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venerdì 28 agosto 2020

Come seguire Gesù


22a domenica del Tempo ordinario (A)
Geremia 20,7-9 • Salmo 62 • Romani 12,1-2 • Matteo 16,21-27
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Pietro, e con lui la Chiesa, che poco prima ha confessato la sua fede in Gesù ricevendone in cambio le chiavi del regno, ora viene provato nella sua fede. Quando riconosce in Gesù il figlio di Dio, egli diventa suo discepolo; quando però non accetta il mistero di morte che segna il destino di Gesù, come segna quello della Chiesa, egli diventa un "satana". Anche qui, come nella descrizione dell'apostolo Pietro che cammina sulle acque, si rimane colpiti dal contrasto tra la sua fede e la sua mancanza di fede.
Gesù è stato riconosciuto da Pietro come il Cristo, il Messia atteso. Ma in che modo? Senza dubbio nella gloria di una regalità vittoriosa. Ed ora il Maestro si presenta come il servo sofferente di Isaia, che riscatta il suo popolo attraverso la passione e la morte. Anche e soprattutto attraverso la risurrezione, certo, ma non è ancora chiaro che cosa egli intenda con questa parola. Allora Pietro, l'impulsivo, spinto da un amore poco illuminato, si ribella all'apparente crudeltà del piano divino. E all'improvviso assistiamo a un totale capovolgimento della sua situazione. Lo stesso Gesù che gli aveva detto: «Beato te!» dopo la sua professione di fede, ora lo rimprovera aspramente: «Va' dietro a me, Satana!». Un momento prima l'apostolo era una «pietra» abbastanza solida perché Gesù potesse costruirvi la propria Chiesa, e adesso viene trattato come un ostacolo, una pietra d'inciampo sulla strada del messia. Gesù, che gli aveva detto: «Il Padre mio che sta nei cieli te l'ha rivelato», ora afferma: «tu non pensi secondo Dio!».
L'ingiunzione rivolta a Pietro, «Passa dietro a me!», può essere interpretata da ogni cristiano come un invito a seguire il Maestro: come il Cristo, il discepolo non può eliminare dalla propria vita la croce della salvezza. Davvero i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini. «Non bisogna salvare la propria anima come si salva un tesoro. Bisogna salvarla come si perde un tesoro. Spendendola» (Ch. Péguy).

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me…».
A Pietro Gesù ha detto "torna a metterti dietro di me"; adesso gli dice come: «rinneghi se stesso» (il che non significa frustrare la propria esistenza, ma rinunciare a ideali di ambizione), prenda la sua croce e mi segua».
La croce non è come comunemente si dice "data da Dio" ma "scelta dagli uomini". La croce è il patibolo, il supplizio, che non è che Dio dà a tutti quanti, ma coloro che liberamente, volontariamente, per amore, vogliono seguire Gesù, la devono sollevare, da sé.
Per andare dietro a Gesù, il discepolo deve fare tre cose: anzitutto dire di no alla propria mentalità, al proprio progetto; poi avere il coraggio di rischiare la condanna a morte; e infine accogliere la proposta del Maestro e imitarne la vita.
La frase più strana è la seconda: «prendere la propria croce». L'abbiamo fatta diventare un luogo comune, per dire che ci vuole pazienza e ognuno deve sopportare la propria difficile situazione; ma questo significa intendere la parola "croce" in senso metaforico, mentre al tempo di Gesù la croce era semplicemente un patibolo, uno strumento di uccisione orribile. L'espressione «prendere la propria croce» era facilmente compresa dalla gente di quel tempo come una immagine per indicare il rischio di una condanna a morte e proprio questo intendeva dire Gesù ai suoi: seguirlo significava mettere in conto anche di lasciarci la pelle. «Se qualcuno vuole venirmi dietro - dice - si prepari al peggio, perché non gli propongo una vittoria facile, né una buona sistemazione, ma gli prospetto un rischio molto serio, addirittura quello di essere condannato a morte». Quindi, se uno è disposto a lasciare la sua mentalità e a rischiare la vita, vada dietro a Gesù e lo imiti.
La croce non viene data ma viene presa per seguire Gesù. La croce non sono tanto le sofferenze o le malattie che la vita, inevitabilmente, ci fa portare, ma nel linguaggio biblico significava, essendo una pena di morte riservata ai rifiuti della società, la perdita totale della propria reputazione. Allora Gesù dice: "se qualcuno consegue desideri di successo, di ambizione, non pensi a venirmi dietro, perché seguire me significa perdere completamente la propria reputazione".

