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martedì 30 luglio 2019

Nella "creatività" del nostro dare


"Rilettura", alla fine del mese, della Parola di Vita di luglio.

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).

È necessario avere un cuore grande per amare. "Abbiamo bisogno di dilatare il cuore sulla misura del cuore di Gesù. Si tratta di amare ognuno che ci viene accanto come Dio lo ama" (Chiara Lubich). La dimensione del cuore è misurata dalla generosità e dalla misericordia verso tutti. Avere un cuore grande è poter amare tutti senza distinzione; è avere un amore estremo che si lascia anche morire per far vivere l'altro; è avere un cuore simile a quello di Gesù che, sulla croce, ha dato la vita per noi.
Occorre allora testimoniare con la nostra vita l'amore di Dio. Tutto il nostro comportamento dovrebbe rendere credibile questa verità che annunciamo. Motivati dall'immenso desiderio di amare Dio, mettiamo amore in tutto ciò che facciamo, in ogni parola che diciamo, in ogni pensiero, in ogni preghiera. Attraverso di noi l'amore di Dio arriva ai confini della terra, raggiunge ogni persona, ogni creatura. Dio, guardandoci dal Cielo e notando come il suo amore si diffonde intorno a noi, vedrà che tutto è molto buono e rinnoverà il volto della terra.
Spinti da questo amore, cerchiamo di andare incontro ai bisogni del fratello con creatività, cercando Gesù negli uomini e nelle donne prigionieri del dolore e della solitudine. Ci comportiamo come Gesù che ha incontrato personalmente una umanità smarrita e sofferente e ne ha avuto compassione. Per questo desidera moltiplicare attraverso (di noi) la sua opera di salvezza, di guarigione, di liberazione.
Quando qualcuno ci chiede aiuto o quando ci accorgiamo che qualcuno ha bisogno del nostro aiuto, dobbiamo andargli incontro. Quando agiamo così, con l'intenzione di amare, la creatività dello Spirito Santo ci accompagna.
Inoltre, vivendo la Parola, scopriamo che c'è più gioia nel dare che nel ricevere. E quando il dare è reciproco, genera comunione, unità, fraternità. Quando più persone vivono questo dono reciproco, si crea una nuova mentalità, una nuova cultura: la cultura del dare. E non è la quantità dei beni che posseggo che conta, conta davvero vivere la cultura del dare e, nel poco o nel tanto, contribuisco alla fraternità. Lungo tutto il Vangelo Gesù invita a dare: dare ai poveri, a chi domanda…; dare da mangiare a chi ha fame, il mantello a chi chiede la tunica; dare gratuitamente. Lui stesso ha dato per primo: la salute agli ammalati, il perdono ai peccatori, la vita a tutti noi. All'istinto egoista di accaparrare oppone la generosità; all'accentramento sui propri bisogni, l'attenzione all'altro; alla cultura del possesso quella del dare.
Un programma di vita: Vuoi aiutare molta gente? Dai tutto ciò che ti avanza. Vuoi vivere in comunione con gli altri? Condividi tutto ciò che hai. Vuoi costruire il Regno di Dio qui sulla terra? Gestisci tutto ciò che hai per questo scopo. Vuoi un futuro felice e un'eredità garantita? Staccati da quello che hai e accumula tesori nel Cielo. Allora, posso dare tutto, perché a Dio non si dà nulla a metà. E la sua Provvidenza, che conosce tutti i miei bisogni, a tutto penserà! Già fin da adesso posso dare la vita per ogni persona che incontrerò, dedicando il mio tempo e il mio amore. E alla fine della giornata sentirò nel mio cuore la pienezza della vita vera. Ma occorre essere liberi da ogni attaccamento!
C'è un mondo del bene che non è diffuso dai mezzi di comunicazione ma che si dissemina da cuore a cuore. Partecipare a questo mondo nuovo e affascinante è una decisione personale. Possiamo perciò iniziare una rivoluzione dentro e fuori di noi se cominciamo a scoprire i bisogni degli altri: avere cura, dare attenzione, fare in modo che l'altro esista dentro di noi. Tutto può trasformarsi in servizio attento e premuroso. L'amore ci darà occhi nuovi per intuire ciò di cui gli altri hanno bisogno e per venire loro incontro con creatività e generosità.
L'amore di Dio deve passare attraverso di me per raggiungere tutti. Devo essere un canale totalmente libero dall'egoismo e dal peccato, un canale che irriga con amore puro e genuino tutti gli ambienti in cui vivo. Devo lasciar passare attraverso di me l'amore che è l'essenza stessa di Dio, che è il suo essere; lasciar passare la sua luce per aiutare le persone nelle loro scelte. Essere un canale per distribuire tutti i doni ricevuti gratuitamente da Dio. Così, i doni circoleranno, perché l'amore chiama amore. La gioia si moltiplicherà perché c'è più gioia nel dare che nel ricevere.
Ne consegue che ciò che ho in più appartiene a chi non ha. Questo è un principio che ci aiuta a vivere la comunione fraterna, che ci sensibilizza a vedere i bisogni degli altri. La piena realizzazione della comunione si ha quando abbiamo un distacco totale dai beni e mettiamo in comune non solo il superfluo, ma tutto ciò che abbiamo; sapendo bene che a base della comunione fraterna c'è una decisione libera e spontanea, frutto dell'amore a Dio e al prossimo. Quando viviamo nell'amore reciproco, la comunione diventa la normalità della nostra vita, insieme alla fede nella Provvidenza.
La logica di Gesù e del vangelo è sempre ricevere per condividere, mai accumulare per se stessi. È un invito a riconoscere ciò che abbiamo ricevuto: energie, talenti, capacità, beni materiali, e metterli a servizio degli altri.

domenica 28 luglio 2019

Non sono supplenti dei preti
  Diaconi. Che fare?


