Questo Blog continua nella nuova versione
venuto per servire
(clicca qui per entrare)


domenica 30 giugno 2019

La fratellanza universale:
  testimonianza del Risorto, dono dello Spirito


"Rilettura", alla fine del mese, della Parola di Vita di giugno.

«Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni» (At 1,8).

Accogliere lo Spirito di Dio nel nostro cuore, ecco il nostro impegno. Avere lo Spirito Santo in noi è un dono di Dio ed occorre essere pronti e disponibili ad accoglierlo. Lui si manifesta nel cuore di chi ama, di chi cerca Dio con un amore concreto che riconosce la sua presenza in ogni prossimo. Perciò, desiderare di riceverlo, chiedere con insistenza il suo aiuto, fare la volontà di Dio, amando sempre. Questi sono i requisiti di base per avere lo Spirito di Dio nei nostri cuori, pronti ad accoglierlo come quando e dove Lui vorrà.
Essere poi testimoni di Gesù, significa anche vivere da portatori di pace. E la pace è uno dei frutti dello Spirito Santo. Lo Spirito infatti ci dà la certezza di essere infinitamente amati da Dio e questo ci dà sicurezza e pace interiore. Può essere portatore di pace chi la possiede in se stesso. Per questo occorre essere anzitutto portatori di pace nel proprio comportamento, vivendo sempre in accordo con Dio e la sua volontà. Anche in mezzo all'agitazione del mondo pieno di violenza e di peccato i cuori di coloro che amano non sono disturbati, perché sanno che tutto concorre al bene per chi ama Dio.
La forza dello Spiro di Dio ci aiuta ad aprire il nostro cuore all'altro. Il rimedio ai mali che ci sono nel mondo sta dentro ognuno di noi, è la nostra umanità, quella rinnovata dall'amore. Ma chi può darci un cuore così grande da farci sentire vicini, prossimi, anche coloro che sono più estranei a noi, da farci superare l'amore di sé, per vedere questo sé negli altri? È un dono di Dio, anzi lo stesso amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato (cf. Rm 5,5). Allora, se apro il mio cuore all'altro, se allargo l'orizzonte del mio amore a tutti, vedrò sbocciare dappertutto pace e fraternità.
Ma è opportuno incominciare da chi è vicino a noi, nell'ascolto profondo di chi ci è accanto. Questo ascolto richiede presenza fisica, calore umano, accoglienza, sentire il dolore dell'altro come fosse il nostro, l'angoscia dell'altro come fosse la nostra. Richiede la condivisione fianco a fianco. Non è sufficiente essere "collegati" con i moderni mezzi di comunicazione. Anzi, questi, se non siamo vigilanti, ci rendono sempre più isolati gli uni dagli altri. L'ascolto, invece, esige vicinanza, presenza reale, amore concreto, guardarsi negli occhi, "farsi uno" nel momento presente, lasciando che la comprensione avvenga da cuore a cuore.
Occorre allora andare verso gli altri senza riserve, senza "se" e senza "ma". A volte siamo tentati di mettere un "se" nei nostri rapporti: se accetta la mia idea, se riconosce che ho ragione, se mi chiede perdono, ecc. Niente di tutto questo è amore, perché l'amore è incondizionato. Chi ama non impone, né comanda, solo ama e serve. Chi ama va verso gli altri con gioia e si mette al servizio. Esempio mirabile è il padre della parabola (cf. Lc 15,11-32) che accoglie il figlio con gioia, gli va incontro, lo abbraccia, lo veste a festa. L'errore del figlio non conta più, conta solo che è ritornato. Ciò è possibile perché lo Spirito ci rende capaci di amare con tutto il cuore, l'anima e le forze, Dio e il prossimo che incontriamo.
Questo amore ci fa avere in cuore la fraternità universale, che esige in noi un passaggio interiore molto importante: avere un amore che vada oltre le nostre convinzioni religiose, ideologiche, ecc. Ogni persona, di qualsiasi punto del pianeta, è nostro fratello. Avere la fraternità nei nostri cuori significa non avere in noi alcun tipo di barriera che ci impedisca di costruire un mondo in cui tutti ci riconosciamo come membri uguali dell'unica famiglia umana. Per amore di Gesù ci è domandato di "farci uno" con ognuno, nel completo oblio di sé, finché l'altro, dolcemente ferito dall'amore di Dio in noi, vorrà "farsi uno" con noi, in un reciproco scambio di aiuti, di ideali, di progetti, di affetti.
Se abbiamo alla base della nostra vita l'amore al fratello che suscita la reciprocità nel modo che Gesù ci ha indicato, avremo tra noi la vera fraternità. Il comandamento di Gesù, infatti, ci dice di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amato (cf. Gv 13,34). E l'apostolo Giovanni specifica che se qualcuno dice di amare Dio ma odia suo fratello, è un bugiardo, puntualizzando che non si può amare Dio che non si vede se non si ama il fratello che si vede (cf. 1Gv 4,20). Per questo motivo il cristiano ha il dovere di creare con tutti rapporti fraterni. Siamo infatti testimoni di Gesù, quando facciamo nostro il suo stile di vita. Quando cioè ogni giorno, nel nostro ambiente di famiglia, di lavoro, di studio e di svago, ci accostiamo con spirito di accoglienza e condivisione alle persone che incontriamo, avendo però in cuore il grande progetto del Padre: la fraternità universale.
Allora, lasciamoci guidare dallo Spirito di verità. Lo Spirito di verità, che Gesù ha promesso di inviarci prima di salire al cielo, ci dà forza, sapienza, conoscenza delle cose e conoscenza di Dio. Lo Spirito di verità ci indirizza sempre verso la strada del bene e dell'amore, nonostante il cammino sia accompagnato da sofferenze e difficoltà. Ma non c'è un bene senza la croce, non c'è rosa senza spine. Lo Spirito Santo abita in noi come nel suo tempio e ci illumina e ci guida. È lo Spirito di verità che fa comprendere le parole di Gesù, le rende vive e attuali, innamora della Sapienza, suggerisce le cose che dobbiamo dire e come dobbiamo dirle.
È così che ogni persona che incontro è un dono per me.