(dalla Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano, a cui si rimanda per il testo completo)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Se qualcuno vuol venire dietro a me… (Mt 16,24) - (03/09/2017)
(vai al testo)
 Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24) - (31/08/2014)
(vai al testo…)
 Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente (Ger 20,29) - (21/08/2011)
(vai al testo…)
 Il Figlio dell'uomo (…) renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Mt 16,27) - (29/08/2008)
(vai al post "Essere dono")


Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Perdere per trovare: noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato (02/09/2017)
  Andare dietro a Gesù (29/08/2014)

Vedi anche il post:
  La passione del profeta (28/08/2011)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Vieni dietro a me, di Bernadette Lopez)

venerdì 21 agosto 2020

La fede messianica di Pietro


21a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 22,19-23 • Salmo 137 • Romani 11,33-36 • Matteo 16,13-20
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il racconto di quella che si è soliti chiamare la «confessione di Cesarea» introduce nei sinottici un passo abbastanza omogeneo che riveste particolare importanza. Dalla proclamazione della messianicità di Gesù parte, infatti, una nuova fase dell'annuncio. Gesù aveva predicato e operato soprattutto nella Galilea. La gente era piena di ammirazione ma anche di sconcerto perché il modo di fare di Gesù non corrispondeva a certi schemi entro i quali si era cristallizzata l'immagine del Messia atteso da Israele. «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Non è uno scambio di cortesie tra Gesù, figlio dell'uomo, e Simone, figlio di Giona: queste due affermazioni riguardano da vicino la fede di ogni credente. Gesù compie presso i suoi discepoli quello che oggi chiameremmo un «sondaggio d'opinione»: che cosa dice la gente di lui? Dicono che è un grande uomo, un profeta del passato: Elia, Geremia, o il Battista che è appena stato messo a morte. Sono risposte un po' deludenti. Forse quelle dei nostri contemporanei sarebbero ancora più eterogenee, e anche più riduttive: in esse si mescolerebbero il meglio e il peggio, il sublime e l'ingiurioso, o l'insignificante. Comunque, una cosa è certa: oggi come ieri, la storia di Gesù non è dietro alle sue spalle, ma davanti a lui. Se Gesù è davvero «il Cristo, il figlio del Dio vivente», come dichiara Simone, ispirato dall'alto, allora il suo mistero non è limitato a un punto del tempo e dello spazio, ma abbraccia tutte le generazioni e l'intero universo.
Nella sua confessione di fede, Simone ha intuito come in un lampo, per un attimo, questo mistero. Ed era indubbiamente necessario – e giusto – che usasse parole più grandi di lui, perché dovevano esprimere la fede della Chiesa nascente, all'inizio della sua storia. Sul credo di Pietro Gesù ha costruito la sua Chiesa; Pietro, l'uomo dagli slanci immediati e generosi, ma anche il discepolo che l'avrebbe rinnegato. Cristo ne fa il suo luogotenente, incaricato di confermare nella fede i fratelli fino alla venuta del regno. Il principe degli apostoli ha segnato la Chiesa col sigillo della sua personalità, come avrebbero fatto Giovanni il mistico o Paolo il missionario, se fossero stati al suo posto. La Chiesa è innanzitutto la casa di noi poveri credenti, così spesso combattuti tra la fede e il dubbio, tra la generosità e l'infedeltà, ma che continuiamo nonostante tutto a balbettare con Pietro: «Credo!».

(dalla di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano, a cui si rimanda per il testo completo)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (27/08/2017)
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 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (24/08/2014)
(vai al testo…)
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (21/08/2011)
(vai al testo…)
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (22/08/2008)
(vai al post "Risposta di fede")


Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  La domanda che conta: Chi sono io per te? (25/08/2017)
  Il compito affidato a Pietro (22/08/2014)