di Dario Vitali, docente alla Gregoriana

Diaconi. Che fare? È questo il titolo di un recente saggio sul diaconato, a firma del sottoscritto, pubblicato dalle edizioni San Paolo. Vita Pastorale mi chiede di farne una breve presentazione, per illustrare non solo i contenuti del libro, ma lo status quaestionis sul diaconato. Il libro, in effetti, nasce da un interrogativo intorno alla situazione attuale in cui versa il diaconato. È sotto gli occhi di tutti come, alla moltiplicazione esponenziale delle ordinazioni diaconali, non corrisponda un rilievo significativo di questo ministero nella vita della Chiesa. A parte lodevoli eccezioni, il diaconato tende a risolversi in un ruolo di supplenza dei presbiteri, in ambito soprattutto liturgico. Se questo è l'esito che si sperava, francamente non si vede dove stia l'utilità del ripristino, voluto dal concilio Vaticano II.
A partire da tale evidenza, l'interrogativo ulteriore è se questo profilo insufficiente dipenda dal Concilio, o se l'attuale situazione non derivi piuttosto da una debole recezione di quanto proposto nella costituzione dogmatica sulla Chiesa quando, superando la visione tridentina del diaconato come ordine transeunte verso il sacerdozio, lo ha qualificato come «grado proprio e permanente della gerarchia» (LG 29).
Per questo la prima parte del saggio è interamente dedicata a studiare il Concilio e la sua attuazione. Dallo studio degli Acta synodalia emerge con chiarezza un doppio livello del discorso: il tema del diaconato è entrato nella costituzione sulla Chiesa come richiesta dei vescovi nei Paesi di missione, i quali vedevano nel suo ripristino la possibilità di sopperire alla carenza di clero nelle diocesi. Ma nella discussione in aula il tema si è poi imposto a livello teologico, portando al recupero della visione del ministero ordinato dei primi secoli: «Il ministero divinamente istituito viene esercitato in ordini diversi da coloro che già in antico vengono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi» (LG 28). Il paragrafo successivo (LG 29), interamente dedicato al diaconato, ne afferma la natura specificamente ministeriale: i diaconi non sono ordinati ad sacerdotium, ma ad ministerium. Ma proprio questa differenza ha faticato a imporsi nella disciplina post-conciliare. I vari documenti magisteriali tendevano a inquadrare il diaconato nella logica dell'agere in persona Christi capitis, tipico del ministero sacerdotale.
Solo con il passare del tempo è stata avvertita la differenza tra ministero sacerdotale e diaconale, evidenziando la natura ministeriale del diaconato. Tuttavia, il suo pirofilo teologico e sacramentale è sempre rimasto debole, anche per una difficoltà a ripensare il diaconato nel quadro del ministero ordinato e dei ministeri nella Chiesa. Per uscire da questo vicolo cieco, è stato necessario tornare alle origini: la seconda parte del libro è dedicata alla Sacra Scrittura e ai padri della Chiesa. L'indagine sul Nuovo Testamento attesta l'esistenza dei diaconi fin dall'epoca apostolica, come figure che emergono dentro il processo di strutturazione della Chiesa, nel passaggio dall'epoca apostolica a quella sub-apostolica. Processo che può dirsi concluso a fine II-inizio III secolo, quando in tutta la Chiesa si impone la struttura gerarchica costituita dal vescovo con il suo presbiterio e con i diaconi.

A favorire l'affermarsi dei diaconi è stato senz'altro il modello di Chiesa delle origini che, in un orizzonte marcatamente escatologico, si caratterizzava per la comunione dei beni, in modo che «nessuno tra essi fosse bisognoso». Gesù prima, gli Apostoli poi e a seguire i vescovi hanno avuto cura dei poveri e degli ultimi, come segno dell'avvento del Regno. In questa logica i diaconi diventano gli occhi e la mano del vescovo, per vedere e soccorrere le indigenze. Essi sono ordinati ad ministerium episcopi, non per la funzione liturgico-sacramentale, riservata al vescovo e al suo presbiterio, ma per il servizio al corpo ecclesiale, soprattutto dei poveri. Tutto ciò che riguarda la vita della comunità e dei suoi membri, dalla nascita alla morte, passa per il servizio dei diaconi.
Quando muterà il modello di Chiesa e si imporrà il cristianesimo quale religione dell'impero, tutte le funzioni gerarchiche di fatto verranno circoscritte nello spazio del sacro: il diaconato verrà a perdere il suo specifico, decadendo a funzione clericale subordinata e caratterizzata in senso soprattutto liturgico, configurata nel quadro degli ordini minori e maggiori sancito al concilio di Trento. La lezione della Tradizione permette di impostare un discorso teologico sulla natura del diaconato come ordine ad ministerium episcopi, dentro il quadro di un'ecclesiologia della Chiesa locale e di fornire proposte concrete per il ripensamento del ministero dei diaconi, sulla base soprattutto della formula conciliare, che li vede «dediti ai servizi della carità e dell'amministrazione» (LG 29).
Il quadro teologico e le proposte ministeriali che faccio partono tutte da questo quadro, ridisegnato a partire dall'ascolto delle fonti più antiche. Queste ci rimandano un profilo del diaconato complementare a quello dei presbiteri, in un servizio al Popolo di Dio nella Chiesa locale, negli ambiti soprattutto delle povertà, antiche e nuove. Il profilo che questo libro assegna al diaconato mostra che esso deve essere una risorsa e non un problema per la Chiesa.

(Fonte: Vita Pastorale, N. 8 Agosto-Settembre 2019)

venerdì 26 luglio 2019

Un padre per Dio


17a domenica del Tempo ordinario (C)
Genesi 18,20-32 • Salmo 137 • Colossesi 2,12-14 • Luca 11,1-13
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Quando pregate, dite: «Padre»
Gesù ci chiama e ci fa entrare nella comunione tra Lui e il Padre. Noi possiamo pregare perché Lui prega il Padre: come potremmo dire "Padre" se non in e con Lui? Per dire "padre" occorre che qualcuno mi chiami "figlio". Il Padre è il padre di Gesù e Gesù ce ne partecipa la paternità, rendendoci partecipi della sua figliolanza.
Pregare è uscire dalle apparenze e vivere in modo cosciente ciò che siamo, cioè "figli di Dio". La preghiera ci chiede di stare come Gesù davanti al Padre: sentirci guardati e amati come Gesù dal Padre e renderci disponibili come Gesù alla "volontà" del Padre. Una volontà che, come Gesù ci invita a dire nel Padre nostro, non è una "invenzione" di Dio a cui adeguarci, ma è il suo disegno d'amore che, completo in cielo, inizia a realizzarsi già sulla terra.
Pregare significa allenarci a dire: «So che Tu sei qui, mi guardi e mi vuoi bene. E io mi affido a Te, Tu sai meglio di me che cosa mi serve e sono pronto a far mio il tuo disegno».
Un momento tutto particolare in cui acquista risalto il "nostro" è l'Eucaristia, momento comunitario per eccellenza: la "preghiera eucaristica" è rivolta al Padre per mezzo di Gesù, ringraziandolo per la "grande opera" di liberazione e di salvezza compiuta nel "mistero pasquale".
Dovremmo spesso ripetere: «Padre (Abbà=Papà) mi abbandono a te, fammi conoscere il tuo disegno».

Darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono
Gesù ci invita a chiedere l'unica "cosa buona": lo Spirito Santo. Solo con lo Spirito entriamo nei "pensieri" del Padre e riusciamo a far nostri i suoi progetti.
Chiediamo di lasciarci illuminare dalla sua Parola, di portare tutti a riconoscerlo come Padre, di vivere da fratelli, condividendo "il nostro pane quotidiano", di entrare nella logica del Suo perdono, di saper intravedere il Suo amore anche nella prova.
Quando preghiamo, non chiediamo tanto a Dio di cambiare le situazioni in cui viviamo, ma di capire come vivere le situazioni stesse da figli, sullo stile di Gesù.
E allora, la nostra preghiera parte dai nostri bisogni o è risposta alla Parola di Dio? E sappiamo chiedere di vivere da figli, come Gesù, anche i momenti meno facili e meno immediatamente comprensibili?

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chiedete e vi sarà dato (Lc 11,9)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Quando pregate dite: Padre (Lc 11,2) - (24/07/2016)
(vai al testo)
 Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,1) - (28/07/2013)
( vai al testo…)
 Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano (Lc 11,3) - (23/07/2010)
(vai al post "La risposta del Padre")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Pregare è riattaccarsi alla vita (22/07/2016)
  Signore, insegnaci a pregare… (26/07/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2019)
  di Luigi Vari (VP 6.2016)
  di Marinella Perroni (VP 6.2013)
  di Claudio Arletti (VP 6.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Illustrazione: "Insegnaci a pregare", Bernadette Lopez)

martedì 23 luglio 2019

L' "Inno alla gioia" con l'armonica a bocca


Il 10 maggio scorso è partito per il Cielo don Mario Bodega, della chiesa ambrosiana, di Lecco, da 10 anni parroco di San Vito a Loppiano (Incisa Valdarno, Firenze), la cittadella dei Focolari. Ho avuto la fortuna, anzi la grazia, di poter collaborare con lui per più di dieci anni, prima del suo trasferimento a Loppiano, nel "servire" i moltissimi sacerdoti e diaconi permanenti che nei vari continenti seguono la spiritualità di Chiara Lubich. È una di quelle grazie che lasciano un'impronta indelebile nell'anima. Perché la sua anima era un'anima accogliente, come Maria, dove ognuno si sentiva compreso, amato, e potevi sperimentare quella pace dentro che è dono dello Spirito. Ogni volta che gli si chiedeva come stesse, rispondeva semplicemente: «Sono contento!».
Il suo funerale è stato celebrato il 13 maggio, giorno della Madonna di Fatima, nel Santuario Maria Theotokos a Loppiano (vedi il video…).


Don Piero Coda, preside dell'Istituto Universitario Sophia a Loppiano, ha scritto questo articolo (che riporto di seguito) nel periodico Città Nuova: L' "Inno alla gioia" con l'armonica a bocca.

Non è facile, oggi, fare il prete. Di prestigio non ce n'è più neanche l'ombra, anzi! Quello che prevale, spesso, è piuttosto il sospetto, quando non la commiserazione. Eppure, di preti in gamba che non salgono agli onori della cronaca ma fanno il loro dovere con rigore testimoniando la gratuità e la bellezza del Vangelo, non di rado sino in fondo senza risparmiarsi, ce ne sono. E non pochi.
E quando li conosci da vicino, almeno un po', respiri un profumo evangelico genuino che tocca il cuore e lascia il segno. Qualcosa che ti dice: «Guarda che la cosa che vale e resta – l'unica vera e bella – è l'amore che metti dentro tutto quanto fai e vivi, soprattutto nelle relazioni con gli altri quando hanno più bisogno, l'amore che viene da Dio. L'Amore che è Dio».

Don Mario Bodega – per 10 anni parroco di San Vito a Loppiano – è uno di questi. "È" – mi viene spontaneo dire – perché lo sentiamo vicinissimo, anche se ci ha lasciato il 10 maggio scorso, a un anno preciso dalla visita di papa Francesco alla prima tra le cittadelle dei Focolari.
Don Mario aveva da poco festeggiato i 50 anni della sua ordinazione presbiterale ricevuta a Milano, lui nato a Lecco, «su quel ramo del lago di Como…», come amava ripetere citando il Manzoni. Il Parkinson che da qualche anno lo affliggeva senza minimamente piegarlo, gli stava impedendo via via di camminare e di parlare. E il papa – a cui era stato presentato con affetto da mons. Mario Meini, vescovo della diocesi di Fiesole, cui appartiene Loppiano –, abbracciandolo con trasporto, lo ha incoraggiato: «Continua a lavorare da seduto!».
Sì, don Mario ha continuato a lavorare "da seduto", ma con indomita energia spirituale. Sino al suo ultimo respiro, spendendo le risorse del suo cuore e della sua intelligenza, tutta intrisa ormai di sapienza nella quotidianità della vita e del ministero, per la sua gente, vicina o lontana che fosse. Negli ultimi tempi, non potendo più parlare, ma già prima – chissà da quando: si può pensare, suppongo, dalle sue scampagnate di giovane prete coi ragazzi dell'oratorio –, per dare espressione a quel qualcosa che, quando ha preso l'anima, si vorrebbe comunicare a tutti ma non si riesce, aveva trovato un modo tutto suo: tirava fuori dalla tasca l'armonica a bocca e suonava l'Inno alla gioia di Beethoven. Così fino all'ultimo. La sua vita di prete è stata questo: una sinfonia di gioia semplice e profonda, vera e bella, perché sempre pagata a caro prezzo con discrezione, una sinfonia ricca d'innumerevoli armoniche e condivisa con ognuno che ha incontrato e con cui ha percorso un tratto di cammino, soprattutto quando c'era di mezzo qualche lacrima, qualche prova, qualche sofferenza, qualche sospensione.

