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martedì 31 marzo 2020

Via Crucis al tempo del Coronavirus [4]


Settima Stazione: Gesù cade la seconda volta
La croce la porta ormai Simone di Cirene, eppure Gesù cade ancora una volta.
È un altro il peso che lo accascia:
"Si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori…
schiacciato per le nostre iniquità…
portava il peccato di molti" (Is 53,4-5.12).

Chi si sarebbe mai aspettato che la nostra società, così sicura di sé, potesse essere messa in ginocchio in così pochi giorni, contemporaneamente in tutto il mondo. Gesù si è lasciato trascinare per terra per essere vicino a chi cade.

Quante cadute nella nostra vita! Quanti sbagli… A volte verrebbe da scoraggiarsi, da gettare la spugna e arrendersi.
Quando siamo a terra ecco che ci troviamo accanto Gesù, caduto anche lui, mai così vicino come in quel momento, che condivide la nostra caduta, il nostro sbaglio…


Ottava stazione: Gesù incontra le donne di Gerusalemme
È Luca a raccontarci che, assieme a una grande folle, anche donne in pianto seguivano Gesù (cf. Lc 23,28-31). Luca è sempre attento alla presenza amorosa delle donne attorno a Gesù, discepole fedeli che lo seguono fino ai piedi della croce.
Gesù è grato di non essere lasciato solo sulla via del Calvario, ma pensa soprattutto a quella folla che lo segue, sulla quale è ormai immanente la sciagura della distruzione di Gerusalemme: non pensino a lui, pensino a cambiare vita: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli».

Quante donne piangono oggi la morte dei loro cari. Quale grande sciagura si è abbattuta su di noi con questa pandemia. Ma dobbiamo piangere tante altre morti dimenticate: i 7000 bambini falciati ogni giorno dalla fame, i 100 soldati uccisi giorni fa da Boko Haram in Ciad, quelli delle guerre senza fine, dei cartelli della droga, dei profughi nei deserti e nei campi di detenzione...

Se hanno trattato te così, che sei il "legno verde", che ne sarà di noi "legno secco"? Dovremmo essere tagliati e bruciati. Che altro meritiamo nella nostra cattiveria?
Per fortuna poco dopo dirai: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Ci scusi, ti metti dalla nostra parte, ci difendi, nel tuo amore infinito.
Non dobbiamo fare anche a noi così con i nostri fratelli?

(Fonte: http://fabiociardi.blogspot.com)

lunedì 30 marzo 2020

Via Crucis al tempo del Coronavirus [3]


Quinta Stazione: Il Cireneo aiuta Gesù a portare la croce
Prese la croce di malavoglia: lo costrinsero (Mt 27,32). Simone di Cirene tornava a casa dopo una mattinata di lavoro in campagna, quando i soldati si avvalsero del diritto di imporre l'angheria, il servizio gratuito.
Camminando dietro a Gesù il giogo si faceva dolce e il carico leggero (Mt 11,30). Continuò a seguire Gesù anche dopo, divenendo suo discepolo, assieme ai figli Alessandro e Rufo.
Simone, senza che allora lo sapesse, aveva obbedito alla parola di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro a me… prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Fece sua la croce di Gesù e le sue croci si mutarono nella croce di Gesù.

Medici, infermieri, personale di servizio… Quante persone si prodigano in questi giorni per gli ammalati del virus! Alcuni costretti dalla necessità, angariati, altri con convinzione, tutti comunque mettono a rischio la propria vita. Siamo grati a questi Cirenei e preghiamo per loro.

Gesù non è da meno e prendi su di te la nostra croce. La croce "pesa di meno" scriveva Igino Giordani, "se Gesù ci fa da Cireneo". E pesa ancora di meno se la croce la portiamo insieme: "Una croce portata da una creatura alla fine schiaccia; portata insieme da più creature con in mezzo Gesù, ovvero prendendo come Cireneo Gesù, si fa leggera: giogo soave. La scalata, fatta in cordata da molti, concordi, diviene una festa, mentre procura un'ascesa".
È come se Gesù ci dicesse: Non temete, dunque, perché, se siete uniti, Io sono con voi, e come Cireneo porto la vostra croce, qualsiasi essa sia.


Sesta Stazione: La Veronica asciuga il volto di Gesù
Secondo la tradizione orientale la donna che asciugò il volto a Gesù mentre saliva al Calvario, si chiamava Berenike. Qualunque fosse il suo nome la tradizione latina gliel'ha cambiato con un nome nuovo: Icona vera, Veronica.
Sì, perché il sangue, il sudore, gli sputi, la terra di cui era imbrattato il Santo Volto di Gesù ha stampato l'immagina sul lino, ma la vera immagine di Gesù si è stampata indelebilmente nel cuore della donna: la sua identità, il suo nome, sarà per sempre Veronica, il volto vero di Gesù.

Quanti volti sfigurati negli ospedali, nelle tende improvvisate, irriconoscibili dietro la maschera dell'ossigeno. E quante mani pietose, anche se avvolte dai guanti, si posano su di loro…

"Il tuo volto, Signore, io cerco" (Sal 26,9), "Mostraci il tuo volto e saremo salvi" (Sal 79,20). È il desiderio di ogni cuore, vedere Dio, vedere il volto di Dio. Quando amiamo qualcuno vogliamo guardarlo in volto. E Dio possiamo vederlo? Gesù ci ha detto di sì: "Chi vede me, vede il Padre" (Gv 12,45). E ha aggiunto: "Chi vede il fratello, vede il Signore" (Ipsissima verba). Sì, possiamo vedere il volto di Dio, nel volto sfigurato di ogni fratello. Ma occorre un cuore puro, come quello della Veronica: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8).

(Fonte: http://fabiociardi.blogspot.com)

domenica 29 marzo 2020

«Vieni fuori!»


Tante ragazze sono uscite dal sepolcro dello sfruttamento e dell'indifferenza, perché qualcuno, a nome di Gesù, ha detto a loro: «Vieni fuori!».
L'esperienza di Casa Rut, a Caserta: una casa di accoglienza dove, grazie all'accompagnamento delle suore orsoline, le ragazze cercano di ricostruire la loro vita, ritrovando dignità e libertà; e il coraggio di aiutare altre donne a spezzare le catene dello sfruttamento.



«Girando per le strade di Caserta, racconta suor Rita Giaretta, vedevamo tante ragazzine migranti.
L'8 marzo del 1997, con le suore di casa Rut, riempiamo il bagagliaio della nostra vecchia auto con vasetti di primule e andiamo a incontrare quelle ragazze. Regaliamo ad ognuna una piantina con un biglietto: "Cara amica e sorella, con questo gesto vogliamo dirti che qualcuno pensa a te con amore".
Ricordo la commozione e la delicatezza di quel primo incontro. Ricordo la loro paura iniziale, poi l'apertura, le confidenze disperate fino alle preghiere a mani giunte: "Tornate! Tornate! No buono questo lavoro". E da quel momento capiamo che quello è il nostro posto, è il mio!
Quell'8 marzo è l'inizio di una serie di incontri sconvolgenti. Ogni quindici giorni andiamo a trovarle. Loro ci aspettano e noi siamo contente di incontrarle. Man mano che cresce la fiducia, le ragazze stesse, consegnandoci le loro storie di violenza fisica e psicologica, ci aprono gli occhi e il cuore su quella drammatica e infame realtà: la Tratta delle donne (anche minorenni) a scopo di sfruttamento.
La strada e l'incontro con le ragazze "catechizzano" noi suore. Queste donne, da tutti etichettate come "prostitute", scuotono la nostra vita di donne, di consacrate. Non possiamo più nasconderci... dobbiamo "starci", accogliere le inquietanti provocazioni, dobbiamo agire.
Quelle giovani donne sono delle vittime. Il loro grido di dolore: "Aiutami! Aiutami!" è un pugno nello stomaco. L'incontro con i loro volti, l'ascolto delle loro storie è per noi una nuova chiamata: accogliere e vivere il Vangelo della vita. Le ragazze vedono che continuiamo ad andare, senza giudicare e iniziano a fidarsi di noi. Allora qualcuna chiede di salire in macchina con noi e le portiamo a casa nostra. Aggiungiamo dei letti e la casa si riempie... E non basta più.
Scegliamo una casa più grande nel cuore della città, nel corso che porta alla Reggia di Caserta. Lì i condomini non ci vogliono. Ma con tanta pazienza, salutando sempre per prime, dopo un anno succede un miracolo: un condòmino ci chiede se una ragazza può fare da babysitter ai suoi figli.
Casa Rut nasce per essere casa accogliente, volto della tenerezza di Dio. Lì non si giudica, ma si ama soltanto. Ci inginocchiamo di fronte a storie così dolorose, cercando di diventare balsamo per le ferite che sanguinano.
Ogni ragazza ha la sua storia e per ognuna cerchiamo la soluzione migliore per ridarle un futuro. Non c'è cosa più bella, miracolo più grande che vedere rifiorire quei volti puliti, rigenerati perché semplicemente amati».


venerdì 27 marzo 2020

La nostra vita nella sua


5a domenica di Quaresima (A)
Ezechiele 37,12-14 • Salmo 129 • Romani 8,8-11 • Giovanni 11 ,1-45
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Richiamando Lazzaro dalla tomba, Gesù rivela se stesso, chi è Lui per l'uomo, per ogni uomo: «Io sono la risurrezione e la vita». È il culmine del racconto: il miracolo illustra proprio questa dichiarazione.