Vedi anche il post:
  La La gente chi dice che io sia? (21/08/2011)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8-9.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine di Bernadette Lopez)

venerdì 14 agosto 2020

Un dono senza barriere


20a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 56,1.6-7 • Salmo 66 • Romani 11,13-15.29-32 • Matteo 15,21-28
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Non sono stato inviato che alla casa di Israele
Il disegno di Dio è di arrivare a tutti attraverso il popolo eletto: e Gesù compie la missione di far crescere la fede in questo popolo, proprio per la fede di tutti.
Il popolo di Dio, oggi, è la Chiesa e Gesù chiede che prima di tutto sia una comunità che vive il Vangelo: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore a null'altro serve che ad essere gettato via» (Mt 5,13).
A volte le scelte della Chiesa e della comunità cristiana sembrano insensibili alle richieste della gente: ma è più importante che venga testimoniata a tutti la fede, anziché soddisfare tutte le pretese.
Ricordava Agostino: «La prima carità è l'annuncio del Vangelo!», perché il Vangelo rinnova la vita personale e sociale, rendendo le persone protagoniste del proprio "destino".
La misura della crescita di una comunità non sta anzitutto nel numero di Messe, feste, attività, ma nelle occasioni offerte per il confronto con il Vangelo, nella capacità di ascolto, di accettazione reciproca, di collaborazione, pur nella diversità.
Evangelizzare non è voler cambiare gli altri, ma vivere per primi il Vangelo.
Dalla comunità possiamo attenderci più proposte di confronto con la Parola che di feste e riti.

Donna, grande è la tua fede!
Nonostante il silenzio, il rifiuto e la quasi brutale distinzione tra figli e cani, la donna insiste nel chiedere aiuto a Gesù. Sa di non aver alcun diritto, eppure è sicura di Gesù: dietro l'apparente durezza scorge il suo amore e il suo desiderio di venirle incontro.
Gesù non compie "miracoli" per attirare alla fede, ma dove trova la fede: lui vede e vuole il nostro bene più di quanto lo vediamo e vogliamo noi stessi. Possiamo essere sicuri che ci ama anche quando non sentiamo immediate consolazioni, che ci ascolta ed esaudisce anche negli apparenti "no" alle richieste, che non ci abbandona nel momento dello smarrimento. Da lui sentiamo parole di speranza, l'invito a costruire con lui il nostro cammino e il cammino di chi ci incontra.

È molto attuale la lezione che emerge da questo brano:
- l'incontro autentico con Gesù non si realizza nella pratica stanca e abitudinaria di un cristianesimo considerato come un'eredità che ci troviamo fra le mani, ma si compie nella fede, un rapporto personale, sempre nuovo e sempre da rinnovare, con Gesù;
- il contatto sempre più frequente e quotidiano con persone di altre religioni, vissuto nel dialogo rispettoso, non è per noi un cedimento o tradimento del Vangelo o rinuncia alla nostra identità, ma è una forma in cui si esprime la missione universale dei discepoli di Gesù.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Donna, grande è la tua fede! (Mt 15,28)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Pietà di me,Signore, figlio di Davide (Mt 15,22) - (20/08/2017)
(vai al testo)
 Donna, grande è la tua fede! (Mt 15,20) - (17/08/2014)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  La grande fede della donna cananea che "cambia" Gesù (18/08/2017)
  L'appartenenza a Cristo si fonda unicamente sulla fede (16/08/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8-9.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: La cananea, acquarello di Maria Cavazzini Fortini)

giovedì 13 agosto 2020

La nemica della finta umiltà


Assunzione della B.V. Maria
Apocalisse 11,19;12,1-6.10 • Sal 44 • 1Corinzi 15,20-26 • Luca 1,39-56
(Visualizza i brani delle Letture - Messa del Giorno)
(Vedi anche i brani delle Letture della Messa vespertina nella vigilia)

Appunti per l'omelia

(da «L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"», omelia pubblicata su "Vita Pastorale" 8-9 2020)