venerdì 28 giugno 2019

Seguire Gesù senza sconti


13a domenica del Tempo ordinario (C)
1 Re 19,16.19-21 • Salmo 15 • Galati 5,1.13-18 • Luca 9,51-62
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

C'è qualcosa di radicale nell'essere "cristiani", che altro non è che seguire Gesù e vivere secondo il suo stile: è un qualcosa che può anche sconvolgerci. Allora, si può essere tentati di addolcire o stemperare gli argomenti del Vangelo, invocando una particolarità di modo di pensare o di linguaggio. Eppure, prendere il Vangelo per ciò che è, approfittando della sua freschezza e del suo vigore, è trovare il "senso" di noi stessi e della storia.
Seguire Gesù non è una cosa come un'altra, che si può conciliare con esigenze parallele e contrarie. Forse ci siamo troppo facilmente abituati a vedere i "compromessi". Ma Gesù è Gesù: e chi lo segue deve comportarsi come Lui si è comportato (cf. 1Gv 2,6).

Si voltò e li rimproverò
Gesù non rimprovera i Samaritani, ma i discepoli. L'andare a Gerusalemme è presentato come un "traguardo": lì si compie la missione affidata a Gesù dal Padre: sulla croce Gesù esprime il vertice dell'amore, rivela il volto di un Dio che è Padre. I discepoli non riescono ad entrare nel suo modo di pensare: la rinuncia ad ogni violenza, l'amore ai nemici, la fiducia nel Padre.
Anche noi riconosciamo e sperimentiamo la fatica nel capire la "croce": per questo abbiamo bisogno di conoscere sempre di più Gesù e guardare con i suoi occhi di amore e misericordia anche chi sembra rifiutare Dio.
Chiediamoci: Qual è il nostro atteggiamento quando Gesù o la dottrina della Chiesa sono pubblicamente offesi? Quale Gesù seguiamo: uno da cui speriamo riuscita e liberazione dai mali o uno che ci fa scoprire la via del dono totale?

Seguimi
Gesù sembra pretendere nei suoi confronti un amore prioritario ed esclusivo: lo fa guardando a noi, non a sé! In Lui è la fonte di salvezza e felicità: Chi ascolta le mie parole, conoscerà la verità, e la verità vi farà liberi ( cf. Gv 8,31-32). Quando si scopre Gesù come "luce della vita", non ci si volta più indietro a cercare la felicità da altre parti. Si scopre, infatti, quanto Gesù conti per noi, quale "tesoro" Lui sia per la nostra vita. Seguire Gesù significa fare il primo passo per incontralo, non aspettando che siano altri a convincerci di Lui.

-------------
Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Tu invece va' e annuncia il regno di Dio (Lc 9,60)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 E si misero in cammino verso un altro villaggio (Lc 9,56) - (26/06/2016)
(vai al testo)
 A un altro disse: seguimi (Lc 9,59) - (30/06/2013)
( vai al testo…)
 Ti seguirò dovunque tu vada (Lc 9,57) - (25/06/2010)
(vai al post "Seguire Gesù, liberamente")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Guardare avanti per vivere in pienezza (24/06/2016)
  La chiamata di Gesù e la mia risposta (28/06/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2019)
  di Luigi Vari (VP 5.2016)
  di Marinella Perroni (VP 5.2013)
  di Claudio Arletti (VP 5.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