Lazzaro, vieni fuori!
È la stessa voce che chiama i morti a condividere la "vita" del Risorto, a realizzarsi pienamente con Lui. Il futuro che Gesù apre ai credenti non è un miraggio, frutto della fantasia, inventato dalla disperazione degli uomini davanti alla morte, ma è ciò che Dio ha promesso e ha già cominciato ad attuare proprio in Lui, il primo dei risorti.
Gesù vede nella morte dell'amico un significato nuovo: è un "sonno" in attesa del risveglio. Lui è l'unico che davanti alla morte dell'amico continua a sperare: la tomba non può essere la dimora definitiva dei suoi amici. Al di là dell'esperienza lacerante della morte, l'unica realtà che sembra definitiva per gli uomini, il credente è invitato a vedere l'amore del Cristo che salva l'uomo.

Io sono la risurrezione e la vita
La risurrezione di Lazzaro, mentre è simbolo della risurrezione, è anche segno del dono che Gesù già ora fa a chi crede. Fin d'ora il credente possiede la "vita eterna", in attesa dell'esplosione finale. Nel presente Gesù è per tutti i credenti quella vita divina, ineffabile, che non morirà mai: «Io sono la risurrezione e la vita». Questa vita, iniziata nel Battesimo, è la Vita, il Cristo stesso. E questa vita ci lega: perché il battesimo è sì un avvenimento personale, ma anche comunitario: il Padre non ci chiama da soli alla vita, ma ci chiama come popolo.

Sì, Signore, io credo…
La risposta al dono della vita è la fede: come nell'incontro con la samaritana e col cieco nato, Gesù conduce alla fede Marta e i discepoli: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Credi tu questo?». Credere significa non solo accettare le verità annunciate da Gesù, ma dire un sì totale a Lui ("crede in me"), accogliendo e vivendo le sue parole, che sono riassunte nel comandamento dell'amore. In tal modo si apre la porta a Lui, la Vita: quando Gesù ci chiede di aderire a Lui, in fondo non ci propone altro che di diventare più "vivi".
Nel decidere se accettarlo o rifiutarlo, noi decidiamo tra la vita e la morte. L'incontro con Gesù porta Marta a professare la sua fede: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». Signore, Cristo, Figlio di Dio: gli occhi aperti dalla fede si spalancano sulla realtà dell'uomo-Gesù.

«Vieni fuori!»: il grido di Gesù a Lazzaro è la voce di colui che ora chiama i "morti spirituali" a risorgere e vivere. È parola efficace che libera e dona di gustare il sapore della vita, perché la vita è Lui.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,25)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,25) - (02/04/2017)
(vai al testo…)
 Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,25) - (06/04/2014)
(vai al testo…)
 Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,25) - (10/04/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Riconsegnato alla vita dall'amore, dalle lacrime di Dio (31/03/2017)
  Colui che possiede la pienezza della Vita (04/04/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2020)
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 3.2014)
  di Marinella Perroni (VP 3.2011)
  di Enzo Bianchi

giovedì 26 marzo 2020

Via Crucis al tempo del Coronavirus [2]


Terza stazione: Gesù cade la prima volta
La terra è humus. Per umiliare qualcuno lo si fa strisciare per terra, gli si fa mangiare la polvere della terra… Eccolo Gesù a terra, umiliato.
L'hanno umiliato con la flagellazione, la coronazione di spine, l'hanno sfinito, spossato.
Ma è lui che l'ha scelto, per amore di noi: "Pur essendo di natura divina… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,6-8).

La foto dell'infermiera che crolla dopo una nottata di assistenza ai contagiati e s'addormenta pesantemente sul tavolo è l'icona della caduta di Gesù mentre sale al Calvario.

Quanto orgoglio, quanta superbia nel crederci superiori agli altri, sicuri di noi, addirittura emancipati da Dio, di cui facciamo tranquillamente a meno anche quando crediamo in lui. Sappiamo che c'è, ma la nostra vita non ne ha bisogno, siamo autosufficienti.
La caduta di Gesù è un invito ad abbassarci, a metterci accanto alle persone calpestate, ignorate, umiliate, come lui ha fatto con noi.


Quarta stazione: Gesù incontra sua madre
Cosa avrà pensato Maria quando si vide davanti il figlio flagellato e sanguinante, con la croce sulle spalle? Alla profezia del vecchio Simeone "Una spada ti trafiggerà l'anima" (Lc 2,35)?
Quando lo presentò al Signore nel tempio lo riscattò immediatamente e lo riportò a casa. A dodici anni, quando si era allontanato da solo, lo rimproverò e tornarono a casa insieme.
Ora è pronta a perderlo, lo dona interamente al Padre, a tutti noi diventati suoi figli.

Quante madri preoccupati per la salute dei figli, impotenti davanti al contagio. Quante sgomente davanti alla loro morte lenta, senza neppure poterli assistere, se non da lontano, come lontano se ne dovette stare Maria.

"Beata tu che hai creduto" (Lc 1,45) proclamò Elisabetta. Aiuta anche noi a credere, Maria, anche quando sembra che Dio ci abbandoni nelle mani del male, anche quando non capiamo perché le persone che amiamo debbano soffrire, morire.
Stai accanto a noi, tu che ci sei madre, e ripetici quello che ti disse l'angelo: "Non temere… nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,30.37).
Insegnaci a metterci a servizio del suo disegno d'amore, anche quando non ci sembra tale, e a dire dal profondo del cuore: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai pensato" (Lc 1,38).

(Fonte: http://fabiociardi.blogspot.com)

mercoledì 25 marzo 2020

Annunciazione del Signore
  e il valore e l'inviolabilità della vita


Papa Francesco - Udienza Generale
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 25 marzo 2020
(Clicca qui per il Video dell'Udienza  -  oppure...)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Venticinque anni fa, in questa stessa data del 25 marzo, che nella Chiesa è festa solenne dell'Annunciazione del Signore, San Giovanni Paolo II promulgava l'Enciclica Evangelium vitae sul valore e l'inviolabilità della vita umana.
Il legame tra l'Annunciazione e il "Vangelo della vita" è stretto e profondo, come ha sottolineato San Giovanni Paolo nella sua Enciclica. Oggi, ci troviamo a rilanciare questo insegnamento nel contesto di una pandemia che minaccia la vita umana e l'economia mondiale. Una situazione che fa sentire ancora più impegnative le parole con cui inizia l'Enciclica. Eccole: «Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura» (n. 1).
Come ogni annuncio evangelico, anche questo va prima di tutto testimoniato. E penso con gratitudine alla testimonianza silenziosa di tante persone che, in diversi modi, si stanno prodigando al servizio dei malati, degli anziani, di chi è solo e più indigente. Mettono in pratica il Vangelo della vita, come Maria che, accolto l'annuncio dell'angelo, è andata ad aiutare la cugina Elisabetta che ne aveva bisogno.
In effetti, la vita che siamo chiamati a promuovere e a difendere non è un concetto astratto, ma si manifesta sempre in una persona in carne e ossa: un bambino appena concepito, un povero emarginato, un malato solo e scoraggiato o in stato terminale, uno che ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo, un migrante rifiutato o ghettizzato… La vita si manifesta in concreto nelle persone.
Ogni essere umano è chiamato da Dio a godere della pienezza della vita; ed essendo affidato alla premura materna della Chiesa, ogni minaccia alla dignità e alla vita umana non può non ripercuotersi nel cuore di essa, nelle sue "viscere" materne. La difesa della vita per la Chiesa non è un'ideologia, è una realtà, una realtà umana che coinvolge tutti i cristiani, proprio perché cristiani e perché umani.
Gli attentati alla dignità e alla vita delle persone continuano purtroppo anche in questa nostra epoca, che è l'epoca dei diritti umani universali; anzi, ci troviamo di fronte a nuove minacce e a nuove schiavitù, e non sempre le legislazioni sono a tutela della vita umana più debole e vulnerabile.
Il messaggio dell'Enciclica Evangelium vitae è dunque più che mai attuale. Al di là delle emergenze, come quella che stiamo vivendo, si tratta di agire sul piano culturale ed educativo per trasmettere alle generazioni future l'attitudine alla solidarietà, alla cura, all'accoglienza, ben sapendo che la cultura della vita non è patrimonio esclusivo dei cristiani, ma appartiene a tutti coloro che, adoperandosi per la costruzione di relazioni fraterne, riconoscono il valore proprio di ogni persona, anche quando è fragile e sofferente.
Cari fratelli e sorelle, ogni vita umana, unica e irripetibile, vale per sé stessa, costituisce un valore inestimabile. Questo va annunciato sempre nuovamente, con il coraggio della parola e il coraggio delle azioni. Questo chiama alla solidarietà e all'amore fraterno per la grande famiglia umana e per ciascuno dei suoi membri.
Perciò, con San Giovanni Paolo II, che ha fatto questa enciclica, con lui ribadisco con rinnovata convinzione l'appello che egli ha rivolto a tutti venticinque anni fa: «Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà, pace e felicità!» (Enc. Evangelium vitae, 5).

martedì 24 marzo 2020

Via Crucis al tempo del Coronavirus [1]


Prima stazione: Gesù condannato a morte
Pilato condanna a morte Gesù, ma nessuno può togliere la vita all'autore della vita.
È il Padre che, amando tanto il mondo, dona il Figlio perché il mondo abbia la vita (cf. Gv 3,16).
Ed è Gesù che, in obbedienza al Padre, si dona liberamente per amore: «Io do la mia vita… Nessuno me la toglie: io la do da me stesso» (Gv 10,17-18).
Non è una scelta indolore. Gesù la compie tra forti grida e lacrime (cf. Eb 5, 7), in una lotta che lo fa sudare sangue (cf. Lc 22, 44).