Di Maria abbiamo una conoscenza un po' falsata da duemila anni di tradizione cristiana che su di lei ha molto riflettuto, accrescendo il sapere teologico del suo ruolo nella storia della salvezza. Di Maria la Chiesa ha davvero compreso molte cose. Ma tante le ha anche tradite. Nella tradizione popolare, nella predicazione troppo devota, nell'iconografia eccessivamente carica, nella teologia di bassa lega di cui si nutrono tanti libriccini spirituali... di Maria sono state dette molte cose imprecise. A volte inventate, talvolta decisamente bizzarre. Ci sono, poi, le derive spirituali di certi movimenti, che fanno di Maria quasi una dea, ponendola come colei che intercede presso il Figlio, quasi che sia più buona del Figlio, quindi capace di piegarne il giudizio a maggior misericordia.
Sì, ci sono cose gravi che si dicono di Maria. Di una Maria troppo Madonna e poco donna. Troppo santa e poco discepola. Troppo in alto sugli altari anziché in basso, come lei è stata, quando "non era ancora Madonna". Maria ha la grandezza dei piccoli. Per capirla dobbiamo conoscerla per quella che è stata e che il Vangelo di oggi narra. Maria è stata una donna povera, una rappresentante di quel popolo di poveri e umili di Israele che ha custodito la fede, mentre i grandi e i potenti leggevano le Scritture senza mettersi in cammino, come i sacerdoti di Gerusalemme consultati da Erode alla nascita di Gesù.
Maria viene salutata da Elisabetta come «la madre del mio Signore». Nella sua piccolezza Maria non nega questo immenso titolo che la pone, tra tutte le ragazze di Israele, come colei che ha ricevuto il dono di essere la madre del Messia. È piccola e non nega questa gloria che la pone al di sopra di tutte. Maria è capace di accettare questa proclamazione di Elisabetta perché è davvero umile: non ammantata di quella falsa umiltà di cui siamo tanto esperti noi, che ci scherniamo se veniamo lodati per gustare ancor di più l'orgoglio della lode ricevuta. E per la stessa ragione nascondiamo i vizi spacciandoli per virtù.
Maria sa che è il Signore che l'ha fatta grande, per grazia, per elezione. Vedendolo, lei lo proclama grande: «Grandi cose ha fatto in me [... ] per questo la mia anima lo magnifica, lo proclama grande». È l'esperienza, il vissuto che le fa riconoscere che Lui è grande e sa fare in lei, piccola, cose grandi. Perciò, senza tanta falsa umiltà, risponde alla cugina Elisabetta senza diniego: «Sì, mi è stata fatta grazia e io ne sono grata». Ecco, quindi, la nostra vocazione, di cui possiamo prendere coscienza se ci specchiamo in Maria, quella vera,non quella delle immagini distorte. La nostra vocazione è di esser piccoli grandi uomini, piccole grandi donne.
La Chiesa è fatta di un popolo di poveri e umili, che sanno di essere fatti grandi dalla misericordia di Colui che li ha amati. Noi cristiani assomigliamo a Maria quando sappiamo vivere la vera umiltà, che consiste nella consapevolezza dei propri limiti e piccolezza. Ma soprattutto di essere amati gratis e in anticipo e – cosa ancora più difficile – nella consapevolezza di ciò che questo amore fa in noi e per noi: «Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente». Sì, in me! Lui è onnipotente contro la mia impotenza, perché capace di generare al di là della mia sterilità.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 L'anima mia magnifica il Signore(Lc 1,46) (15/08/2019)
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 Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente(Lc 1,49) (15/08/2018)
(vai al testo…)
 L'anima mia magnifica il Signore(Lc 1,46) (15/08/2017)
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 Beata colei che ha creduto (Lc 1,45) (15/08/2015)
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 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49) (15/08/2014)
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 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49) (15/08/2013)
(vai al testo…)
 L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46) (15/08/2012)
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Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
 Abbiamo un Padre che ci aspetta con amore (13/08/2019)
 Saper "vedere" le meraviglie di Dio (14/08/2018)
 La vittoria definitiva sul "drago" delle nostre paure di morte (14/08/2017)
 In Maria splende il nostro luminoso destino (13/08/2016)
 Come Maria… (13/08/2015)
 La "cose grandi" compiute da Dio (14/08/2014)
 Gioia e gratitudine immensa (14/08/2013)
 La meraviglia del Cielo (14/08/2012)

Vedi anche i post:
 La festa del nostro corpo (15/08/2019)
 Maria Assunta, sintesi dell'umanità realizzata (15/08/2011)
 Il nostro luminoso destino (15/08/2010)


Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8-9.2020)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2019)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2018)
  di Cettina Militello (VP 6.2017)
  di Luigi Vari (VP 7.2016)
  di Luigi Vari (VP 7.2015)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2013)
  di Marinella Perroni (VP 7.2012)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Claudio Arletti (VP 7.2010)
  di Claudio Arletti (VP 7.2009)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno A)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno B)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno C)

domenica 9 agosto 2020

Diaconato, «l'estensione ideale tra Chiesa e mondo»


Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve
Lunedì 10 agosto il card. Bassetti ordina tre diaconi permanenti nella festa di San Lorenzo



Dal sito dell'Arcidiocesi, 8 agosto 2020:
Ricorre il 10 agosto la solennità di San Lorenzo, diacono e martire, titolare della cattedrale di Perugia. Questa ricorrenza, molto sentita dai fedeli perugini, è vissuta anche come la festa diocesana dei diaconi permanenti. È consuetudine del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ordinare alcuni diaconi nel giorno in cui la Chiesa celebra il Santo martire e diacono per eccellenza della carità. Anche quest'anno, seppur segnato dall'emergenza Covid-19, il cardinale ordinerà in cattedrale, lunedì pomeriggio (ore 18), tre diaconi che hanno completato il ciclo quinquennale di formazione. Si tratta di tre coniugati, da anni impegnati insieme alle mogli nelle loro parrocchie dove hanno maturato la vocazione al diaconato: Valerio Agostini, della parrocchia di Santa Petronilla di Perugia, nato nel 1954, consulente finanziario, sposato con Luana, genitori di sei figli di cui due in Cielo e una in affido definitivo; Fabio Costantini, della parrocchia della concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio di Città della Pieve, nato nel 1963, medico psichiatra, sposato con Barbara, genitori di cinque figli di cui una adottata e affetta da una grave disabilità; Sergio Lucaroni, in pensione, della parrocchia di Santa Petronilla di Perugia, nato nel 1958, sposato con Sandra, genitori di tre figli.

Il diaconato familiare del cardinale Bassetti. Tre storie esemplari di vita umana e cristiana presentate in un ampio servizio pubblicato nell'ultimo numero del settimanale cattolico La Voce, a cura di Mariangela Musolino, dedicato anche al diaconato permanente. Con i tre ordinandi, i diaconi permanenti nella comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve sono una quarantina, numero cresciuto sensibilmente nell'ultimo decennio. Il cardinale Bassetti, nel valorizzare la figura del diacono permanente, come prevede il Concilio Vaticano II, ha parlato di recente di "diaconato familiare" per richiamare ancor di più l'attenzione dei cristiani all'importante ruolo svolto da tutti i componenti del nucleo familiare, in primis della moglie, nell'attività del diacono al servizio della comunità ecclesiale locale. In parrocchia il diacono permanente opera in diversi ambiti coadiuvando il parroco, dal servizio liturgico a quelli della carità e della catechesi ed evangelizzazione, oltre a ricoprire ruoli nell'amministrazione e gestione delle attività pastorali. «C'è un gran bisogno di famiglie che si prendano cura di altre famiglie - commentano il diacono Luigi Germini e la moglie Maria Rosaria, membri dell'equipe diocesana di formazione al diaconato -. La nostra caratteristica di famiglia diaconale è che non siamo più laici, ma viviamo nel mondo dei laici, quindi siamo l'estensione ideale tra Chiesa e mondo».

Il "Punto ristoro sociale Comune-Caritas S. Lorenzo". La solennità di San Lorenzo a Perugia è vissuta anche come giornata di riflessione sulla carità, nel richiamo della testimonianza evangelica del santo titolare della cattedrale il cui esempio è sempre attuale non solo per i diaconi, ma per tutti i credenti e gli uomini di buona volontà. Non è un caso che sia stato intitolato a San Lorenzo il "Punto ristoro sociale Comune-Caritas" di Perugia, più comunemente conosciuto come la "Mensa S. Lorenzo" ubicata nell'antico oratorio del quartiere del Carmine, in pieno centro storico. Questa mensa è attiva dal 2008, coordinata dall'assistente sociale Stella Cerasa, dove, dal lunedì al sabato, 70 persone in difficoltà (soprattutto anziane e sole) trovano ristoro e calore umano sentendosi come in famiglia. Anche nel giorno di San Lorenzo la mensa sarà aperta all'ora di pranzo, animata da volontari e operatori Caritas, una delle opere segno della Chiesa diocesana espressione di collaborazione concreta, in ambito sociale, tra Istituzioni civili e religiose del capoluogo umbro.