Quando s'è sparsa la notizia della sua morte, tra le tante spontanee attestazioni di affetto e gratitudine ne sono arrivate alcune dai giovani musulmani che, negli anni passati, hanno soggiornato a Loppiano per condividere la propria esperienza con giovani cristiani nel progetto Wings of Unity dell'Istituto Universitario Sophia. Uno scrive: «È stato abbracciato dalla Misericordia di Dio – l'amante si unisce infine al suo Amato. Possa Egli annoverarlo tra i Suoi servi più benedetti e concederGli la Sua vicinanza». Un altro: «Sarà sempre molto ricordato! Con l'aiuto di Dio voglio parlare di lui ai miei figli». E un altro ancora, rivolgendosi direttamente a lui: «Caro don Mario, in te abbiamo incontrato un volto della Misericordia di Dio. Che Dio benedica la tua splendida anima». Vien da pensare che la crisi che oggi investe la figura del prete è, forse, una purificazione. Un ritorno all'essenziale. Un riportare il servizio del prete, in mezzo alla gente, alla sorgente. Che è Gesù. Gesù con Maria. Perché torni a zampillare, come diceva papa Giovanni, anche nel tumulto della città, la fontana del villaggio che a tutti dispensa, gratuita e generosa, acqua limpida e fresca. Misericordia, luce, conforto, speranza.
Grazie, don Mario!

venerdì 19 luglio 2019

Far "casa" a Gesù


16a domenica del Tempo ordinario (C)
Genesi 18,1-10 • Salmo 14 • Colossesi 1,24-28 • Luca 10,38-42
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Marta lo ospitò nella sua casa
Gesù si sente"accolto" nella casa di Marta e di Maria. Riceve attenzioni premurose e trova un amoroso ascolto.
Possiamo qui intravvedere l'identità del discepolo: rimanere in ascolto e, nello stesso tempo, essere disponibile nel servizio. Non è possibile amare Gesù e dimenticare il prossimo e neanche amare il prossimo e dimenticare Gesù.
Quando ci confrontiamo col Vangelo, siamo già in atteggiamento di servizio: esso ci spinge a servire, ad amare senza pretendere il contraccambio, a vedere negli altri il "bisogno" di Gesù, a donare il Vangelo come il dono più grande.
E quando compiamo gesti di amore al prossimo, serviamo e onoriamo il Padre, facendo ciò che a Lui piace come atto di "servizio sacerdotale".

Marta, ti agiti per molte cose
Non è tanto importante fare tutto il bene possibile, quanto scegliere ciò che non deve mai mancare: prima di tutto l' "ascolto" amoroso del Vangelo. Anche Gesù nella sua vita non ha fatto di meno, ma neppure di più di quello che il Padre gli chiedeva.
Il rischio è di lasciarsi prendere dalle tante cose da fare, o personalmente (salute, sport, viaggi, lavoro...) o come comunità (oratorio, feste, opere di assistenza...) e di trascurare il posto riservato alla Parola.
Il primo servizio, che la comunità cristiana è chiamata ad offrire, è l'ascolto e la messa in atto del Vangelo: non possono mancare, sotto una forma o l'altra, i "gruppi del Vangelo", dove invitare tutti, ma soprattutto chi opera in parrocchia, i genitori dei ragazzi che si preparano ai Sacramenti, i fidanzati che chiedono il matrimonio cristiano, chi è colpito da un lutto... Qui i credenti si incoraggiano a vicenda e i lontani incontrano non tanto una dottrina, ma una comunità vivente.
Allora non è superfluo chiederci che cosa ci attendiamo come prima cosa dalla parrocchia: occasioni di ascolto e di confronto sul Vangelo o la risposta ad altre cose.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Maria ha scelto la parte migliore (Lc 10,42)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Marta lo ospitò (Lc 10,38) - (17/07/2016)
(vai al testo)
 Maria ha scelto la parte migliore (Lc 10,42) - (21/07/2013)
( vai al testo…)
 Tu ti affanni e ti agiti per molte cose (Lc 10,41) - (16/07/2010)
(vai al post "L'essenziale")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Dio cerca amici che lo accolgano nel loro cuore (15/07/2016)
  L'anima del servizio (19/07/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2019)
  di Luigi Vari (VP 6.2016)
  di Marinella Perroni (VP 6.2013)
  di Claudio Arletti (VP 6.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione: "Marta e Maria", Bernadette Lopez)

mercoledì 17 luglio 2019

La solitudine di Francesco


Il giornalista Marco Politi ha presentato il suo libro La solitudine di Francesco. Un papa profetico, una Chiesa in tempesta (Editori Laterza), il 25 giugno 2019 in occasione del Festival letterario Passaggi a Fano (PU), con la presenza del vescovo di Fano Armando Trasarti.

Riporto l'articolo di Fabrizio Floris, pubblicato su "www.vita.it".