venerdì 21 giugno 2019

La speranza dei poveri non sarà mai delusa


21 giugno – San Luigi Gonzaga

Nel fare memoria di San Luigi Gonzaga (di cui porto il nome), ho riletto il Messaggio di papa Francesco per la III Giornata mondiale dei poveri (La speranza dei poveri non sarà mai delusa), per poter meglio comprendere, anche nelle circostanze attuali, la testimonianza di San Luigi che morì per il suo amore verso i poveri.
Anche ai nostri giorni - scrive Francesco - Dio come può permettere che il povero venga umiliato, senza intervenire in suo aiuto? Perché consente che chi opprime abbia vita felice mentre il suo comportamento andrebbe condannato proprio dinanzi alla sofferenza del povero?
I poveri di oggi sono famiglie costrette a lasciare la loro terra per cercare forme di sussistenza altrove; orfani che hanno perso i genitori o che sono stati violentemente separati da loro per un brutale sfruttamento; giovani alla ricerca di una realizzazione professionale ai quali viene impedito l'accesso al lavoro per politiche economiche miopi; vittime di tante forme di violenza, dalla prostituzione alla droga, e umiliate nel loro intimo. Come dimenticare, inoltre, i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l'uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?
Quante volte vediamo i poveri nelle discariche a raccogliere il frutto dello scarto e del superfluo, per trovare qualcosa di cui nutrirsi o vestirsi!

Se è vero che un povero non potrà mai trovare Dio indifferente o silenzioso dinanzi alla sua preghiera, Dio è colui che rende giustizia e non dimentica. E lo fa attraverso la testimonianza dei discepoli di Gesù: una diaconia che è presenza di Colui che, da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cf. 2Cor 8,9).
La condizione dei poveri obbliga a non prendere alcuna distanza dal Corpo del Signore che soffre in loro. Siamo chiamati, piuttosto, a toccare la sua carne per comprometterci in prima persona in un servizio che è autentica evangelizzazione.
E di questo San Luigi ne è vero testimone!
Ne consegue che l'opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via è una scelta prioritaria che i discepoli di Cristo sono chiamati a perseguire per non tradire la credibilità della Chiesa e donare speranza fattiva a tanti indifesi. La carità cristiana trova in essi la sua verifica, perché chi compatisce le loro sofferenze con l'amore di Cristo riceve forza e conferisce vigore all'annuncio del Vangelo.
Agli occhi del mondo appare irragionevole pensare che la povertà e l'indigenza possano avere una forza salvifica; eppure, è quanto insegna l'Apostolo quando dice: «Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29). Con gli occhi umani non si riesce a vedere questa forza salvifica; con gli occhi della fede, invece, la si vede all'opera e la si sperimenta in prima persona. Nel cuore del Popolo di Dio in cammino pulsa questa forza salvifica che non esclude nessuno e tutti coinvolge in un reale pellegrinaggio di conversione per riconoscere i poveri e amarli.
La condizione che è posta ai discepoli del Signore Gesù, per essere coerenti evangelizzatori, è di seminare segni tangibili di speranza.

In questo giorno chiedo al Signore Gesù, per l'intercessione del mio santo Protettore, di poter essere testimone credibile di questa speranza.

Altri post "San Luigi Gonzaga"…

giovedì 20 giugno 2019

Corresponsabili con Gesù


SS. Corpo e Sangue di Cristo (C)
Genesi 14,18-20 • Salmo 109 • 1 Corinzi 11,23-26 • Luca 9,11b-17
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Per far comprendere l'Eucaristia, Paolo presenta il racconto dell'Ultima Cena (cf. 1Cor 11,23-26; II lettura), Luca prende a prestito l'episodio della moltiplicazione dei pani (cf. Lc 9,11b-17), in particolare il gesto di "spezzare il pane", che i cristiani ripetono regolarmente ogni settimana nel Giorno del Signore.

Gesù prese a parlare alle folle… e a guarire…
Gesù si lascia coinvolgere dai bisogni degli altri, anche la sua parola è un' "accoglienza".
La liturgia del Giorno del Signore inizia sempre con il gesto del celebrante che accoglie la comunità, dà il benvenuto e annuncia il Regno di Dio.
Benvenuti sono i buoni e i peccatori, i poveri e i ricchi, i malati e i sani, i deboli, gli esclusi che cercano la Parola di speranza e di perdono.
Il luogo deserto richiama il cammino del popolo d'Israele che, lasciata la terra di schiavitù, si è messo in cammino verso la libertà ed è stato alimentato dalla manna.
La comunità, che celebra l'Eucaristia, è composta da "viandanti" che lasciano case, villaggi, amici e si mettono in cammino per ascoltare il Maestro. Altri, forse, preferiscono rimanere dove sono, non correre… rischi.