Quante condanne a morte ha già sentenziato il Corona virus!

Chissà chi mi annuncerà la mia condanna a morte: forse il medico, un familiare, il dolore lancinante di un infarto…
Vorrei che nessuna circostanza mi privasse della vita. Vorrei donarla liberamente, come Gesù. Dio che m'ha dato la vita me la richiede ed io gliela dono.
Vorrei fosse l'ultimo sì all'ultima definitiva chiamata del Padre: un sì pieno, convinto, col quale mi consegno.
Neppure per me sarà indolore: è una porta stretta, ma introduce nella vita, all'incontro a tu per tu con il Signore, per restare per sempre con lui (cf. 1Ts 4,17).


Seconda stazione: Gesù è caricato della croce
Isacco fu caricato della legna per il sacrificio.
Isacco fu risparmiato, Gesù no, fu inchiodato su quel legno, vittima innocente per i nostri peccati (cf. 1Pt 2,14).
Non gli caricarono addosso la croce, "si sottopose lui stesso alla croce" (Eb 12,2). Le venne incontro e l'abbracciò, strumento del suo amore per noi.

Che croce pesante è stata caricata sulla nostra società: tutto si è fermato, tutto meno il contagio.

Discepoli, non possiamo essere da meno del Maestro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24).
Vogliamo seguirti Gesù, dove altro potremmo andare? E se tu ti avvii al luogo del martirio con la tua croce, anche noi accoglieremo la nostra, quella che giunge giorno per giorno, fatta di privazioni, dolori piccoli o grandi, delusioni, fallimenti, incomprensioni. Non la scegliamo noi.
Noi possiamo e vogliamo scegliere di abbracciarla assieme a te, perché l'hai già presa sulle tue spalle prima di noi: la nostra croce è la tua croce.

(Fonte: http://fabiociardi.blogspot.com)

domenica 22 marzo 2020

Coronavirus: Un tempo per vivere, come famiglia, il nostro essere «Chiesa domestica»


Dalle pagine dell'Osservatore Romano del 21 marzo 2020 leggiamo la riflessione (che riporto di seguito) del card. Kevin Joseph Farrel, Prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita centrata sulla forza insita nella relazione consacrata degli sposi e sul modo di vivere in famiglia questo tempo di pandemia, uno sperimentare concretamente il proprio essere "chiesa domestica".

«La presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze, lotte, gioie e i suoi propositi quotidiani» (Amoris Laetitia 315).
Nella Chiesa abbiamo un tesoro nascosto: la famiglia. Il Signore ha sempre accompagnato ogni crisi del suo popolo con messaggi straordinari e sembra farlo anche di fronte a questa pandemia, che costringe tutti noi ad un forzato ritiro nelle nostre case. Le celebrazioni sono sospese, molte Chiese sono chiuse ed è rischioso raggiungerle. Ci sentiamo soli, isolati ed è proprio in questo isolamento che lo Spirito ci suggerisce di riscoprire il sacramento del matrimonio, in forza del quale le nostre case, per la presenza costante di Cristo nella relazione consacrata degli sposi, sono una piccola Chiesa domestica.
Nelle case, infatti, gli sposi garantiscono la presenza di Gesù ventiquattro ore al giorno. Una verità che papa Francesco sottolinea in Amoris Laetitia al nr. 67: «Cristo Signore "viene incontro ai coniugi cristiani nel sacramento del matrimonio" e con loro rimane». Gesù non se ne va, ma rimane con gli sposi ed è presente nella loro casa non solo quando sono riuniti e pregano, ma in ogni istante.
In forza di questa realtà, possiamo mettere a frutto questo tempo particolare come il tempo in cui ogni famiglia cristiana può riscoprire ciò che è: manifestazione genuina del mistero, che è la Chiesa come corpo di Cristo. Gli sposi infatti "edificano il Corpo di Cristo e costituiscono una Chiesa domestica" (Amoris Laetitia 67). Di questo corpo, ogni famiglia è una parte essenziale, che si costruisce a partire dai piccoli gesti quotidiani, dove Gesù è stabilmente presente.
È un tempo di allenamento, quello che ci sta offendo il Signore, in attesa di sconfiggere questo male. Un tempo nel quale, vivendo stretti nelle nostre case, siamo chiamati a fare continui esercizi di carità. Quante volte al giorno in queste ore il Signore ci dà l'opportunità di guardare con tenerezza i nostri figli, con pazienza amorevole il nostro coniuge; di moderare il tono della voce anche se intorno a noi regna un disordine inaspettato, di educare i nostri bambini all'uso buono di questo tempo dilatato in casa, che sembra non passare mai; di educarli ad un dialogo fatto di ascolto donato all'altro, di calma interiore, di rispetto, anche se l'altro è diverso da come vorrei che fosse? È un tempo di crescita, questo, per ciascuno di noi, in cui dobbiamo imparare a scandire il ritmo delle giornate, non più controllate dal lavoro frenetico e da una gestione familiare dominata dal "fare". Ore consegnate alla nostra capacità di lasciare spazio all'altro tra le mura ristrette delle nostre case. Quanto è importante, in questa nuova dimensione in cui siamo gettati, che marito e moglie sappiano guardarsi negli occhi e parlarsi, pianificando insieme le ore della giornata, consapevoli che tra le mura domestiche c'è una presenza bella che scaturisce dalla loro relazione: Gesù. Perché questo non è solo un tempo di allenamento umano, ma anche spirituale. È un tempo di pre-evangelizzazione, nelle case e per mezzo delle case, come all'epoca delle prime comunità cristiane, durante il quale il Signore ci invita a riunirci come famiglie, a pregare insieme, intorno ad una candela accesa, per ricordarci che c'è Qualcuno che ci tiene uniti e che, in questo frangente di smarrimento, ci vuole bene. Un tempo che ci permetterà poi di tornare a celebrare nelle Chiese, più consapevoli e forti della presenza di Gesù nelle nostre vite quotidiane.
Sforziamoci, dunque, di cogliere l'invito che ci rivolge il Signore nelle nostre case: riuniamoci, come famiglia, la domenica, per celebrare in modo più solenne quella liturgia domestica che abitualmente, in virtù della presenza di Gesù, si compie attraverso i gesti tra gli sposi («i gesti d'amore vissuti nella storia di una coppia di coniugi, diventano una «ininterrotta continuità del linguaggio liturgico», e «la vita coniugale diventa, in un certo senso, liturgia» (Amoris Laetitia 215).
Come farlo è semplice: possiamo ritrovarci tutti insieme in una stanza, recitare un Salmo di lode, chiederci perdono a vicenda con una parola o un gesto tra coniugi e tra genitori e figli, leggere il Vangelo della domenica, esprimere un pensiero su ciò che la Parola suscita in ciascuno, formulare una preghiera per le necessità della famiglia, di coloro che amiamo, della Chiesa e del mondo. E infine, affidare alla cura di Maria la nostra famiglia ed ogni famiglia che conosciamo.
Tutte le famiglie possono farlo, poiché Gesù ha detto: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). E perché non provare a fare comunità, pregando la domenica con più famiglie, via skype, o con altri sistemi di audio o video conferenza, usufruendo dei vantaggi della moderna tecnologia? A turno possiamo far leggere i nostri bambini, o alternare le voci di coppie e famiglie collegate.
Ricordiamoci che gli sposi sono il segno del Mistero pasquale che si celebra in ogni Eucaristia («Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce», Amoris Laetitia, 72); essi sono profezia, annuncio incarnato in una quotidianità fatta di piccoli gesti, che esprimono il dono di sé, come ha fatto Gesù. Approfittiamo di questo tempo un po' strano per accogliere e vivere lo Spirito nelle nostre case e riscoprire la ricchezza e il dono delle nostre Chiese domestiche insieme a Gesù, che abita con noi.

(Immagine da: https://www.diocesidicremona.it)

sabato 21 marzo 2020

Quaresima 2020: Lasciarci riconciliare con Dio [5]


Concludo queste brevi riflessioni sul Messaggio di papa Francesco per questa Quaresima.

In questo dialogo aperto e sincero con Dio, insistente è l'appello a lasciarsi riconciliare con Lui.
Guardo alla situazione attuale di sofferenza: è fissare lo sguardo e sentire compassione per le piaghe di Cristo crocifisso presenti nelle tante vittima innocenti… nei disastri ambientali…, nelle persone colpite da questo virus micidiale, in quelle che con dedizione assoluta si prodigano per alleviare le loro sofferenze.
Abbiamo bisogno di condividere i propri beni con i più bisognosi, come partecipazione personale all'edificazione di un modo più equo.
La condivisione di tutte le situazioni di sofferenza rende l'uomo più umano; il pensare solo a sé lo abbruttisce, chiudendolo nel proprio egoismo.
Questo cammino quaresimale così speciale e, direi, "originale" è l'occasione propizia offertaci per essere sempre più veri discepolo di Cristo e diventare sale della terra e luce del mondo.

venerdì 20 marzo 2020

La luce che dà senso alla vita


4a domenica di Quaresima (A)
1 Samuele 16,1b.4.6-7.10-13 • Salmo 22 • Efesini 5,8-14 • Giovanni 9,1-41
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Attraverso le letture di queste domeniche stiamo facendo un cammino catecumenale, che ci conduce a rinnovare insieme le promesse del nostro battesimo nella Veglia Pasquale.
Acqua (domenica scorsa, III di Quaresima, A) e luce (oggi, IV di Quaresima, A) sono due simboli presi dalla natura, che ci parlano di vita: acqua (Spirito Santo) e luce (Cristo).