Il tema è lo scontro sotterraneo (ma anche aperto) per mettere Francesco, il pontefice riformatore, con le spalle al muro. Preti, blogger e cardinali conducono un'opera sistematica di delegittimazione e, mese dopo mese, si va compattando un fronte conservatore con notevole forza organizzativa e mediatica. Mentre appare debole la mobilitazione dei sostenitori della linea riformatrice di Francesco: vescovi e cardinali si affacciano poco sulla scena per difendere il papa e appoggiare gli obiettivi di cambiamento. Spira un vento di forte opposizione.
La novità è che non si tratta solo di cronaca, ma di una serie di eventi che vanno a toccare la fede di ogni credente. Un po' come per Mani Pulite anche per il cristianesimo la criticità del Papa è il mettere in discussione la fede di ognuno: la purifica e ci aiuta a comprenderne le ragioni. Il suo comportamento è una sfida quotidiana alla gerarchia, alla curia, ai fedeli perché in passato la base era più avanti del Papa ora è il contrario, Francesco precede e va oltre. Quando il Papa bacia i piedi ai due presidenti guerrafondai del Sud Sudan, oppure lava i piedi ai carcerati, o riceve la famiglia di origini rom predica con i gesti, segni che hanno potere, scuotono e mettono in discussione la coerenza di ognuno. È relativamente facile fare il cristiano in chiesa, persino spezzare un'ostia, ma farlo nella vita quotidiana è una sfida scomoda. È irrazionale e "innaturale". Perché andare a trovare una persona vecchia, paranoica, scorbutica? Un uomo ubriaco che vive per strada? I ragazzi che fumano hashish ai giardinetti? Dare la mano ad una persona che ti ha fatto un torto? È molto più comodo stare a casa, recitare qualche rosario, guardare la tv, uscire con gli amici, oppure balconare sui mali del mondo. Come spiega bene il libro Francesco è il primo Papa che viene dalla realtà di una città globale come Buenos Aires: una città-mondo che "ingloba" i tradizionali confini che dividevano il pianeta e li concentra nello spazio di pochi chilometri: favelas, case della classe media, grattacieli. Qui il Papa ha vissuto, ha attraversato questi confini fisici, morali e sociali. I papi precedenti venivano da piccoli paesi di provincia e da percorsi interni alla curia, Francesco invece viene dalla realtà globale.
La sua solitudine è interna ai poteri costituiti, ai potentati economici, alla gerarchia e arriva fino ai fedeli. In un recente incontro con i nunzi apostolici ha chiesto come mai alcuni tra loro scrivono blog e organizzano attività contro il Papa. Da qui il verificarsi di fatti inediti e senza precedenti le accuse di eresia, varie lettere e documenti di "correzione filiale", offensive social del mondo "devoto", striscioni in via della Conciliazione e manifesti di sberleffo, fino a come ha ricordato il Vescovo Trasarti a "preghiere per la morte del Papa".
Il Vescovo si è poi soffermato sulla sua solitudine di fronte al caso di un prete accusato e poi condannato per pedofilia: "nessuno mi ha chiamato". E al fatto sconcertante che dopo la condanna sia in primo grado che in appello da parte del tribunale civile ed ecclesiale il sacerdote sia ora responsabile di un centro per esercizi spirituali nella diocesi di Pordenone eludendo così la condanna perché basta "trovare un Vescovo amico". Addirittura con un leggero cambio del nome il prelato ha scritto un articolo persino sull'Osservatore Romano. È forse il destino dei profeti quello di restare soli, ma come ha spiegato il Vescovo Trasarti, "non si tratta di una solitudine narcisistica", ma donativa. "È un pontificato drammatico in cui ci sono cardinali che attaccano il papa e atei che lo sostengono" secondo p. Antonio Spadaro.

venerdì 12 luglio 2019

Il "prossimo": io o tu?


15a domenica del Tempo ordinario (C)
Deuteronomio 30,10-14 • Salmo 18 • Colossesi 1,15-20 • Luca 10,25-37
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Chi è il mio prossimo?
Gesù mette in scena due osservanti delle pratiche religiose e un samaritano, un eretico per gli Ebrei, escluso dal culto, per sottolineare il legame stretto fra l'amore per Dio e quello del prossimo. Per amare Dio, non bastano gli atti di culto.
Gesù per primo si fa "prossimo": essendo Dio, si fa uomo per amore dell'uomo.
Si ama Dio, se si ama chi Lui ama: il culto, separato dalle opere d'amore, è sterile, anzi falso. L'uomo ferito è "tempio" di Dio.
Allora è possibile anche a chi non può ricevere i sacramenti, a chi non può andare in chiesa, onorare e amare il Padre: le opere dell'amore si traducono in "culto", l'amore del prossimo mette in comunione col Padre.
Chiediamoci, allora: noi, come ci saremmo comportati in quella situazione? Siamo sempre in grado di legare l'onore che rendiamo a Dio con il servizio del prossimo?

Lo vide e ne ebbe compassione
Per amare, non basta "vedere" chi soffre, scoprire le cause delle miserie e delle ingiustizie, reclamare ciò che deve fare lo Stato o la Chiesa e neppure fare qualche gesto di solidarietà. Occorre la "com-passione": far nostra la sofferenza degli altri, cambiare atteggiamento nei confronti degli altri, metterci in certo senso al posto di chi soffre e fare per lui ciò che vorremmo fosse fatto a noi. "Ciò che fate agli altri, lo fate a me" ci ripete Gesù (cf. Mt 25,31-46).
Amare Dio con tutto il cuore, tutta l'anima, tutta la forza e tutta la mente si traduce nell'amare con tutto il cuore, con tutta l'attenzione, con tutta la premura, mettendo da parte le nostre preoccupazioni, il prossimo che momento per momento ci passa accanto.

Chi è stato prossimo a colui che caduto nelle mani dei briganti?
Chi ha avuto compassione di lui. Va' e anche tu fa' così.

A chi mi devo fare prossimo? Papa Francesco, nell'omelia in occasione dell'anniversario della visita a Lampedusa, ha detto: «Gesù rivela ai suoi discepoli la necessità di un'opzione preferenziale per gli ultimi, i quali devono essere messi al primo posto nell'esercizio della carità. Sono tante le povertà di oggi. […] Il mio pensiero va agli "ultimi" che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono. Sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un'accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea. Essi sono solo alcuni degli ultimi che Gesù ci chiede di amare e rialzare. Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti. Nello spirito delle Beatitudini siamo chiamati a consolare le loro afflizioni e offrire loro misericordia; a saziare la loro fame e sete di giustizia; a far sentire loro la paternità premurosa di Dio; a indicare loro il cammino per il Regno dei Cieli. Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! "Non si tratta solo di migranti!", nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata».