Voi stessi date loro da mangiare
La prima reazione è lo stupore, la sorpresa, la sensazione di essere chiamati ad un'impresa assurda. Per questo i Dodici suggeriscono una proposta che è il contrario dell'accoglienza: disperdere la folla, allontanarla, rimandarla a casa. Ognuno pensi, come meglio può, a risolvere i suoi problemi.
A volte i bisogni sono così impellenti che spingono a cibarsi di ciò che non sazia. Perciò il Maestro insiste: è da voi che il mondo attende cibo, Voi stessi date loro da mangiare.
La sua parola è un pane che si moltiplica miracolosamente. Chi accoglie il vangelo e con esso alimenta la vita, chi si ciba del pane eucaristico, sente a sua volta il bisogno di partecipare agli altri la scoperta fatta e comincia a distribuire il pane che sazia la sua fame … di felicità, di amore, di giustizia, di pace.
Li fecero sedere tutti quanti: Gesù non vuole che il cibo venga consumato in solitudine, ognuno per proprio conto, come si fa al self service. Anche i gruppi non troppo grandi possono avere il senso della possibilità reale di conoscenza, di dialogo, di instaurazione di rapporti d'amicizia, di aiuto reciproco, di fratellanza.

Recitò la benedizione, li spezzò e li dava…
Le formule con cui Luca descrive la moltiplicazione dei pani sono identiche ai gesti compiuti dal celebrante nella celebrazione dell'Eucaristia. Per questo il celebrante non celebra per se stesso, ma dà "voce" a Gesù e dà "voce" alla comunità; nel nome di Gesù è un "noi" che si rivolge al Padre, chiedendo che si realizzi il suo disegno sull'umanità: Per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Il pesce donato alla folla, infatti, è il simbolo di Cristo: Gesù è il pesce spezzato che si fa cibo per tutti nell'Eucaristia.

Non è concepibile che da un lato venga posto un gesto di unità, di condivisione, di uguaglianza e dall'altro sia tollerato il perpetuarsi di contrasti, di odi, di gelosie, di accaparramento dei beni, di sopraffazione. Se così fosse, "mangiamo e beviamo la nostra condanna" (cf. 1Cor 11,29) e sarebbe una grossa menzogna.


-------------
Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Voi stessi date loro da mangiare (Lc 9,13)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Tutti mangiarono a sazietà (Lc 9,17) - (29/05/2016)
(vai al testo)
 Voi stessi date loro da mangiare (Lc 9,13) - (02/06/2013)
( vai al testo…)
 Fate questo in memoria di me (1Cor 11,24) - (04/06/2010)
(vai al post "Vivere l'Eucaristia")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Siamo ricchi di ciò che doniamo (27/05/2016)
  Il Dono che è per tutti (31/05/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2019)
  di Luigi Vari (VP 4.2016)
  di Marinella Perroni (VP 4.2013)
  di Claudio Arletti (VP 5.2010)
  di Enzo Bianchi

mercoledì 19 giugno 2019

BIBBIA ieri e oggi


«Bibbia, ieri e oggi», una rivista al servizio della Parola di Dio.
Disponibile il secondo numero, dei cinque annuali previsti, della pubblicazione Elledici che scommette sulla capacità della Bibbia di creare ponti, di ispirare il dialogo con la fede e la cultura e orientare l'uomo del nostro tempo.


Articolo tratto da " Vatican Insider Recensioni - www.lastampa.it" (12/06/2019).