Finché sono nel mondo, io sono la luce del mondo
Gesù è per l'uomo la luce che riempie di significato l'esistenza. Il cieco rappresenta, così, l'uomo che viene liberato dalla cecità esteriore ed interiore. Il "cieco nato" arriva a questa luce attraverso un itinerario lento e laborioso, com'era avvenuto per la samaritana.
«Va' a lavarti nella piscina di Sìloe … Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva»: la guarigione non è frutto di magia, è il frutto dell'ascolto. Lasciarsi toccare il cuore dal Vangelo, immergerci nella "piscina di Sìloe", che è l'incontro con Gesù nei Sacramenti: questo è possibile a noi.
Il racconto sottolinea in modo netto due atteggiamenti contrapposti davanti al medesimo fatto o, meglio, davanti alla medesima persona, Gesù.
Il cieco, guarito fisicamente, giunge per gradi all'illuminazione piena, che è la fede in Gesù: dapprima è "quell'uomo che si chiama Gesù", poi lo riconosce come "un profeta", quindi come inviato di Dio, infine Gesù gli si rivela come il "Figlio dell'uomo", il Signore e Giudice universale che rende partecipi gli uomini della vita di Dio (Gv 1, 51).

Io credo, Signore!
È il compimento del cammino, pur vissuto in un contesto di ostilità.
Nel corso della storia si svolge - secondo Giovanni - un grande processo, dove l'imputato è Gesù e ogni uomo è chiamato a prendere posizione per Lui o contro di Lui. Il cieco si schiera dalla parte di Gesù e per questo si espone all'ostilità, ma la sua fede matura e la sua testimonianza si fa più decisa. È una fede che lo espone anche alla solitudine, riempita dall'incontro permanente col Cristo.
Mentre il cieco "vede" sempre più, gli avversari diventano sempre più "ciechi". Abbiamo la possibilità di aprirci alla fede e, al tempo stesso, il terribile potere di accecarci, di fabbricarci delle buone ragioni per non vedere, di crearci delle false evidenze… In ogni azione che compiamo noi sempre decidiamo di sbarrare porte e finestre oppure di aprirle all'invasione della luce.
Come l'acqua nel racconto della samaritana, così la luce è simbolo del Battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato anche "illuminazione", come i battezzati erano detti "illuminati" (si noti: "Si lavò" e "ci vedeva"). Nel Battesimo Gesù illumina interiormente l'uomo e lo rende creatura "nuova".
Paolo commenta: «Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,8, II lettura). Gesù è colui che apre i nostri occhi rendendoci capaci di "vedere" la realtà: la realtà di Dio e la realtà del mondo con gli occhi stessi di Dio.
Paul Claudel mette in bocca ad un cieco questa domanda: «Voi che ci vedete, che ne fate della luce?». È una domanda che milioni di ciechi spirituali rivolgono oggi ai cristiani: «Voi che credete nel Cristo, che ne fate della vostra fede?».
Più si crede e più si testimonia, ma anche più si testimonia e più cresce la fede, perché «la fede si rafforza donandola» (Giovanni Paolo II).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Sono la luce del mondo (Gv 9,5)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo (Gv 9,5) - (26/03/2017)
(vai al testo…)
 Io sono la luce del mondo (Gv 9,5) - (30/03/2014)
(vai al testo…)
 Io sono la luce del mondo (Gv 9,5) - (03/02/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Noi siamo fatti per la luce! (24/03/2017)
  L'incontro che "illumina" l'esistenza (28/03/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2020)
  di Cettina Militello (VP 2.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 2.2014)
  di Marinella Perroni (VP 3.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Gesù spalma il fango sugli occhi del cieco nato, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2014)

mercoledì 18 marzo 2020

Coronavirus, Papa Francesco: "Non sprecate questi giorni difficili"


La Repubblica: 18 Marzo 2020 - Intervista al pontefice

CITTA' DEL VATICANO - "In questi giorni difficili possiamo ritrovare i piccoli gesti concreti di vicinanza e concretezza verso le persone che sono a noi più vicine, una carezza ai nostri nonni, un bacio ai nostri bambini, alle persone che amiamo. Sono gesti importanti, decisivi. Se viviamo questi giorni così, non saranno sprecati". Papa Francesco vive le sue giornate in Vaticano seguendo da vicino le notizie intorno all'emergenza del coronavirus. Due giorni fa è andato a Santa Maria Maggiore e nella chiesa di San Marcello al Corso per pregare. A Repubblica racconta cosa questi giorni gli stanno insegnando.

Santo Padre, cosa ha domandato quando è andato a pregare nelle due chiese romane?
"Ho chiesto al Signore di fermare l'epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo".

Come si possono vivere questi giorni affinché non siano sprecati?
"Dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni da avere verso chi ci sta vicino, famigliari, amici. Capire che nelle piccole cose c'è il nostro tesoro. Ci sono gesti minimi, che a volte si perdono nell'anonimato della quotidianità, gesti di tenerezza, di affetto, di compassione, che tuttavia sono decisivi, importanti. Ad esempio, un piatto caldo, una carezza, un abbraccio, una telefonata... Sono gesti familiari di attenzione ai dettagli di ogni giorno che fanno sì che la vita abbia senso e che vi sia comunione e comunicazione fra noi".

Solitamente non viviamo così?
"A volte viviamo una comunicazione fra noi soltanto virtuale. Invece dovremmo scoprire una nuova vicinanza. Un rapporto concreto fatto di attenzioni e pazienza. Spesso le famiglie a casa mangiano insieme in un grande silenzio che però non è dato da un ascolto reciproco, bensì dal fatto che i genitori guardano la televisione mentre mangiano e i figli stanno sul telefonino. Sembrano tanti monaci isolati l'uno dall'altro. Qui non c'è comunicazione; invece ascoltarsi è importante perché si comprendono i bisogni dell'altro, le sue necessità, fatiche, desideri. C'è un linguaggio fatto di gesti concreti che va salvaguardato. A mio avviso il dolore di questi giorni è a questa concretezza che deve aprire".

Tante persone hanno perso i propri cari, tante altre lottano in prima linea per salvare altre vite. Cosa dice loro?
"Ringrazio chi si spende in questo modo per gli altri. Sono un esempio di questa concretezza. E chiedo che tutti siano vicini a coloro che hanno perso i propri cari, cercando di accompagnarli in tutti i modi possibili. La consolazione adesso deve essere impegno di tutti. In questo senso mi ha molto colpito l'articolo scritto su Repubblica da Fabio Fazio sulle cose che sta imparando da questi giorni".

Cosa in particolare?
"Tanti passaggi, ma in generale il fatto che i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri. Ha ragione ad esempio quando dice: "È diventato evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua". Questa cosa mi ha molto colpito".

Chi non crede come può stare con speranza di fronte a questi giorni?
"Tutti sono figli di Dio e sono guardati da Lui. Anche chi non ha ancora incontrato Dio, chi non ha il dono della fede, può trovare lì la strada, nelle cose buone in cui crede: può trovare la forza nell'amore per i propri figli, per la famiglia, per i fratelli. Uno può dire: "Non posso pregare perché non credo". Ma nello stesso tempo, tuttavia, può credere nell'amore delle persone che ha intorno e lì trovare speranza".


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(torna su)
La Repubblica: 16 Marzo 2020, di Fabio Fazio

Sono giorni durissimi in cui abbiamo tutti modo di riflettere sul significato delle parole e su tutti quei gesti quotidiani piccoli e preziosi che ci mancano.
Stiamo vivendo la prova più dura e inattesa che ci potessimo trovare di fronte ma potremmo uscirne migliori per davvero se, lasciando da parte paura o al contrario rimozione, provassimo a fare un esercizio di consapevolezza. Per imparare a guardare in noi stessi, per provare ad ascoltarci e a specchiarci nell’altro e soprattutto per ordinare le cose da cui ricominciare.
Sì, proviamo a mettere ordine, non solo nei cassetti di casa e nelle tasche dei vestiti dimenticati nell’armadio, ma in noi stessi.
Propongo un esercizio che potrà tornarci utile per quando arriveranno giorni migliori. E, stiamone certi, arriveranno.
Mettiamo in fila, tutti insieme, le cose che ogni giorno stiamo imparando. Che sono tante. Tantissime, quante sono le parole.

Elenco delle cose che ho imparato.