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Vide e ne ebbe compassione (Lc 10,33)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Gli si fece vicino (Lc 10,34) - (10/07/2016)
(vai al testo)
 Va' e anche tu fa' così (Lc 10,37) - (14/07/2013)
( vai al testo…)
 Chi è il mio prossimo? (Lc 10,29) - (09/07/2010)
(vai al post "Farsi prossimo")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Chiamati a diventare samaritani (08/07/2016)
  Come farsi prossimo (12/07/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2019)
  di Luigi Vari (VP 5.2016)
  di Marinella Perroni (VP 5.2013)
  di Claudio Arletti (VP 6.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione: "Il buon samaritano", acquarello di Maria Cavazzini Fortini)

venerdì 5 luglio 2019

I nostri nomi sono scritti nel cuore del Padre


14a domenica del Tempo ordinario (C)
Isaia 66,10-14c • Salmo 65 • Galati 6,14-18 • Luca 10,1-12.17-20
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Pregate il padrone della messe
Pregare è "ascoltare" i desideri del Padre. Gesù vede l'umanità, anche quella di oggi, come un campo di grano pronto per la raccolta, che cerca Lui, anche senza saperlo, e aspetta il Vangelo. Gesù chiede a noi di avere il suo pensiero, guardando all'umanità bisognosa di Lui: bambini, giovani, anziani, sposi, famiglie, divorziati, malati, politici...
Allora sentiamo che comunicare il Vangelo, la "bella notizia", è il dono più bello che possiamo fare, cercando per primi di "applicare" il Vangelo alla nostra vita, scoprendo che è unica la "felicità" che Gesù ci offre.
Così ci ritroviamo, a due a due, a mettere in comune le scoperte fatte, rendendo visibile il Vangelo come fonte della comunione più vera: così in terra come in cielo.
E guardiamo ogni persona come pronta alla fede, "candidata" pure lei all'incontro con Gesù, con nel cuore l'urgente esigenza di "comunicare" il Vangelo con la testimonianza della nostra vita.

I vostri nomi sono scritti nei cieli
La gioia più vera non è non dal cercare o vedere il "successo", sia pure spirituale, ma sentirsi "amati" dal Padre alla maniera di Gesù.
Nell'annuncio e nella testimonianza c'è anche il come agnelli in mezzo a lupi: Gesù ci chiede di testimoniare il Vangelo anche a gente che non lo vuole e pensa di poterne fare a meno, non sapendo che la ricerca della felicità, della verità, della pace, della sicurezza, dell'amore è una ricerca implicita di Lui.
Nel comunicare il Vangelo, amando tutti uno a uno, richiamando con la vita e con la parola al legame di "figliolanza", la ricompensa più radicale è sperimentare che il Padre ci ama ed è contento di noi.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Pregate il Signore della messe (Lc 10,2)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Pregate il Signore della messe (Lc 10,2) - (03/07/2016)
(vai al testo)
 Pregate dunque il Signore della messe (Lc 10,2) - (07/07/2013)
( vai al testo…)
 Li inviò a due a due (Lc 10,1) - (02/07/2010)
(vai al post "Mandati a due a due")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Operai disarmati, ma portatori di Dio (01/07/2016)
  La nostra responsabilità nell'annuncio del Vangelo (05/07/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2019)
  di Luigi Vari (VP 5.2016)
  di Marinella Perroni (VP 5.2013)
  di Claudio Arletti (VP 6.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Bernadette Lopez)

giovedì 4 luglio 2019

I migranti e noi


Riporto da Città Nuova on line la Lettera di una lettrice (Elena Pace), dal titolo I migranti e noi (Rubrica "Lettori di Città Nuova", 2 luglio 2019).
Tema di assoluta attualità, che interpella tutti, soprattutto chi fa della sua vita un servizio al Vangelo e all'umanità.



I migranti e noi

«Oggi viviamo un momento di grande manipolazione della verità, compresa quella della nostra fede». Lettera aperta di una lettrice.

Caro direttore, rileggendo l'esortazione apostolica di papa Francesco del 19 marzo 2018 "Gaudete et Exultate" sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, ho trovato una ulteriore conferma per discernere che via devo intraprendere per essere alla sequela di Gesù. Oggi viviamo un momento di grande manipolazione della verità, compresa quella della nostra fede.
C'è un primo passaggio dell'esortazione che chiarisce quali persecuzioni è necessario sopportare per il vangelo.
Il papa spiega : «parliamo però delle persecuzioni inevitabili, non di quelle che ci potremmo procurare noi stessi con un modo sbagliato di trattare gli altri. Un santo non è una persona eccentrica, distaccata, che si rende insopportabile per la sua vanità, la sua negatività e i suoi risentimenti. Non erano così gli Apostoli di Cristo. Il libro degli Atti racconta insistentemente che essi godevano della simpatia "di tutto il popolo", mentre alcune autorità li ricercavano e li perseguitavano».
Penso al modo di parlare spesso offensivo e umiliante usato pubblicamente anche da politici che si dichiarano cattolici.
In un altro punto si ricorda che «la misericordia non è solo l'agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli».
Quindi «Il criterio» è la misericordia. Un criterio che riesce a farci distinguere i veri dai falsi figli [mia nota sul "criterio" e rimando al post La carità grande criterio di discernimento].

Infine in un passaggio di estrema attualità che riguarda la situazione dei migranti, Francesco sottolinea : «Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi "seri" della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l'atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli. Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero (cfr Mt 25,35)?».

Ma io penso che mettersi nei panni dell'altro vuol dire anche conoscere bene questi panni e quindi avere informazioni aderenti alla realtà che vive. La difesa dei più deboli richiede quindi anche un ulteriore sforzo : districarsi nel labirinto di slogan e fake news per conoscere bene come vanno le cose.

Quanti sanno che i nostri governanti attuali hanno cercato di affossare la revisione del regolamento di Dublino, testo che scarica quasi tutte le responsabilità di asilo sul paese di primo sbarco, sia direttamente votando contro la sua approvazione, che indirettamente? E intanto chiudono i porti e accusano Bruxelles di non capire e agevolare il lavoro di scafisti e di ONG?

Come si può risolvere un problema di tale portata se non si ha il coraggio di sedersi intorno ad un tavolo per cercare e trovare le soluzioni più adeguate? Lo sappiamo tutti che "Chi cerca, trova!"