(Fonte: http://diocesi.perugia.it/solennita-san-lorenzo-diacono-martire-titolare-della-cattedrale-la-festa-dei-diaconi-permanenti-lestensione-ideale-chiesa-mondo/)

venerdì 7 agosto 2020

Nel tumulto la sua presenza


19a domenica del Tempo ordinario (A)
1Re 19,9a.11-13a • Salmo 84 • Romani 9,1-5 • Matteo 14,22-33
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

«Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare»: nella solitudine, riempita dalla presenza del Padre e vissuta nel colloquio con Lui, Gesù "ritempra" le forze e rigenera la propria adesione alla sua volontà. E mentre Gesù è solo sul monte, senza i discepoli, i discepoli, senza Gesù, sono sulla barca "agitata dalle onde". Non è difficile riconoscere un'immagine della Chiesa, in rotta di navigazione verso l' "altra sponda" nel mare della storia, segnato da prove, contrarietà, indifferenza: quando nella comunità la missione sembra languire perché si è affievolita la comunione con Gesù e tra i fratelli; quando la Chiesa sembra abbandonata a se stessa, perché il suo Signore si è reso invisibile e pare assente.
La barca richiama anche simbolicamente l'esistenza di una persona, di una famiglia, di una comunità: sotto il peso di sofferenze fisiche o morali, scossi dal dubbio, dalla paura del futuro e anche dalla crisi di fede, stanchi di lottare nelle "tempeste" della vita, abbiamo talvolta l'impressione che la nostra "barca" stia per colare a picco...!

«Verso la fine della notte Egli venne verso di loro»: Gesù non abbandona i suoi, anche se essi lo pensano. "Viene", come la sera di Pasqua, dopo la prova estrema e tremenda, quando incontrerà di nuovo i suoi. Li raggiunge in un modo strano e imprevedibile, "camminando sulle acque". Nella Bibbia l'acqua indica sovente una forza negativa, ostile a Dio e agli uomini, una potenza di morte: soltanto Dio ha il potere di padroneggiarla. Lui, il Creatore, il Signore e il Liberatore del suo popolo, "cammina sul mare".
È quanto riconosceranno i discepoli: «Tu sei veramente il Figlio di Dio», ma per il momento i loro occhi sono impediti dall'incredulità, lo scambiano per un "fantasma" e si mettono a "gridare dalla paura". Ed è Gesù a rinnovare l'appello alla fiducia: «Coraggio, sono io, non abbiate paura».

«Sono io» richiama la rivelazione di Dio a Mosè: «Io sono colui che sono» (Es 3, 14), Colui che è qui con voi, per voi, presenza indefettibile d'amore. «Non temete»: un imperativo frequentissimo nella Bibbia, abitualmente sulla bocca di Dio quando incontra gli uomini, quando affida loro una missione.
È semplicemente grandiosa e suggestiva la scena di Pietro che va verso Gesù, o meglio di Gesù e di Pietro che si vengono incontro camminando sulla cresta dell'onda tempestosa, dominandola. Finché l'attenzione di Pietro è concentrata interamente su Gesù. Quando comincia a ripiegarsi su se stesso e perde di vista il Signore, allora comincia ad affondare. Ma in questo frangente drammatico, apparentemente irreparabile, la fede di Pietro ha come un soprassalto: «Signore, salvami!».
Il termine "Signore", messo sulla bocca di Pietro, indica che la sua fede non è svanita, è "piccola": «Uomo di poca (piccola) fede, perché hai dubitato?». Per questo Gesù può intervenire: «Subito Gesù stese la mano, lo afferrò». E allora la fede può esprimersi in una confessione unanime e corale: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».

Non meravigliamoci della nostra "piccola" fede, ma non lasciamola cadere: ogni volta che ci troviamo nei momenti di dubbio, di solitudine, di fatica nel credere e testimoniare, riascoltiamo Gesù: «Coraggio, sono io, non avere paura».
Vivo e risorto, Lui "c'è": unire ciò che proviamo a quanto Lui ha provato può diventare la strada per sperimentare una "vita nuova", preludio di risurrezione.
Vita nuova che si esprime nell'uscire da noi stessi e farci carico di chi sta... affogando, permettendo a Gesù di dire anche a lui: «Coraggio, io ci sono!».