1. Devo rimettere in ordine la mia scala di valori per scoprire quel che veramente è importante.
2. Quando tutto ciò sarà finito, devo attenermi alla suddetta scala di valori.
3. La cosa che di sicuro più conta è stare vicini alle persone a cui vogliamo bene. Nulla è più importante di un abbraccio ai nostri figli.
4. Devo ricordarmi che è ora di riconnettermi con la Terra e con l’ecosistema: solo rispettandone l’equilibrio ne saremo rispettati e saremo preservati.
5. Mi sono reso conto che le cose capitano anche contro la volontà degli uomini: non siamo onnipotenti.
6. Ho riscoperto il valore di alcune parole e concetti che troppo in fretta avevamo liquidato: Stato sociale per esempio. Solidarietà, per fare un altro esempio.
7. È diventato evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua.
8. Mi sono ripromesso di non accettare più nessuna forma di cinismo: in questo momento così duro è comunque bello volersi bene e sentirsi parte della stessa cosa.
9. Mi sono persuaso che il significato delle parole è sacro.
10. Mi sono ripromesso di pretendere che chi ha ruoli di responsabilità e di governo sia più preparato di quelli che da lui sono governati.
11. Ho imparato il valore di una stretta di mano.
12. Ho imparato la necessità di tendere la mano.
13. Ho imparato che siamo connessi per davvero e non solo in rete.
14. Mi sono reso conto che i confini non esistono e che siamo tutti sulla stessa barca.
15. E dal momento che siamo tutti sulla stessa barca, è meglio che i porti, tutti i porti, siano sempre aperti. Per tutti.
(torna su)

(Fonte: https://rep.repubblica.it)

martedì 17 marzo 2020

Quaresima 2020: Lasciarci riconciliare con Dio [4]


Riprendo meditando sul Messaggio di papa Francesco per questa Quaresima.

Non è scontato che questo tempo favorevole offerto alla nostra conversione sia al primo posto nei nostri pensieri e nei nostri comportamenti. La drammatica situazione attuale ci richiama alla transitorietà della nostra vita, della sua limitatezza, e all'impellente necessità di lasciarci condurre dallo Spirito, di scuoterci dal nostro torpore.
È uno spazio offerto al cambiamento di rotta, datoci dalla tenace volontà di Dio di non interrompere il dialogo con Lui.
Mantenere lo sguardo fisso su di Lui che in Gesù crocifisso ha fato ricadere tutti i nostri peccati, facendosi peccato in nostro favore.
Un amore così grande, oltre ogni dire, da coinvolgerci nella verità di Dio che ama i propri nemici, fino a "mettere Dio contro Dio".
Amore pazzo di Dio per noi!
La nostra vita rischia di essere assorbita dalla leggerezza dei nostri comportamenti, quasi da non lasciarsi scalfire dall'intensità con cui l'amore del Padre ci avvolge. Il nostro dialogo con Lui, mediante il mistero pasquale del Figlio, è una cosa seria. Non è un passatempo o un chiacchiericcio, dettato da vuota e superficiale curiosità, che rischia di essere vanificato anche da un uso fuorviante dei mezzi di comunicazione.
È il desiderio profondo di "dimorare" nel seno del Padre per essere, in Gesù, figli amati.

(Immagine: Crocifisso, William Congdon)



lunedì 16 marzo 2020

L'antivirus della fraternità


In questo periodo segnato dall'emergenza Coronavirus ecco la testimonianza di don Paolo Zago, parroco di Gorgonzola (MI).

26 febbraio 2020
Oggi alle ore 13, su iniziativa del sindaco di Gorgonzola, io parroco insieme al sindaco e alla presidente della Proloco, accompagnati dal capo dei vigili urbani di Gorgonzola, siamo andati ad incontrare i sindaci di Codogno e di Casalpusterlengo, al limite della zona rossa.
Siamo andati per consegnare loro quattro forme di gorgonzola come segno: segno della vicinanza della nostra gente alla popolazione della zona rossa. Segno per me di voler donare un antivirus, l'antivirus della fraternità, perché con il corona virus rischia di diffondersi oggi fra le persone un virus più pericoloso, ed è il virus dell'indifferenza, del sospetto e dell'individualismo.
Per questo ci sembrava importante dire che siamo vicini alle popolazioni colpite; siamo vicini con un segno di solidarietà, di vicinanza, di attenzione, di fraternità. Abbiamo invitato i due sindaci a venire a Gorgonzola per la sagra del gorgonzola. Loro sono stati molto, molto contenti.
Hanno detto che è stata la prima delegazione ufficiale di un comune di un parroco ad andare da loro per manifestargli un segno di vicinanza. Erano quasi commossi tanto erano contenti e non finivano mai di ringraziarci; di ringraziarci non tanto per quattro forme di gorgonzola, ma ringraziarci per questa vicinanza, per questa attenzione alla loro situazione.
Chiaramente abbiamo parlato a due metri di distanza con tutte le mascherine, con tutte le precauzioni che la legge impone anche se loro non sono infetti e non hanno alcun problema. È stato credo davvero un momento molto bello, direi proprio un segno grande, un segno di fraternità, un segno d'amore.
L'attenzione che dobbiamo avere per non contagiare va vissuta non nella forma del sospetto, ma nella forma di un atto d'amore reciproco che ci doniamo vicendevolmente. E allora anche le privazioni che ci sono richieste, credo sia importante viverle proprio come atto d'amore nei confronti dei fratelli. Diffondiamo a tutti l'antivirus della fraternità.
don Paolo Zago, parroco di Gorgonzola (MI)

(Fonte: www.focolaritalia.it)

domenica 15 marzo 2020

Senza Messa, ma non senza Gesù


Una domenica senza poter partecipare alla Messa e ricevere l'Eucaristia. Tuttavia, pur non potendo ricevere Gesù nel Sacramento, posso sempre essere con Gesù. Non siamo stati privati di Lui!
L'Eucaristia è indubbiamente il luogo della presenza di Gesù per eccellenza. La sua definizione di "presenza reale" ha, in certo modo, quasi messo nell'ombra le altre modalità della sua presenza.
Il Concilio Vaticano II ha messo in rilievo, oltre alla presenza eucaristica, anche le altre presenze di Gesù: nei sacramenti, nella sua Parola, nei ministri, tra quanti sono uniti nel suo nome: «Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro" (Mt 18,20)» (SC 7).
Il papa Paolo VI, parlando della presenza "reale" di Gesù nell'Eucaristia, ha scritto: «Tale presenza si dice "reale" non per esclusione, quasi che le altre non siano "reali", ma per antonomasia perché è sostanziale, e in forza di essa, infatti, Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente» (Misterium fidei, 40).
E parlando degli altri modi in cui Cristo si rende presente scrive: «Tutti ben sappiamo che vari sono i modi secondo i quali Cristo è presente alla sua Chiesa. È utile richiamare un po' più diffusamente questa bellissima verità che la Costituzione della Sacra Liturgia ha esposto brevemente. Cristo è presente alla sua Chiesa che prega, essendo egli colui che "prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi: prega per noi come nostro Sacerdote; prega in noi come nostro Capo; è pregato da noi come nostro Dio"; è lui stesso che ha promesso: Dove sono due o tre riuniti in nome mio là sono io in mezzo a loro. Egli è presente alla sua Chiesa che esercita le opere di misericordia non solo perché quando facciamo un po' di bene a uno dei suoi più umili fratelli lo facciamo allo stesso Cristo, ma anche perché è Cristo stesso che fa queste opere per mezzo della sua Chiesa, soccorrendo sempre con divina carità gli uomini. È presente alla sua Chiesa pellegrina anelante al porto della vita eterna, giacché egli abita nei nostri cuori mediante la fede, e in essi diffonde la carità con l'azione dello Spirito Santo, da lui donatoci.
In altro modo, ma verissimo anch'esso, egli è presente alla sua Chiesa che predica, essendo l'Evangelo che essa annunzia parola di Dio, che viene annunziata in nome e per autorità di Cristo Verbo di Dio incarnato e con la sua assistenza, perché sia "un solo gregge sicuro in virtù di un solo pastore".
È presente alla sua Chiesa che regge e governa il popolo di Dio, poiché la sacra potestà deriva da Cristo e Cristo, "Pastore dei pastori", assiste i pastori che la esercitano, secondo la promessa fatta agli Apostoli» (Misterium fidei, 36-38).

Gesù è presente anche in ogni dolore, nello stesso dolore di non poter partecipare all'Eucaristia, come nel dolore che affligge in questi giorni l'umanità.
Scrive a questo proposito padre Fabio Ciardi nel suo libro Dove sei? I luoghi di Dio: «Mi trovo in una situazione che mi preclude l'accesso all'Eucaristia? È una situazione che mi addolora: proprio questo dolore può darmi accesso diretto a Dio. Quando rientro nella mia "stanza" non sento più la voce dell'Amato, mi ritrovo vuoto, nell'aridità, incapace di pregare? È una assenza che provoca un terribile dolore: proprio questo apre l'accesso a Dio. Il rapporto con la persona accanto a me, che mi era sacramento di Dio, si frantuma, così che essa mi diventa ostacolo a raggiungere Dio? È la comunione con Cristo tradito: proprio questo apre l'accesso diretto a Dio.
Sono i dolori che Cristo ha sperimentato sulla croce. Facendoli suoi e rivivendoli entra nel nostro stesso patire. Ci raggiunge là dove siamo. In ogni nostro dolore è lui che soffre in noi, Agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo. Il mio dolore non è più, è diventato sacramento di Cristo: rimane lui stesso».