Elena Pace, 2 luglio 2019

mercoledì 3 luglio 2019

Il ministero diaconale tra santità e parresia





Il diaconato in Italia n° 214
(gennaio/febbraio 2019)



Il ministero diaconale tra santità e parresia





ARTICOLI
La rischiosa libertà dei santi di dire la verità (Giuseppe Bellia)
Santi in Cristo e nella chiesa (Giovanni Chifari)
Il rinnovarsi della mente, cuore della santità cristiana (Giuseppe Bellia)
La "radice" ebraica dello Spirito Santo (Lea Sestieri)
Diaconato tra santità e parressia alla luce di Gaudete et Exultate (Enzo Petrolino)
«Sono al mio posto?» (Luca Garbinetto)
Santità e parresia nel ministero diaconale (Andrea Spinelli)
Nella kenosi di Cristo il nostro cammino di santità (Luigi Vidoni)
L'altro crocifisso (Mario Delpini)
Per pregare con la Parola "attraversando" il Comune dei santi (Giovanni Chifari)
Vocazione alla santità: traguardo del ministero diaconale (Gaetano Marino)
Chiamati alla santità (Francesco Giglio)
Preti e diaconi insieme per una diaconia sinodale (II) (Enzo Petrolino)

RASSEGNE E TESTIMONIANZE

La santità per l'ebraismo e nel vangelo (G. B.)
I culti dell'antico oriente (Giuseppe Barbaglio)
L'influenza gnostica (Giuseppe Barbaglio)
Il diacono mediatore della parola ascoltata (G. B.)
I nuovi pelagiani (Papa Francesco)
Intervista a don Giuseppe Como (Ylenia Spinelli)
San Vincenzo di Saragozza
Perché non si arriva in breve tempo ad amare Dio? (S. Teresa d'Avila)


(Vai ai testi…)

martedì 2 luglio 2019

Al servizio del Vangelo e dei poveri


Riporto dal numero 7 (Luglio 2019) della rivista Vita Pastorale l'articolo riguardante il prossimo Convegno nazionale della Comunità del diaconato in Italia, che si svolgerà a Vicenza dal 31 luglio al 3 agosto prossimo. Tema dell'incontro: Diaconato, periferie e missione.


La mensa del corpo di Cristo e quella dei poveri
Come congiungere, nella vita, servizio liturgico e impegno caritativo, eucaristia e "ultimi".
È una missione per testimoniare il Vangelo in una società segnata da separazioni e contraddizioni.


di Enzo Petrolino,
presidente Comunità del Diaconato in Italia


«A voi [sacerdoti] associamo nel nostro ricordo e nella nostra preghiera quanti faticano a servizio del santo Vangelo e dei poveri, cominciando dai diaconi, eletti dispensatori della carità». Così i vescovi italiani concludono il documento Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno. Tra le tematiche del Convegno nazionale che la Comunità del diaconato terrà a Vicenza, dal 31 luglio al 3 agosto prossimo, segnaliamo due aspetti che riaffermano, ancora una volta, il ruolo e il servizio che i diaconi sono chiamati a realizzare nella Chiesa. Un ministero, quello diaconale, che riassume in sé l'infaticabile passione per il Vangelo e per i poveri, e la convergenza tra "santità" e "diaconia" . In altre parole, la condivisione ecclesiale del servizio e l'amore spirituale e concreto del prossimo. Vogliamo sviluppare il rapporto di reciprocità e lo stretto legame che esiste tra il ruolo del diaconato e la missione globale della Chiesa, mettendo in risalto che la presenza del diaconato può favorire un cammino ecclesiale più vivace e fecondo, e dare i suoi frutti migliori in progetti pastorali improntati alla corresponsabilità.
Ecco perché i diaconi, per servire il Vangelo e i poveri, devono "uscire dal tempio" e diventare uomini delle periferie, per farsi buon Samaritano, compagni di viaggio di chi è tormentato dall'insicurezza del futuro, dalla difficoltà a trovare lavoro, dalla paura di perderlo, dall'arroganza della minaccia mafiosa.

Diaconato, periferie e missione è il tema del Convegno. È questa una forte provocazione per evitare che il diacono si chiuda nel recinto del sacro, in forme intimistico-devozionali ed esaurisca il suo servizio nel gruppo ristretto degli affini, ma al contrario si faccia ministro di una Chiesa che è chiamata a trovarsi "fuori" di sé stessa. I diaconi sono chiamati a congiungere nelle loro vite servizio liturgico e impegno caritativo, eucaristia e diaconia dei poveri, in un'esistenza cristiana unificata, tesa a rivelare al mondo e ai poveri il volto misericordioso di Dio. La Chiesa, mettendo i poveri al centro del suo orizzonte spirituale ha riscoperto il senso della diaconia sacramentale.
E proprio questa conversione verso i poveri ha consentito di ricollocare i diaconi nel giusto contesto ecclesiale e ministeriale, vedendoli non più come gradino di passaggio verso gli altri gradi dell'ordine, ma come segno profetico ed escatologico che collega la mensa del corpo di Cristo alla mensa dei poveri, l'eucaristia alla carità. Quest'assimilazione sacramentale a Cristo si compie nella realtà di una determinata Chiesa locale. In assenza di questo respiro ecclesiale, le opere di carità rischiano di ridursi a espedienti organizzativi per lenire i bisogni materiali dei poveri.
Senza crescita ecclesiale, il servizio dei diaconi rischia d'essere frainteso e diventare una sorta di impegno su commissione, destinato a risolvere i bisogni contingenti e i problemi occasionali e logistici delle singole Chiese. La testimonianza del servizio diaconale, invece, è chiamata a essere il segno storico dell'operato salvifico di Dio. Si tratta, dunque, di una missione per testimoniare il Vangelo in una società segnata da separazioni e contraddizioni, come profezia e, insieme, come impegno concreto. La questione per i diaconi è quella d'essere segno visibile della diaconia di Cristo e della Chiesa, custodi del servizio.
Un antico testo siro pone tutto il ventaglio di possibilità, quasi illimitate, del servizio del diacono, spaziando dalla scoperta e sepoltura del corpo di un immigrato, alla testimonianza sulla fedeltà e onestà di una donna violentata. Una diaconia incarnata tra le innumerevoli pieghe del vissuto umano, là dove più forte è il bisogno di aiuto, solidarietà e riscatto. I mutamenti storici nella società e nella Chiesa ci devono spingere a maturare un profilo diaconale nuovo, in un tessuto sociale come quello odierno, troppo spesso dominato dall'interesse e lacerato dal compromesso e dalla prevaricazione. È qui che il diacono è chiamato alla santità, testimoniando lo spirito delle Beatitudini, di cui Francesco scrive nella Gaudete et exsultate. Bisogna "osare il coraggio della speranza", che ci conferma nella scelta di vivere a servizio del Vangelo e dei poveri, e sempre più a conformarci a Cristo Servo, per essere - nella Chiesa e nel mondo - gli eletti dispensatori della carità.