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Coraggio, sono io, non abbiate paura! (Mt 14,27)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Coraggio, sono io, non abbiate paura! (Mt 14,27) - (13/08/2017)
(vai al testo)
 Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14,31) - (10/08/2014)
(vai al testo)
 Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14,31) - (07/08/2011)
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sabato 1 agosto 2020

La fiducia oltre ogni delusione


Parola di Vita - Agosto 2020
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«Chi ci separerà dall'amore di Cristo?» (Rm 8,35).

La lettera che l'apostolo Paolo scrive ai cristiani di Roma è un testo straordinariamente ricco di contenuto. Egli infatti vi esprime la potenza del Vangelo nella vita di ogni persona che lo accoglie, la rivoluzione che questo annuncio porta: l'amore di Dio ci libera!
Paolo ne ha fatto l'esperienza e vuole esserne testimone, con le parole e con l'esempio. Questa sua fedeltà alla chiamata di Dio lo porterà proprio a Roma, dove potrà dare la vita per il Signore.

«Chi ci separerà dall'amore di Cristo?»

Poco prima, Paolo ha affermato: «Dio è con noi»! [1]. Per lui, l'amore di Dio per noi è l'amore dello Sposo fedele, che mai abbandonerebbe la sposa, alla quale si è legato liberamente con un legame indissolubile, a prezzo del proprio sangue.
Dio non è dunque un giudice, ma anzi è colui che prende su di sé la nostra difesa.
Per questo nulla può separarci da Lui, attraverso il nostro incontro con Gesù, il Figlio amato.
Nessuna difficoltà, grande o piccola, che possiamo incontrare in noi e fuori di noi è un ostacolo insormontabile per l'amore di Dio. Anzi, dice Paolo, proprio in queste situazioni, chi si fida di Dio e a Lui si affida è "super-vincitore"! [2]
In questo nostro tempo di super-eroi e super-uomini, che pretendono di stravincere con l'arroganza ed il potere, la proposta del Vangelo è la mitezza costruttiva e l'apertura alle ragioni dell'altro.

«Chi ci separerà dall'amore di Cristo?»

Per comprendere e vivere meglio questa Parola, può aiutarci il suggerimento di Chiara Lubich: «Certamente noi crediamo, o perlomeno diciamo di voler credere, all'amore di Dio. Tante volte, però […] la nostra fede non è così coraggiosa come dovrebbe essere. […] nei momenti della prova, come nelle malattie o nelle tentazioni. È molto facile che ci facciamo assalire dal dubbio: "Ma è proprio vero che Dio mi ama?". E invece no: non dobbiamo dubitare. Dobbiamo abbandonarci fiduciosamente, senza alcuna riserva, all'amore del Padre. Dobbiamo superare il buio ed il vuoto che possiamo provare abbracciando bene la croce. E buttarci poi ad amare Dio compiendo la sua volontà e ad amare il prossimo. Se così faremo, sperimenteremo assieme a Gesù la forza e la gioia della risurrezione. Toccheremo con mano quanto sia vero che, per chi crede e si abbandona al suo amore, tutto si trasforma: il negativo diventa positivo; la morte diventa sorgente di vita e dalle tenebre vedremo spuntare una meravigliosa luce» [3].

«Chi ci separerà dall'amore di Cristo?»

Anche nella cupa tragedia della guerra, chi continua a credere nell'amore di Dio apre spiragli di umanità: «Il nostro paese si trova in una guerra assurda, qui nei Balcani. Nella mia squadriglia venivano anche i soldati della prima linea del fronte, con tanti traumi dentro perché vedevano parenti ed amici morire davanti ai loro occhi. Non potevo fare altro che amarli uno per uno per quanto potevo. Nei rarissimi momenti di sosta, cercavo di parlare con loro di tante cose che un uomo ha dentro in quelle circostanze, ma siamo arrivati a parlare anche di Dio, perché tanti di loro non credevano. In uno di questi momenti di ascolto, ho proposto di chiamare un sacerdote per celebrare la Messa. Tutti hanno accettato e alcuni si sono accostati alla confessione dopo vent'anni. Posso dire che Dio era lì con noi».

Letizia Magri

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[1] Rm 8, 31.
[2] Cf. Rm 8,37.
[3] C. Lubich, Parola di Vita agosto 1987, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) p. 393.


Fonte: Città Nuova n. 7/Luglio 2020