Signore Gesù, dovunque io ti trovi, sei Tu l'unico mio Bene!

sabato 14 marzo 2020

Quaresima 2020: Lasciarci riconciliare con Dio [3]


Continuo la mia riflessione accompagnato dal Messaggio di papa Francesco per questa Quaresima.

In questo tempo favorevole è pressante l'invito a lasciarci condurre nel deserto, in modo da poter finalmente ascoltare la voce del nostro Sposo.
È un'esigenza impellente, un desiderio profondo di staccarsi da tutto - specialmente in questo momento di forzato ritiro causata dall'epidemia del virus - e intrattenere un dialogo cuore a cuore, da amico ad amico col Signore. È fare l'esperienza sempre nuova di sperimentare l'amore del Padre e poter, come mi è possibile, corrispondere al suo amore che sempre ci precede e ci sostiene. E quando ti lasci prendere e avvolgere da questo amore, senti che questa intimità ti scava dentro, arrivando a scalfire la durezza del nostro cuore per convertirlo sempre più a Lui e alla sua volontà.
La sua Parola entra in me e mi fa sperimentare la sua misericordia gratuita.
Sarei uno stolto, un incosciente, se lasciassi passare invano questo tempo di grazia, nella presuntuosa illusione di essere io il padrone del tempo e del modo della mia conversione.




venerdì 13 marzo 2020

Il cammino della fede


3a domenica di Quaresima (A)
Esodo 17,3-7 • Salmo 94 • Romani 5,1-2.5-8 • Giovanni 4,5-42
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere»
La richiesta iniziale di Gesù è l'avvio di un colloquio, attraverso il quale egli la guida all'adesione di fede. È il lento cammino verso la fede di una donna. Il "Dammi da bere" sfocia nel "dammi di quest'acqua": «Colui che domandava da bere aveva sete della fede della samaritana», come scrive sant'Agostino.
Non è anzitutto l'uomo che va alla ricerca della "sorgente della vita", ma è Dio che ha sete dell'uomo; non è la sete che cerca la sorgente, ma è la sorgente che vuole dissetarla in modo sovrabbondante. L'uomo stanco ed assetato presso il pozzo è il Dio che in Gesù si identifica con tutti gli stanchi e assetati.
Gesù ha qualcosa di infinitamente più grande da dare: il "dono di Dio", l' "acqua viva", la "sorgente zampillante" che estingue la sete e dona la vita eterna. È la sua parola, che interiorizzata rigenera l'intimo dell'uomo e lo ringiovanisce. Il miracolo dell'acqua, che Dio aveva fatto scaturire dalla roccia per il suo popolo (cf. Es 17,6), si realizza ora in modo pieno e imprevedibile: la "roccia" che dona l'acqua inesauribile è una persona, Gesù.

«Signore, dammi quest'acqua»
La donna, nel colloqui con Gesù, riduce il dono di Dio a qualcosa di utilitaristico, si accontenta di poco. Ma Gesù imprime un nuovo corso al colloquio e la donna arriva a riconoscerlo come "profeta". E Gesù ha l'occasione di presentare il volto nuovo di Dio: Dio non è interessato tanto al luogo dell'adorazione, ma al modo, cerca adoratori che lo adorino come "Padre in Spirito e Verità". È il culto indirizzato al Padre da coloro che lo Spirito rigenera, il culto di coloro che accolgono e vivono la Verità, la rivelazione offerta da Gesù («Io sono la Verità»). Lo Spirito ci comunica l'esperienza filiale di Gesù stesso: è questa, in definitiva, l' "acqua viva", la "fonte che zampilla" e non si esaurisce. Il tempio vero, dove Dio incontra gli uomini e si fa incontrare, è Gesù.

«So che deve venire il Messia … Sono io, che ti parlo»
Colui che tutti aspettano e di cui hanno bisogno, è qui con te. Una confidenza che lascia la donna senza fiato: l'acqua del pozzo non le interessa più, ella corre a dare l'annuncio nel villaggio e trascina a Gesù i suoi compaesani, i quali nell'incontro con Lui arrivano a condividere la sua fede.
L'itinerario, che Gesù ha fatto percorrere alla donna, si conclude nella testimonianza entusiasta e convincente. Non importa il punto di partenza, non importa come Gesù ti trova, basta che tu stia al suo gioco e ti lasci condurre da Lui. Gesù ha fiducia in ogni persona e, amandola, la apre alla ricerca esplicita di Dio e all'incontro con Lui.
L'amore che Dio ci porta non ci viene soltanto "dimostrato" nella morte di Gesù, ma ci viene realmente comunicato: è "effuso" in noi "per mezzo dello Spirito Santo" (cf. Rm 2,5). E se noi ci amiamo, è segno che lo Spirito dimora in noi: «Interroga il tuo intimo - scrive sant'Agostino -. Se è pieno d'amore, hai lo Spirito di Dio».

L'incontro della donna con Gesù poteva sembrare casuale. Nessuno dei nostri incontri con Gesù (come il partecipare all'Eucaristia o il ritrovarci in famiglia per meditare il Vangelo o dialogare fra noi) è mai casuale, come è accaduto alla samaritana.
Gesù si abbassa fino a mendicare il dono della donna perché lei possa riscoprire la sua capacità di amare, la sua dignità. Il senso della sua vita non sta nel cercare l'acqua per la sua brocca, ma di donarla a chi è nel bisogno. Oggi, nella nostra società, tutto sembra dovuto, ho i miei diritti e li rivendico tutti, però ci accorgiamo che rimaniamo vuoti dentro. Il segreto per la samaritana, ed anche per noi, sta nel donare per ricevere. C'è, infatti, più gioia nel dare che nel ricevere!

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se tu conoscessi il dono di Dio... (Gv 4,10)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Se tu conoscessi il dono di Dio... (Gv 4,10) - (19/03/2017)
(vai al testo…)
 Egli ti avrebbe dato acqua viva (Gv 4,10) - (23/03/2014)
(vai al testo…)
 Egli ti avrebbe dato acqua viva (Gv 4,10) - (27/03/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Come Gesù, diventare sorgente e diffondere speranza (17/03/2017)
  Il dono di Dio, acqua viva che zampilla per la Vita (21/03/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2020)
  di Cettina Militello (VP 2.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 2.2014)
  di Marinella Perroni (VP 2.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Immagine: Dammi da bere, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, maggio 2015)


giovedì 12 marzo 2020

Io per te!


In questi giorni di emergenza di coronavirus, con tutta la responsabilità di seguire le indicazioni proposteci, potremmo essere tentati, proprio per difesa, di costruirci una sorta di rifugio che ci allontana sempre più dagli altri. Molti però sono i gesti disinteressati, anche piccoli, di pura fraternità, come quello di un gruppo di giovani dei Castelli romani che si sono messi gratuitamente a disposizione per fare la spesa per quanti non hanno la possibilità di recarsi presso gli esercizi commerciali.


Riporto quanto Giulia Chiara Guarracino, una giovane di Ischia, ha scritto:

Imparate a capire che questa è una lotta contro il nostro egoismo e non contro un virus.
Questa è un'occasione per trasformare un'emergenza in una gara di solidarietà.
Cambiamo il modo di vedere e di pensare.
Non sono più "io ho paura del contagio" oppure "io me ne frego del contagio", ma sono IO che preservo l'ALTRO.
Io mi preoccupo per te.
Io mi tengo a distanza per te.
Io mi lavo le mani per te.
Io rinuncio a quel viaggio per te.
Io non vado al concerto per te.
Io non vado al centro commerciale per te. Per te.
Per te che per colpa del mio menefreghismo e della mia indifferenza sei dentro una sala di terapia intensiva.
Per te che sei anziano e fragile, ma la cui vita ha valore tanto quanto la mia.
Per te che stai lottando con un cancro e non puoi lottare anche con questo.

(Fonte: www.focolaritalia.it)

mercoledì 11 marzo 2020

Quaresima 2020: Lasciarci riconciliare con Dio [2]


Riprendo il Messaggio di papa Francesco per questa Quaresima per mettermi in sintonia con lui e cercare di vivere bene questo momento.
Guardare alla misericordia di Dio e farne esperienza è guardare alle braccia aperte di Cristo crocifisso, per lasciarci salvare sempre nuovamente.
È fare l'esperienza della misericordia di Dio quando confessiamo i nostri peccati, credendo fermamente nella sua misericordia che libera dalla colpa.
Chiamato a contemplare il sangue versato con tanto affetto, lasciarmi purificare da esso.
Sì, solo credendo e affidandomi alla misericordia del Padre, che nel suo Figlio Gesù mi ha unito a Sé, sono in grado di sperimentare che la Pasqua di Gesù non è un avvenimento del passato. Oggi io sono raggiunto dalla sua misericordia; oggi, nella mia situazione concreta.
Lasciarmi guidare dallo Spirito è aprire la posta alla possibilità reale, oggi, che la Pasqua del Signore sia sempre attuale e mi permetta di guardare e toccare con fede la carne di Cristo in tanti sofferenti.
Ma l'esperienza della misericordia è possibile nell'incontro personale con il Signore, è possibile solo in un "faccia a faccia" col Signore crocifisso e risorto, "che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me".

lunedì 9 marzo 2020

Quaresima 2020: Lasciarci riconciliare con Dio [1]