(Nella foto: Enzo Petrolino)

Vedi anche Programma e Dépliant del Convegno

lunedì 1 luglio 2019

Ciò che l'amore fa condividere


Parola di vita – Luglio 2019
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).

Nel Vangelo di Matteo, Gesù rivolge questo invito forte ai suoi, i suoi "inviati". Egli ha incontrato personalmente una umanità smarrita e sofferente e ne ha avuto compassione. Per questo desidera moltiplicare attraverso gli apostoli la sua opera di salvezza, di guarigione, di liberazione. Essi si sono raccolti intorno a Gesù, hanno ascoltato le sue parole ed hanno ricevuto una missione, uno scopo per la loro stessa vita; per questo si sono messi in cammino: per testimoniare l'amore di Dio per ogni persona.

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Ma che cosa hanno ricevuto "gratuitamente" da doverlo ridare? Gli apostoli, attraverso le parole, i gesti, le scelte di Gesù e tutta la Sua vita, hanno sperimentato la misericordia di Dio. Nonostante le loro debolezze e i loro limiti, hanno ricevuto la nuova Legge dell'amore, dell'accoglienza reciproca. Soprattutto, hanno ricevuto il dono che Dio vuole fare a tutti gli uomini: se stesso, la sua compagnia per le strade della vita, la sua luce per le loro scelte. Sono doni senza prezzo, che superano ogni nostra capacità di ricompensa, "gratuiti", appunto. Sono stati dati agli apostoli e a tutti i cristiani, perché diventino a loro volta canali di questi beni verso tutti quelli che incontrano giorno per giorno.

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Così scriveva Chiara Lubich nell'ottobre 2006: «Lungo tutto il Vangelo Gesù invita a dare: dare ai poveri, a chi domanda, a chi desidera un prestito; dare da mangiare a chi ha fame, il mantello a chi chiede la tunica; dare gratuitamente… Lui stesso ha dato per primo: la salute agli ammalati, il perdono ai peccatori, la vita a tutti noi. All'istinto egoista di accaparrare oppone la generosità; all'accentramento sui propri bisogni, l'attenzione all'altro; alla cultura del possesso quella del dare [...]. La Parola di vita di questo mese potrà aiutarci a riscoprire il valore di ogni nostra azione: dai lavori di casa o dei campi e dell'officina, al disbrigo delle pratiche d'ufficio, ai compiti di scuola, come alle responsabilità in campo civile, politico e religioso. Tutto può trasformarsi in servizio attento e premuroso. L'amore ci darà occhi nuovi per intuire ciò di cui gli altri hanno bisogno e per venire loro incontro con creatività e generosità. Il frutto? I doni circoleranno, perché l'amore chiama amore. La gioia si moltiplicherà perché "c'è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35)» [1].
Proprio come racconta Vergence, una ragazzina del Congo: «Andando a scuola, ero veramente affamata. Sulla strada, ho incontrato mio zio, che mi ha dato i soldi per comprare un panino, ma poco più avanti ho visto un uomo molto povero. Ho subito pensato di dare a lui questi soldi. La mia amica, che era con me, mi ha detto di non farlo, di pensare a me stessa! Ma io mi sono detta: io troverò da mangiare domani, ma lui? Così ho dato a lui i soldi per il mio panino ed ho provato una grande gioia in cuore».

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

La logica di Gesù e del Vangelo è sempre ricevere per condividere, mai accumulare per se stessi. È un invito anche per tutti noi a riconoscere ciò che abbiamo ricevuto: energie, talenti, capacità, beni materiali, e metterli a servizio degli altri.
Secondo l'economista Luigino Bruni, «La gratuità è [...] una dimensione che può accompagnare qualsiasi azione. Per questo essa non è il «gratis», anzi è proprio il suo opposto, poiché la gratuità non è un prezzo pari a zero, ma un prezzo infinito, a cui si può rispondere solo con un altro atto di gratuità» [2]. La gratuità supera dunque le logiche del mercato, del consumismo e dell'individualismo e apre alla condivisione, alla socialità, alla fraternità, alla nuova cultura del dare.
L'esperienza conferma che l'amore disinteressato è una vera e propria provocazione, con conseguenze positive, inaspettate, che si diffondono a macchia d'olio anche nella società.
È quanto accaduto nelle Filippine, con una iniziativa cominciata nel 1983. In quel momento, la situazione politica e sociale del Paese era molto difficile e tanti erano impegnati per una soluzione positiva. Anche un gruppo di giovani decise di dare il proprio contributo in modo originale: aprirono i propri armadi e tirarono fuori ciò di cui non avevano più bisogno. Vendettero tutto al mercatino dell'usato, ne ricavarono un piccolo capitale e iniziarono dal nulla un centro sociale, chiamato Bukas Palad, che nella lingua locale significa: "a mani aperte". La frase del vangelo che li aveva ispirati: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8)", diventò da allora il motto dell'iniziativa.
A questo impegno si unirono alcuni medici, con il proprio contributo professionale offerto in forma disinteressata, e molti altri che aprirono il cuore, le braccia, le porte di casa. Così è nata e si è sviluppata un'ampia azione sociale a favore dei più poveri, che ancora oggi offre servizi in diverse città delle Filippine. Ma l'obiettivo più importante raggiunto e consolidato in questi anni è stato di rendere protagonisti del proprio riscatto gli stessi destinatari del progetto. Essi infatti ritrovano la loro dignità di persone e costruiscono rapporti di stima e solidarietà. Con il loro esempio ed il loro impegno, accompagnano molti altri ad uscire dalla povertà e ad assumersi la responsabilità di una nuova convivenza per se stessi e le loro famiglie, per i loro quartieri e le loro comunità, per il mondo [3].

Letizia Magri

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[1] C. Lubich, Parola di Vita ottobre 2006, in Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) pp. 791-793.
[2] Cf. http://www.edc-online.org/it/pubblicazioni/articoli-di/luigino-bruni.
[3] http://bukaspaladfoundation.org/.


Fonte: Città Nuova n. 6/Giugno 2019
(Foto: Medical service, Bukas Palad, Filippine)