Una rivista unica nel suo genere, oggi interamente rinnovata nell'articolazione dei contenuti, nello stile e nella grafica, per cercare d'intercettare interrogativi ed inquietudini positive dei nostri contemporanei, offrendo il confronto tra la parola di Dio e quella dell'uomo, del resto da qui nasce il discernimento, quando si riempiono i fatti della vita di Parola. Il direttore editoriale don Valerio Bocci nella presentazione del volume n. 11, dal significativo titolo "È tempo di esodo", ha ripreso la metafora del viaggio e del cammino, in cui s'inserisce il dono della Sacra Scrittura, caratterizzandola in una prospettiva nautica, precisando che Bibbia ieri e oggi è un tentativo di qualificare «la navigazione dei nostri compagni di viaggio che cercano nella Scrittura una bussola sicura per la loro vita». Gli fa eco don Emilio Salvatore, docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia meridionale, sezione "San Luigi", nuovo direttore della rivista succeduto a don Fabio Ferrario che aveva curato i primi dieci numeri, per il quale la Bibbia è come una «goccia di eternità sulla vita umana». In un tempo dove tutto appare "liquido" e frammentato, scisso e atomizzato, bisogna incoraggiare quelle iniziative che suggeriscono percorsi in grado di riconciliarci con le nostre radici. Ma che significa parlare di Bibbia, ieri e oggi nell'attuale panorama delle riviste bibliche in Italia? Per don Emilio Salvatore vuol dire «porsi, in modo originale, come strumento per gli studiosi e cultori della Bibbia, per i catechisti e gli insegnanti di religione, offrendo un aggiornamento puntuale e una adeguata formazione permanente in linea con i loro interessi e con la missione loro affidata». Si tratta di riscoprire il rapporto tra memoria e profezia, ricerca e attesa, individuando la Bibbia come "luogo" propulsivo di una novità che nasce da una Parola accolta e compresa nel suo senso più profondo, non omettendo la fatica della preghiera, dello studio e della ricerca, insomma per dirla con un'immagine evangelica, si tratta di essere come quegli scribi, divenuti discepoli, che sanno trarre dal tesoro delle Scritture, cose antiche e cose nuove (cf. Mt 13,53). Di muoversi quindi in una «duplice direzione - precisa ancora don Emilio Salvatore - del passato e del presente, tra interpretazione ed attualizzazione". Percorsi operativi che si riflettono nell'articolazione della rivista: due sezioni, Ieri e Oggi. La Bibbia ieri, studi, archeologia, nuove scoperte, e la Bibbia oggi, nuovi linguaggi, interviste con i protagonisti del nostro tempo e il loro riferimento alla Bibbia, attenzione ai fenomeni sociali e culturali moderni.
Una rivista quindi unica nel panorama dei periodici di divulgazione scientifica, articoli a firma di collaboratori ed esperti competenti nelle diverse discipline; aggiornamento puntuale sulle scoperte archeologiche riguardanti il mondo antico; formazione continua per tutti coloro che amano la Sacra Scrittura; più rubriche per leggere in osmosi il passato e il presente; notizie, recensioni e un'agenda sulle iniziative bibliche in Italia e all'estero.
Interessantissime le rubriche. Nella prima sezione abbiamo: "Dentro il testo", che sviluppa temi d'interesse ermeneutico; "Dentro un libro", focus di volta in volta su un libro della Bibbia; "Dentro la storia", per approfondire i contesti storico vitali della Scrittura. Al centro della rivista è posto il dossier tematico, sempre dedicato a un tema di teologia biblica.
Nella seconda sezione si mette in relazione la Bibbia con la cultura: nel mondo della letteratura, dell'arte, della musica, del cinema, dei linguaggi e della testimonianza. L'obiettivo è quello di «bilanciare - precisa don Emilio - la lettura del testo con quanto emerge dall'attualità intesa come contesto ecclesiale, ma anche come dimensione interconfessionale ed ecumenica».

I temi dell'ultimo numero

Il n. 12, appena uscito, che è intitolato "Notre Dame, luce e fiamme" omaggia con un dossier la cattedrale parigina colpita dal terribile incendio del 15 aprile scorso. Il testo, realizzato dal direttore don Emilio Salvatore, ripercorre il legame tra i tre splendidi rosoni della cattedrale, scampati all'incendio, e le Sacre Scritture, secondo quel senso forte e pregnante de la Bible en vitraux, per la quale si può parlare realmente dell' "esperienza della luce oltre il fuoco".
La rivista è impreziosita da un'interessantissima intervista al Cardinal Gianfranco Ravasi, nella quale il porporato ripercorre il suo rapporto con la Parola di Dio, gli anni della docenza e il servizio al pontificio dicastero per la cultura.
Per la rubrica "Dentro il testo", don Enzo Appella approfondisce la relazione tra i due testamenti e le implicazioni teologiche ad esso correlate; in "Dentro un libro", Daniel Attiger, pastore riformato, biblista e monaco di Bose presenta gli Atti degli Apostoli, interrogandosi sul come leggere la storia della prima Chiesa oggi; in "Dentro una storia", Mario Russo Cirillo, direttore tecnico dell'Opera italiana pellegrinaggi si sofferma sul restauro del Santo Sepolcro, uno dei siti più complessi per l'archeologia e uno dei luoghi più sacri del mondo.
La seconda sezione si apre con la rubrica "Nel mondo dell'arte", nella quale don Claudio Doglio, docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica dell'Italia settentrionale prosegue il suo mirabile racconto degli affreschi della Cappella Sistina, soffermandosi in questa decima puntata sulla discesa di Mosè dal Monte Sinai e la conseguente amara esperienza dell'idolatria del popolo. Poi è la volta della rubrica della Bibbia "Nel mondo della musica", dove il biblista e critico musicale Alessandro Belano presenta l'opera de "Il Cantico dei Cantici" di Giovanni Pierluigi da Palestrina, insuperato interprete della polifonia vocale sacra rinascimentale.
Nella rubrica "Nel mondo della letteratura" il prof. Luciano Zappella, docente di italiano e latino, presidente del Centro Culturale Protestante di Bergamo, rilegge l'intimo legame tra la tradizione ebraica e il racconto biblico attraverso l'esperienza biografico spirituale dello scrittore Italo Svevo nel suo capolavoro "La Coscienza di Zeno".
Nella rubrica "Nel mondo dei linguaggi", Carmine Fischetti, formatore presso il Seminario campano di Napoli, esperto di linguaggi della comunicazione, suggerisce dei percorsi per recuperare la consapevolezza di come funziona il nostro mondo interiore e dare così voce al linguaggio del cuore.
Don Fabio Ferrario, biblista, giornalista e critico cinematografico, in "Nel mondo del cinema", presenta il film Defiance, i giorni del coraggio, interpretandolo come una sorta di "sfida dell'esodo", quella di tre fratelli alla guida di una comunità di ebrei perseguitati dai nazisti che fuggono in Bielorussia.
Nella rubrica "Nel mondo della testimonianza", il teologo biblico Giovanni Chifari, docente di esegesi neotestamentaria presso l'ISSR "San Michele Arcangelo" di Foggia, partendo dall'invito di Papa Francesco ad approfondire il tema della tribolazione, suggerisce una lettura infrabiblica della thlipsis per interpretare lo stato in cui vive la Chiesa oggi.
Il numero si chiude con la rubrica di Piera Arata Mantovani, docente di storia dell'arte dell'Accademia di Belle arti di Cuneo, che offre una rassegna sulle mostre, convegni, conferenze e corsi inerenti la Bibbia e il mondo biblico.

