi dal dubbio, dalla paura del futuro e anche dalla crisi di fede, stanchi di lottare nelle "tempeste" della vita, abbiamo talvolta l'impressione che la nostra "barca" stia per colare a picco...!

«Verso la fine della notte Egli venne verso di loro»: Gesù non abbandona i suoi, anche se essi lo pensano. "Viene", come la sera di Pasqua, dopo la prova estrema e tremenda, quando incontrerà di nuovo i suoi. Li raggiunge in un modo strano e imprevedibile, "camminando sulle acque". Nella Bibbia l'acqua indica sovente una forza negativa, ostile a Dio e agli uomini, una potenza di morte: soltanto Dio ha il potere di padroneggiarla. Lui, il Creatore, il Signore e il Liberatore del suo popolo, "cammina sul mare".
È quanto riconosceranno i discepoli: «Tu sei veramente il Figlio di Dio», ma per il momento i loro occhi sono impediti dall'incredulità, lo scambiano per un "fantasma" e si mettono a "gridare dalla paura". Ed è Gesù a rinnovare l'appello alla fiducia: «Coraggio, sono io, non abbiate paura».

«Sono io» richiama la rivelazione di Dio a Mosè: «Io sono colui che sono» (Es 3, 14), Colui che è qui con voi, per voi, presenza indefettibile d'amore. «Non temete»: un imperativo frequentissimo nella Bibbia, abitualmente sulla bocca di Dio quando incontra gli uomini, quando affida loro una missione.
È semplicemente grandiosa e suggestiva la scena di Pietro che va verso Gesù, o meglio di Gesù e di Pietro che si vengono incontro camminando sulla cresta dell'onda tempestosa, dominandola. Finché l'attenzione di Pietro è concentrata interamente su Gesù. Quando comincia a ripiegarsi su se stesso e perde di vista il Signore, allora comincia ad affondare. Ma in questo frangente drammatico, apparentemente irreparabile, la fede di Pietro ha come un soprassalto: «Signore, salvami!».
Il termine "Signore", messo sulla bocca di Pietro, indica che la sua fede non è svanita, è "piccola": «Uomo di poca (piccola) fede, perché hai dubitato?». Per questo Gesù può intervenire: «Subito Gesù stese la mano, lo afferrò». E allora la fede può esprimersi in una confessione unanime e corale: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».

Non meravigliamoci della nostra "piccola" fede, ma non lasciamola cadere: ogni volta che ci troviamo nei momenti di dubbio, di solitudine, di fatica nel credere e testimoniare, riascoltiamo Gesù: «Coraggio, sono io, non avere paura».
Vivo e risorto, Lui "c'è": unire ciò che proviamo a quanto Lui ha provato può diventare la strada per sperimentare una "vita nuova", preludio di risurrezione.
Vita nuova che si esprime nell'uscire da noi stessi e farci carico di chi sta... affogando, permettendo a Gesù di dire anche a lui: «Coraggio, io ci sono!».

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Coraggio, sono io, non abbiate paura! (Mt 14,27)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Coraggio, sono io, non abbiate paura! (Mt 14,27) - (13/08/2017)
(vai al testo)
 Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14,31) - (10/08/2014)
(vai al testo)
 Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14,31) - (07/08/2011)
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Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Verso il Signore sulla bellezza di una fede nuda, camminando sulla strada polverosa del buon samaritano (11/08/2017)
  Nella "tempesta" la presenza rassicurante di Gesù (08/08/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 6.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

sabato 1 agosto 2020

La fiducia oltre ogni delusione


Parola di Vita - Agosto 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Chi ci separerà dall'amore di Cristo?» (Rm 8,35).

La lettera che l'apostolo Paolo scrive ai cristiani di Roma è un testo straordinariamente ricco di contenuto. Egli infatti vi esprime la potenza del Vangelo nella vita di ogni persona che lo accoglie, la rivoluzione che questo annuncio porta: l'amore di Dio ci libera!
Paolo ne ha fatto l'esperienza e vuole esserne testimone, con le parole e con l'esempio. Questa sua fedeltà alla chiamata di Dio lo porterà proprio a Roma, dove potrà dare la vita per il Signore.