«Vi supplichiamo in nome di Cristo; lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20) è la Parola che riassume il Messaggio di papa Francesco per la Quaresima di quest'anno. Ne faccio oggetto di riflessione che mi aiuti in questo tempo propizio a mettere a fuoco il Mistero della morte e risurrezione di Gesù, con cuore rinnovato.
Sì, con cuore rinnovato! Un cuore che si rinnova in una relazione sempre più profonda e vitale con Gesù: rientrare in me stesso, prendere coscienza della mia reale situazione, dei miei limiti e della capacità donatami di poterli superare. È un cammino faticoso e gioioso ad un tempo. Non una Quaresima dal volto triste, ma un tempo da vivere con nel cuore la gioia sempre crescente di andare incontro all'Amico, al Fratello… a Colui che nella sua Pasqua ha dato la vita per me. È la gioia, pur nella sofferenza, dell'incontro con Gesù, morto e risorto per me!
È la gioia che scaturisce dall'ascolto e dall'accoglienza della Buona Notizia della morte e risurrezione di Gesù. Conoscere e accogliere questa grazia è l'atto di fede più intelligente che una creatura, toccata dallo Spirito, possa esprimere: avere la coscienza della propria condizione di creatura, di aver ricevuto la vita che nasce dall'amore del Padre, dalla sua volontà di dare la vita in abbondanza. È respingere la menzogna secondo cui la nostra vita sarebbe originata da noi stessi. Menzogna ridicola ed inconcludente, nata dall'ascolto della voce suadente del "padre della menzogna". Menzogna che ci fa sprofondare nel baratro del non senso, sperimentando l'inferno già qui in terra.
Dalla gioia e dalla forza che scaturiscono dall'incontro col Risorto che, secondo la sua promessa, è sempre con noi, possiamo andare incontro alle miserie esistenziali dei nostri fratelli, farci prossimi a coloro che vivono nell'inferno del non senso, della tristezza e della noia… E dare speranza nella certezza che l'amore del Padre è manifesto nell'accoglienza personificata del Figlio.

domenica 8 marzo 2020

Gli effetti positivi del virus


Accanto agli effetti devastanti provocati dal virus, possiamo cogliere il positivo che sta emergendo da questa catastrofe:

  1. Obbliga a riscoprire gli affetti più prossimi, a rivalutare la famiglia e la casa come luoghi di sicurezza.
  2. Porta ad avere un po' più di umiltà nel considerarci "superiori" alle forze della natura.
  3. Ci spinge a uno stile di vita più sobrio, meno centrato sul continuo divertimento.
  4. Diminuisce il tempo che dedichiamo allo shopping fine a se stesso, non essenziale.
  5. Ci fa riscoprire i libri, tra le grandi vittime degli smartphone.
  6. Ci spinge a pregare un po' di più, a riscoprire la preghiera del cuore oltre a quella nelle chiese.
  7. Ci fa considerare il mondo più legato, più piccolo, più unito.
  8. Ci fa smettere di considerarci "più puliti e civili", cioè "superiori" a tanti altri popoli.
  9. Ci fa smettere di pensare che gli "untori" siano solo all'estero, in particolare nei Paesi più poveri.
  10. Fa diminuire l'inquinamento, persino nella soffocata Cina.
  11. Ci fa riconsiderare il fatto che il guadagno sia il solo scopo della vita.
  12. Meno pacche sulle spalle, meno abbracci buttati lì, diamo più importanza alla gestualità.
  13. Ci fa vivere di più nell'attimo presente, senza poter programmare granché.
  14. Sviluppa la ricerca medica e coinvolge i ricercatori in uno sforzo collettivo encomiabile.
  15. Evidenzia l'abnegazione di tanti, tantissimi operatori sanitari.
  16. Attori, politici, giornalisti e calciatori sono portati a usare espressioni più pacate.
  17. C'è un po' meno sport spettacolo, il che non è un male, anzi.
  18. Meno pubblicità intossica i nostri giorni.
  19. Sui social si leggono meno sciocchezze e più riflessioni serie.
  20. Diminuisce il gossip, a profitto della testimonianza.
  21. Cresce sui social l'umorismo (che risate che ci facciamo) e soprattutto l'autoironia.
  22. I governi e le istituzioni finalmente lavorano in modo concertato nella lotta alle fake news.
  23. Ci curiamo maggiormente dei nostri anziani, per evitare che siano contagiati.
  24. Ci si rende conto di come il corso normale della vita dipenda da tante relazioni sociali nascoste.
  25. Fa allentare i cordoni della borsa a non poche istituzioni economiche e finanziare mondiali.
  26. Ci fa considerare "più umani", cioè coi nostri limiti irriducibili.
Ognuno prosegua con la propria di lista. Nessun dubbio, sia chiaro, il Covid-19 è una sciagura, una iattura. Ma, come ricordava sant'Agostino, se si riceve uno schiaffo non è detto che esso sia volontà di Dio, ma il dolore che si sente lo è per forza. Nel dolore, nella sofferenza si può "crescere" come persone umane, perché siamo costretti a ritornare all'abc del senso della vita.

(Fonte: https://fabiociardi.blogspot.com/2020/03/gli-effetti-positivi-del-virus.html)

venerdì 6 marzo 2020

La fede, un cammino che viene dall'ascolto non dalla visione


2a domenica di Quaresima (A)
Genesi 12,1-4a • Salmo 32 • 2 Timoteo 1,8b-10 • Matteo 17,1-9
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Nella prima domenica di Quaresima abbiamo meditato sull'abbassamento del Figlio fino alla prova della fede, oggi contempliamo l'evento glorioso della trasfigurazione, in cui la voce del Padre rivela Gesù come Figlio amato. La liturgia ci invita quindi ad entrare e a percorrere, con Gesù, il cammino verso la Pasqua. La Quaresima è un momento forte di questa vita con Cristo: dal deserto dove abbiamo la tentazione e la lotta di Cristo, al monte della trasfigurazione. Gesù passa attraverso la sofferenza e la morte per essere glorificato.
Sei giorni prima - scrive Matteo - Gesù aveva detto che doveva soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venir ucciso e risorgere il terzo giorno. Poi aveva aggiunto: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Come per gli apostoli, così anche per noi, è difficile capire questa croce che dà la salvezza. Occorre tutta una paziente e lunga educazione. Per questo il Signore non solo si limita a dare l'annuncio della sua gloriosa passione, ma introduce gli apostoli e anche noi, mediante la celebrazione liturgica, nella esperienza viva del contatto con il mistero della sua persona. La trasfigurazione infatti è una esperienza pasquale anticipata per aiutare i discepoli ad accettare con una visione di fede lo scandalo della croce. Attraverso questo evento, Gesù «indicò agli apostoli che solo attraverso la passione, possiamo giungere a lui, al trionfo della risurrezione» (cf. Prefazio).
L'eucaristia è il momento nel quale l'assemblea dei discepoli rende grazie al Padre per averci introdotto nell'intelligenza vitale del mistero della trasfigurazione di Cristo, e nello stesso tempo è il momento nel quale questo mistero opera in noi una profonda trasformazione, ravvivando la grazia del battesimo. Il contatto con il corpo glorificato del Signore nell'eucaristia alla quale partecipiamo è il pegno che anche il nostro corpo di miseria sarà trasfigurato e reso conforme al suo corpo di gloria. Oggi si compie, dunque, un'altra tappa del nostro cammino Quaresimale verso la Pasqua. È un cammino di purificazione e di ascesi. Non si giunge alla gloria del mattino pasquale senza condividere la passione del Signore morendo all'egoismo, fonte dei nostri peccati.

Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre: «Questi è il mio Figlio diletto: ascoltatelo». L'imperativo del Padre ai fedeli è che diano ascolto totale al Figlio: è la rivelazione permanente che lo Spirito del Padre dona anche «oggi qui» per l'eccesso sovrabbondante della misericordia divina. E «oggi qui» noi ascoltiamo il Signore nella mensa della Parola e lo incontriamo nel banchetto eucaristico. Solo così saremo «figli del Padre», i «diletti del Padre», l'oggetto del compiacimento del Padre.
Ma per ascoltare la voce del Padre occorre entrare in una nube luminosa, che è un paradosso. Significa che Gesù rivela la sua gloria proprio nel momento più oscuro: la croce. Lì, dove sembrano vincere le tenebre, Gesù inonda il mondo di luce. Lui, il Servo sofferente, colui che non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi... proprio lui, è l'uomo nella sua bellezza più piena, perché è amato e sa amare; sentendosi amato è capace di amare sino alla fine. E il Padre ne dà la conferma: quest'uomo è proprio il Figlio amato. In lui il Padre ha posto il suo compiacimento. Sono le stesse identiche parole del battesimo. Ma rispetto al battesimo c'è una parola in più: Ascoltatelo! È il punto cruciale di tutto l'episodio.
Noi infatti non possiamo vedere Dio. La fede è un cammino nell'ombra. Non viene dalla visione, ma dall'ascolto.
La nostra trasfigurazione avviene oggi attraverso l'ascolto, che ci fa diventare come il Figlio amato. La nostra trasfigurazione inizia quando cominciamo ad ascoltare Gesù e a obbedire alla sua voce.
Ascoltare Dio significa fargli spazio. Quest'accoglienza comporta un cambiamento, una conversione. Sappiamo che quando capiamo che dobbiamo cambiare, ci sentiamo turbati: sentire questa ambivalenza di gioia e timore è il segno che stiamo facendo un'esperienza umanamente e religiosamente autentica.
Ed allora ci poniamo la domanda seria: ma io sento il timore quando ascolto il Vangelo che mi invita a cambiare?