Questo il link per abbonarsi e sfogliare il primo numero: https://www.elledici.org/riviste/bibbia-ieri-e-oggi/

(Illustrazione: L'undicesimo numero della rivista "Bibbia, ieri e oggi")

venerdì 14 giugno 2019

Lasciarci guidare dallo Spirito


Santissima Trinità (C)
Proverbi 8,22-31 • Salmo 8 • Romani 5,1-5 • Giovanni 16,12-15
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

L'aspetto specifico, caratterizzante della nostra fede è Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, che in breve diciamo Trinità: ma non sempre questo termine richiama alla "ricchezza" del suo contenuto.
Ogni idea o espressione di Dio ha una ricaduta immediata sull'identità dell'uomo. Se la persona umana è fatta "ad immagine e somiglianza" di Dio, allora in ogni persona umana e in ogni suo rapporto è riconoscibile il "volto" di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo.
Immagine visibile della Trinità è chiamata ad essere la Chiesa, che altro non è che l'insieme di "rapporti" tra tutti coloro che aderiscono esplicitamente a Gesù, e per questo si sentono in comunione vitale con tutti gli uomini.

Avere fede in Dio Padre significa credere che Egli ha fatto tutto con amore e che non siamo frutto del "caos", del "caso", del "nulla"… Significa affermare che la vita è "dono" e non può essere manomessa, violentata, distrutta dall'uomo.
La terra, come "casa" dell'umanità, è dono d'amore: anch'essa va rispettata, non violentata, salvaguardata. Cibo, aria, acqua sono doni del Padre. Per questo Francesco cantava: «Laudato sii, o mi' Signore…». Non sono nostra proprietà, non possiamo farne l'uso che vogliamo.
Il corpo, espressione visibile della persona umana, va rispettato, curato, amato, non svenduto.

L'uomo è "immagine" di Dio: Dio stesso glielo svela nel Figlio, nel Verbo. Si dice che il Figlio ha "assunto" la nostra natura ed è diventato uno di noi: forse, più propriamente, dovremmo dire che l'immagine vera della persona umana è proprio il Figlio e in lui l'uomo si scopre "figlio di Dio". Il Padre ci ha creati e pensati nel Verbo: «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui». Avere fede nel Figlio significa credere che Dio ama l'uomo al punto di condividerne la precarietà e la fragilità; significa coltivare la speranza che questo amore infinito può registrare insuccessi, ma mai la sconfitta definitiva.
Proprio perché passa attraverso insuccessi, questo "disegno" originario sembra perdere la sua evidenza. Il brano di vangelo di oggi ci fornisce la chiave di lettura della nostra esistenza.
Quali sono le cose di cui non siamo capaci di portare il peso? È molto difficile per l'uomo accogliere un progetto di salvezza che passa attraverso il fallimento, la sconfitta, la morte del Figlio, comprendere che la vita viene raggiunta attraverso la morte, che l'amore si realizza nel dono gratuito di sé.

È a questa verità che lo Spirito ci conduce e ci dona di attualizzarla. Egli glorifica il Figlio perché ci porta a scoprire che in Lui siamo noi e la verità di noi stessi. «Credo nello Spirito Santo che… dà la vita»: la vita che lega il Padre e il Figlio e può diventare nostra: prenderà del mio e ve lo annuncerà.

-------------
Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Lo Spirito vi guiderà a tutta la verità (GV 16,13)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Lo Spirito Santo prenderà del mio e ve lo annuncerà (Gv 16,15) - (22/05/2016)
(vai al testo)
 Lo Spirito vi guiderà a tutta la verità (Gv 16,13) - (26/05/2013)
( vai al testo…)
 Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo (Vers. al Vangelo) - (28/05/2010)
(vai al post "Come in Cielo…")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  La vita… che si spegne se non si dona (20/05/2016)
  Nel vortice d'amore della Trinità (24/05/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2019)
  di Luigi Vari (VP 4.2016)
  di Marinella Perroni (VP 4.2013)
  di Claudio Arletti (VP 4.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Icona della Santissima Trinità di Arpad Agoston, da Andrej Rublev)

lunedì 10 giugno 2019

Donne e diaconato


Nella rubrica L'Ospite de Il Regno, il 24 maggio 2019, Giovanni Chifari, teologo e scrittore, in prossimità della Pentecoste ha pubblicato una riflessione sullo Spirito Santo e il rischio del funzionalismo nella Chiesa, a partire dalla questione delle donne diacono.
Riporto di seguito l'articolo.