«Chi ci separerà dall'amore di Cristo?»

Poco prima, Paolo ha affermato: «Dio è con noi»! [1]. Per lui, l'amore di Dio per noi è l'amore dello Sposo fedele, che mai abbandonerebbe la sposa, alla quale si è legato liberamente con un legame indissolubile, a prezzo del proprio sangue.
Dio non è dunque un giudice, ma anzi è colui che prende su di sé la nostra difesa.
Per questo nulla può separarci da Lui, attraverso il nostro incontro con Gesù, il Figlio amato.
Nessuna difficoltà, grande o piccola, che possiamo incontrare in noi e fuori di noi è un ostacolo insormontabile per l'amore di Dio. Anzi, dice Paolo, proprio in queste situazioni, chi si fida di Dio e a Lui si affida è "super-vincitore"! [2]
In questo nostro tempo di super-eroi e super-uomini, che pretendono di stravincere con l'arroganza ed il potere, la proposta del Vangelo è la mitezza costruttiva e l'apertura alle ragioni dell'altro.

«Chi ci separerà dall'amore di Cristo?»

Per comprendere e vivere meglio questa Parola, può aiutarci il suggerimento di Chiara Lubich: «Certamente noi crediamo, o perlomeno diciamo di voler credere, all'amore di Dio. Tante volte, però […] la nostra fede non è così coraggiosa come dovrebbe essere. […] nei momenti della prova, come nelle malattie o nelle tentazioni. È molto facile che ci facciamo assalire dal dubbio: "Ma è proprio vero che Dio mi ama?". E invece no: non dobbiamo dubitare. Dobbiamo abbandonarci fiduciosamente, senza alcuna riserva, all'amore del Padre. Dobbiamo superare il buio ed il vuoto che possiamo provare abbracciando bene la croce. E buttarci poi ad amare Dio compiendo la sua volontà e ad amare il prossimo. Se così faremo, sperimenteremo assieme a Gesù la forza e la gioia della risurrezione. Toccheremo con mano quanto sia vero che, per chi crede e si abbandona al suo amore, tutto si trasforma: il negativo diventa positivo; la morte diventa sorgente di vita e dalle tenebre vedremo spuntare una meravigliosa luce» [3].

«Chi ci separerà dall'amore di Cristo?»

Anche nella cupa tragedia della guerra, chi continua a credere nell'amore di Dio apre spiragli di umanità: «Il nostro paese si trova in una guerra assurda, qui nei Balcani. Nella mia squadriglia venivano anche i soldati della prima linea del fronte, con tanti traumi dentro perché vedevano parenti ed amici morire davanti ai loro occhi. Non potevo fare altro che amarli uno per uno per quanto potevo. Nei rarissimi momenti di sosta, cercavo di parlare con loro di tante cose che un uomo ha dentro in quelle circostanze, ma siamo arrivati a parlare anche di Dio, perché tanti di loro non credevano. In uno di questi momenti di ascolto, ho proposto di chiamare un sacerdote per celebrare la Messa. Tutti hanno accettato e alcuni si sono accostati alla confessione dopo vent'anni. Posso dire che Dio era lì con noi».

Letizia Magri

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[1] Rm 8, 31.
[2] Cf. Rm 8,37.
[3] C. Lubich, Parola di Vita agosto 1987, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) p. 393.