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il suo volto brillò come il sole (Mt 17,2)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Gesù fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,2) - (12/03/2017)
(vai al testo…)
 Signore, è bello per noi essere qui! (Mt 17,4) - (16/03/2014)
(vai al testo…)
 Signore, è bello per noi essere qui! (Mt 17,4) - (20/03/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Un Dio che in Gesù fa risplendere tutta la nostra vita (10/03/2017)
  La Parola che ci trasfigura (14/03/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2020)
  di Cettina Militello (VP 2.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 2.2014)
  di Marinella Perroni (VP 2.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

lunedì 2 marzo 2020

La "paura" del contagio


Se per battere la paura del contagio da coronavirus, si mettono in ginocchio le nostre chiese.
di Andrea Riccardi (fonte: www.lastampa.it - 29 febbraio 2020)

La chiusura di tante chiese nel Nord Italia, la sospensione delle messe, i funerali solo con i familiari e misure del genere mi hanno lasciato una certa amarezza.
Non sono un epidemiologo, ma ci troviamo davvero di fronte a rischi così grandi da rinunciare alla nostra vita religiosa comunitaria? La prudenza serve, ma forse ci siamo fatti prendere la mano dalla grande protagonista del tempo: la "paura". Peraltro negozi, supermercati e bar (in parte) sono aperti, mentre bus e metro funzionano. E giustamente. Le chiese invece sono state quasi equiparate a teatri e cinema (obbligati alla chiusura). Possono restare aperte, ma senza preghiera comune. Che pericolo sono le messe feriali, cui partecipa un pugno di persone, sparse sui banchi in edifici di grande cubatura? Meno che un bar o la metro o un supermercato. Solo in Emilia sono state permesse le messe feriali.
Un forte segnale di paura. Ma anche l'espressione dell'appiattimento della Chiesa sulle istituzioni civili. Le chiese non sono solo "assembramento" a rischio, ma anche un luogo dello spirito: una risorsa in tempi difficili, che suscita speranza, consola e ricorda che non ci si salva da soli. Non voglio rammentare Carlo Borromeo, nel 1576-77, il tempo della peste a Milano (epidemia ben più grave del coronavirus e combattuta allora a mani nude): questi visitava i malati, pregava con il popolo e fece scalzo una folta processione per la fine del flagello. Di certo la preghiera comune in chiesa alimenta speranza e solidarietà. Si sa come motivazioni, forti e spirituali, aiutino a resistere alla malattia: è esperienza comune.
Il sociologo americano Rodney Stark, scrivendo sull'ascesa del cristianesimo nei primi secoli, nota come fu decisivo il comportamento dei cristiani nelle epidemie: questi non fuggivano come i pagani fuori dalle città e non sfuggivano agli altri, ma, motivati dalla fede, si visitavano e sostenevano, pregavano insieme, seppellivano i morti. Tanto che il loro tasso di sopravvivenza fu più alto dei pagani per l'assistenza coscienziosa, pur senza medicamenti, e per il legame comunitario e sociale. I tempi cambiano, ma le recenti misure sul coronavirus sembrano banalizzare lo spazio della Chiesa, rivelando la mentalità dei governanti.
Di fronte alla "grande paura", parla solo il messaggio della politica, unica e incerta protagonista di questi giorni. Il silenzio nelle chiese (anche se aperte) è un po' un vuoto nella società: il libero trovarsi insieme nella preghiera sarebbe stato ben altro messaggio, anche se ci vogliono prudenza e autocontrollo. Social, radio e televisione non lo sostituiscono.
Si capisce perché l'arcivescovo di Torino, monsignor Nosiglia, lamenti che, nell'ordinanza della Regione Piemonte (simile alle altre del Nord) «i servizi religiosi vengano considerati superflui e quindi non esenti da provvedimenti restrittivi». È così: "superflui". È un fatto su cui riflettere: prodotto di una politica che insegue la paura, anche se talvolta esibisce simboli religiosi. Ma il simbolo religioso, per eccellenza, è la comunità in preghiera.
Nemmeno ai tempi dei bombardamenti e del passaggio del fronte durante la seconda guerra mondiale (quando la Chiesa fu l'anima della tenuta di un popolo), si chiudevano le chiese e si sospendevano le preghiere. Anzi il popolo si radunava fiducioso in esse, nonostante i pericoli di bombe e massacri. Forse la collaborazione dell'autorità ecclesiastica locale con quelle regionali è stata troppo intesa come subordinazione a quest'ultima. Si finisce così per banalizzare la presenza e l'apporto della Chiesa, che dà invece un suo contributo alla vita delle persone. Si svolgono tristi funerali al cimitero, con solo pochi familiari. Il "silenzio" e la solitudine religiosa sono un aggravio tra le difficoltà. Proviamo ad ascoltare i sentimenti del "popolo di Dio": a Padova la famiglia di una quattordicenne, stroncata da un malore, ha rifiutato il funerale privato e l'ha ottenuto dalle autorità all'aperto per far partecipare tanti giovani.

domenica 1 marzo 2020

La "Regola d'oro": mettersi nei panni dell'altro


Parola di Vita - Marzo 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12).

Quante volte, nelle scelte importanti della vita, abbiamo cercato una bussola sicura, che ci indicasse il cammino da prendere? E, come cristiani, ci siamo chiesti quale sia la sintesi del Vangelo, la chiave per entrare nel cuore di Dio e vivere da figli suoi, qui e adesso?
Ecco una parola di Gesù che fa al caso nostro, una sua affermazione chiara, immediata da comprendere e da vivere. La troviamo nel vangelo di Matteo: fa parte del grande Discorso della montagna, dove Gesù insegna come vivere pienamente la vita cristiana. Egli stesso riassume tutto il suo annuncio in questa lapidaria affermazione.
Oggi, che abbiamo bisogno di messaggi ricchi di significato ma brevi ed efficaci, potremmo accogliere questa Parola come un prezioso tweet da tenere a mente ogni momento.

«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

Per comprendere meglio cosa fare per gli altri, Gesù ci invita a metterci nei loro panni; proprio come ha fatto lui, che per amarci ha preso la nostra carne umana.
Chiediamoci cosa ci aspettiamo noi dai nostri genitori, dai figli, dai colleghi di lavoro, dai responsabili di governo, dalle guide spirituali: accoglienza, ascolto, inclusione, sostegno nelle necessità materiali, ma anche sincerità, perdono, incoraggiamento, pazienza, consiglio, orientamento, istruzione.... Per Gesù questo atteggiamento interiore, con le azioni concrete che ne conseguono, realizza tutto il contenuto della Legge di Dio e tutta la ricchezza della vita spirituale.
È la "Regola d'oro", un insegnamento universale contenuto nelle diverse culture, religioni e tradizioni che l'umanità ha sviluppato nel suo cammino [1]. È la base di tutti i valori autenticamente umani, quelli che costruiscono una convivenza pacifica, con rapporti personali e sociali giusti e solidali.

«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

Questa Parola ci sprona ad essere creativi e generosi, a prendere l'iniziativa a favore di chiunque, a gettare ponti anche verso chi non ci è amico, come Gesù stesso ha detto ed ha fatto. Ci richiede la capacità di uscire da noi stessi, per essere così anche testimoni credibili della nostra fede.
Così ci incoraggia Chiara Lubich: «Proviamo. Una giornata così spesa vale una vita. [...]. Una gioia mai provata ci inonderà. [...]. Dio sarà con noi, perché è con coloro che amano. [...]. A volte forse rallenteremo, saremo tentati di scoraggiarci, di smettere. [...]. Ma no! Coraggio! Dio ci dà la grazia. Ricominciamo sempre. Perseverando, vedremo lentamente cambiare il mondo attorno a noi. Capiremo che il Vangelo porta la vita più affascinante, accende la luce nel mondo, dà sapore alla nostra esistenza, ha in sé il principio della risoluzione di tutti i problemi. E non avremo pace finché non comunicheremo la nostra straordinaria esperienza ad altri: agli amici che ci possono comprendere, ai parenti, a chiunque ci sentiamo spinti a darla. Rinascerà la speranza» [2].

«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

Ramiro, veterano sul suo posto di lavoro, viene a sapere che arriveranno nuovi colleghi.
Si domanda: "Se entrassi per la prima volta in questo ufficio, cosa mi piacerebbe trovare? Cosa mi farebbe sentire a mio agio?" Così si mette in azione per fare spazio, cerca altre scrivanie, coinvolge altri colleghi. Preparano insieme nuove postazioni di lavoro accoglienti e i nuovi arrivati trovano un clima gioioso ed una comunità di lavoro più unita.

Letizia Magri

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[1] Qualche esempio: "Quello che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri. Questa è tutta la Torah. Il resto è commento". (Ebraismo); "Nessuno di voi è un fedele finché non desidera per suo fratello ciò che desidera per se stesso". (Islam); "Non fare danno ad altri in modi che troveresti dannosi a te". (Buddismo). Cf. http://www.aecna.org/Amicizia_Ebraico_Cristiana_di_Napoli/Regola_doro.html.
[2] C. Lubich, Parola di Vita aprile 1978, in eadem Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) p. 104-105.




Fonte: Città Nuova n. 2/Febbraio 2020