Dire che «la Chiesa sta per rompersi» significa dar voce a uno spirito di desolazione e d'accanimento che mira a diffondere uno stato d'incertezza, di angoscia e di paura, e quindi fare propria una profezia di sventura sulla quale si è già espresso abbondantemente ed efficacemente a suo tempo papa Giovanni XXIII.
In realtà lo Spirito Santo è sempre all'opera, continua a guidare la sua Chiesa, facendo nuove tutte le cose, riuscendo cioè a far scaturire le novità dalla continuità, valorizzando l'intima e imprescindibile connessione tra memoria e profezia.
Bisogna crederci a questa potenza dello Spirito, a una manifestazione di exusia che interpella la fede dei credenti a partire dalla professione di quella forza e signoria che abita nel nome di Gesù, in Cristo crocifisso e risorto. In questa luce, quella dello Spirito e del suo primato, che risplendono nella parola di Dio e nei sacramenti che la Chiesa ci dona, sarà possibile discernere se le attuali questioni che emergono nel dibattito teologico ed ecclesiale, per esempio quella delle donne diacono, siano il riflesso delle attese delle Chiese e delle genti o siano realmente mozioni dello Spirito.

Sulle donne diacono
Recentemente papa Francesco ha voluto ribadire un criterio che da sempre accompagna il cammino della Chiesa: «Non si può andare oltre la Rivelazione». Lo ha detto all'UISG a proposito del diaconato delle donne, precisando che «se il Signore non ha voluto il ministero sacramentale per le donne, non va», anticipando così l'attuale orientamento dello studio che ha impegnato la commissione da lui stesso voluta per chiarire quest'importante aspetto.
La questione del diaconato femminile non è certamente nuova, e ha già prodotto, in questi ultimi decenni, svariati e interessanti studi e proposte, nonché, mi permetto di segnalare, la costante e sapiente attenzione della rivista Il diaconato in Italia, l'unica rivista a servizio del ministero dei diaconi, diretta da quasi trent'anni dal teologo biblico don Giuseppe Bellia.
Papa Francesco, nel dialogo con le superiori delle religiose richiamato sopra, ha fatto riferimento all'importanza di individuare un solido fondamento biblico e storico per poter procedere nella riflessione.
Proviamo quindi, brevemente, a indicare i nodi maggiori da sciogliere. Le due ricorrenze neotestamentarie che richiamano il diaconato delle donne, Rm 16,1-4 e 1Tm 3,8-12, invitano a una certa cautela. Di Febe, come spiega don Giuseppe Bellia è detto, «nostra sorella, diacono della Chiesa di Cencre», e cioè «è chiamata con formula maschile introdotta da un articolo femminile (he diakonos)», mentre «la famosa inserzione sulle "donne diacono" o delle "mogli dei diaconi" di 1Tm 3,11 ancora oggi affatica e divide esegeti e teologi».
La stessa vicenda dei sette, narrata in At 6, non appare per nulla configurata in modo ministeriale, e inoltre questi uomini non sono mai chiamati diaconi.
Sappiamo poi, dalla storia dei primi secoli cristiani, della netta distinzione di prassi e di approccio tra Chiesa d'Occidente e Chiesa d'Oriente: nessun valore sacramentale per il diaconato femminile nella prima, dove solo tardivamente, nel secolo VIII si fa menzione del diaconato femminile intendendolo però come un titolo onorifico da attribuire a donne consacrate o abbadesse; forse sì nella seconda, anche se bisogna pur dire che la testimonianza delle Costituzioni apostoliche, redatte in Siria verso il 380 d. C., è forse un unicum.
Fermandoci al testo delle Costituzioni apostoliche, quello cioè che più chiaramente fa riferimento alle donne diacono, «c'è una precisa distinzione tra cheirotonìa (imposizione delle mani) e cheirothesia (gesto di semplice benedizione: cf. VIII 16-23).
La cheirotonia, secondo le Costituzioni apostoliche, riguarderebbe le ordinazioni sia di episcopi, presbiteri e diaconi, sia anche di diaconesse, suddiaconi e lettori, anche se questi ultimi due erano conferiti fuori dal Santuario.
Permane dunque la questione: si tratta di un'ordinazione sacramentale con epiclesi o solo di una benedizione? Interrogativo ancora irrisolto, anche se limitato ad alcune Chiese della sola tradizione orientale, perché nella Chiesa latina occidentale il problema non si è mai posto.
A riguardo papa Francesco ha detto alle superiore generali delle religiose: «La forma di ordinazione non era la formula sacramentale, era per così dire […] come oggi è la benedizione abbaziale di una badessa, una benedizione speciale per il diaconato». Esattamente in linea con gli studi del teologo biblico Bellia.
Tuttavia la vera questione teologica, sottesa a tutto il discorso sul diaconato delle donne è quella del rapporto con il sacerdozio di Cristo. Realtà che ha animato per anni l'appassionato dibattito tra due dei più autorevoli studiosi in materia, p. Georges Martimort e p. Cipriano Vagaggini, monaco camaldolese. Per il primo le diaconesse sarebbero prive del carattere sacramentale, si tratterebbe solo di un titolo, per il secondo, in particolar modo nella tradizione bizantina, l'ordinazione delle diaconesse sarebbe connessa con quelle dei vescovi, presbiteri e diaconi.
Pietro Sorci, che ha compiuto degli studi sui testi liturgici e la preghiera di consacrazione delle donne diacono nelle Chiese di Siria e di quelle caldee e armene, ha individuato alcuni compiti delle donne diacono: «Compiere le unzioni nel battesimo delle donne (per una questione di decoro), sorvegliare le porte della chiesa, educare nella fede le donne».
Inoltre, confrontando i testi delle preghiere dell'ordinazione del diacono presenti nelle Costituzioni apostoliche, il frate minore, docente emerito di Liturgia presso la Facoltà teologica di Sicilia, ha osservato che nell'ordinazione del diacono di sesso maschile «si prega perché possa svolgere il ministero a lui affidato (leiturghesanta ten encheiristheisan diakonian) […] mentre nel caso della diaconessa si chiede soltanto che possa compiere degnamente l'opera a lei affidata (epitelein to encheiristhen aute ergon)». Le Costituzioni apostoliche vietano alle diaconesse di svolgere funzioni liturgiche (III 9, 1-2).