Fonte: Città Nuova n. 7/Luglio 2020

venerdì 31 luglio 2020

Coinvolti nella "compassione"


18a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 55,1-3 • Salmo 144 • Romani 8,35.37-39 • Matteo 13,13-21
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

A contatto con la folla Gesù si lascia "giocare" dalla "compassione", perdendo i suoi programmi ("ritirarsi in disparte"). Il "sentire compassione" di Gesù non è un'espressione emotiva, superficiale, ma una reale partecipazione e coinvolgimento: il verbo andrebbe tradotto "si sentì fremere e sconvolgere le viscere". È immedesimarsi nella situazione dell'altro, "patire-sentire insieme con l'altro" e diventa compassione "attiva" nel guarire i malati e saziare la folla affamata.
Stupisce l'insistenza con cui Matteo presenta Gesù come il medico che risana i malati, come una delle caratteristiche inconfondibili del Messia. A Lui sta a cuore tutto l'uomo, l'integrità totale della persona: la malattia tende a isolare le persone dalla vita sociale, guarire i malati significa reintegrarli pienamente nella società.
Nella concatenazione dinamica dei tre momenti "vide, sentì compassione, guarì…", Gesù si rivela come il Messia che si lascia catturare e calamitare da ogni forma di sofferenza che incontra. In tal modo rivela anche il volto di Dio, "Padre misericordioso", che è partecipe di ciò l'uomo vive.
E come Gesù è l'espressione della misericordia del Padre, così vuole coinvolgere noi nel suo sguardo di "compassione": «Date loro voi stessi da mangiare». C'è una sproporzione tra le necessità smisurate a cui far fronte e ciò che abbiamo a disposizione: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci». La tentazione è sempre quella di suggerire che la gente "si arrangi".
La parola "impossibile" non esiste nel vocabolario di Gesù, ma non opera magicamente, non parte da zero: ha bisogno che qualcuno metta a disposizione quel poco che ha. Il primo miracolo sta proprio nel saper condividere. Il pane spezzato e condiviso non si esaurisce, in mano a Gesù si moltiplica, saziando un numero sterminato di persone.
Compiendo il miracolo, Gesù non soltanto sfama la folla, ma anche e soprattutto crea e consolida la comunione. La dispersione proposta dai discepoli, «congeda la folla», si trasforma nella comunione creata da Gesù: Lui, il pastore, raccoglie nell'unità una folla dispersa, le prepara un banchetto, la riunisce intorno a sé trasformandola in una comunità conviviale, dove tutti, senza discriminazioni e differenze sociali, godono la libertà di stare insieme, di far festa, di vivere nella comunione con Dio e tra loro. È il significato "ecclesiale" del miracolo: Gesù, circondato dai Dodici, che distribuiscono i suoi doni alla folla "seduta" sull'erba (propriamente "sdraiata", posizione consentita durante la mensa soltanto ai signori e agli uomini liberi).
La Chiesa è il posto dove i Dodici, e i loro successori, continuano a distribuire la Parola e l'Eucaristia.
Il racconto ha anche, infatti, un chiaro significato "eucaristico": la successione dei gesti che Gesù compie («prese i cinque pani… pronunziò la benedizione… spezzò i pani e li diede ai discepoli») è la stessa che ritroviamo nell'ultima cena.
I cristiani si sentono chiamati a riscrivere oggi questa pagina di Vangelo: lasciano che Gesù con la sua Parola e l'Eucaristia li nutra e li sostenga nel cammino; il "poco" che hanno e che sono (vita, tempo, qualità, beni, sofferenze) lo mettono a disposizione Sua perché operi il miracolo della comunione e della festa.
La "compassione" di Gesù non verrà mai meno: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo?» (Rm 8,35; cfr. II lettura).

Lo spezzare insieme ogni domenica il pane eucaristico, il condividere il pane della vita che è Gesù, come ci stimola e ci sostiene nell'amore concreto ai fratelli in uno stile di solidarietà e condivisione?

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Tutti mangiarono a sazietà (Mt 14,20)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Voi stessi date loro da mangiare (Mt 14,16) - (03/08/2014)
(vai al testo)
 Voi stessi date loro da mangiare (Mt 14,16) - (31/07/2011)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  L'unico nostro tesoro (01/08/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Gianni Cavagnoli (VP 6.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2011)
  di Enzo Bianchi

(Immagine: la moltiplicazione dei pani, di Bernadette Lopez)