Una diaconia al femminile: la diaconia materna della Chiesa
Da questa breve analisi è evidente che il dibattito sul diaconato delle donne non può essere affrontato con superficialità o a forza di rilanci giornalistici. Non si tratta, infatti, di essere tifosi per una linea o un'altra, né di schierarsi tra i progressisti o i conservatori, né quindi di anteporre le proprie idee alla fede.
Ci si potrà invece domandare se ci sia una luce profetica al femminile di cui la Chiesa oggi potrebbe giovarsi, non rintracciandola tuttavia sul solo versante del punto di vista femminile, seppur decisivo e necessario, ma elevandola su un livello più teologico, anzi, intriso, se così possiamo esprimerci, da un inconfondibile profumo pasquale.
L'apostolo Paolo lo ha detto con chiarezza: «Non c'è più giudeo né greco, Non c'è giudeo né greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Come procedere dunque? Secondo la Scrittura, il primato è da assegnare all'essere in Cristo, all'essere trovati in lui, rimanere saldi in lui. È questa la chiamata, lasciarsi conformare all'immagine del Figlio unigenito di Dio, il nostro Signore Gesù Cristo, crocifisso e risorto (cf. Rm 8,28-30).
Prima c'è dunque il Cristo in noi e noi in lui, il nostro essere Chiesa che vive il primato della sua Parola e dell'Evangelo, e riconosce Cristo nell'eucaristia e lo serve nei fratelli. Diaconia, quest'ultima, che effettivamente, come fa osservare in un suo libro don Giuseppe Bellia, si caratterizza per un'indole tutta al femminile, una diaconia materna, che può dire tanto circa la dedizione, il servizio e la sequela di Cristo.
È forse questo il tratto di diaconia al femminile che risulta prioritario da riscoprire. «La diaconia della Chiesa – spiega Bellia – è associata all'opera di servizio della Chiesa/corpo di Cristo, della Chiesa/sposa, e perciò ha, o dovrebbe avere, un timbro e un'intensità al femminile, fatta di dedizione generosa e discreta, come ci mostra l'impegno instancabile e perseverante di molte donne nella vita della Chiesa, ancora in gran parte da riconoscere e rivalutare come esemplarità di servizio umile e fecondo» (G. Bellia, Servi di chi. Servi perché. Piccolo manuale della diaconia cristiana, 99).
E lo stesso Francesco, nell'Udienza del mercoledì, di ritorno dal viaggio apostolico in Bulgaria, ha voluto raccontare la sua commozione per aver osservato le suore della congregazione religiosa di Madre Teresa servire i poveri e gli ultimi con grande tenerezza e dedizione.
Non si tratta allora di clericalizzare le donne o di dividersi intorno alla querelle tra l'opzione di consacrazione religiosa o di ordinazione diaconale. È invece prioritario riscoprire e far conoscere quanto è donato alla Chiesa mediante il servizio generoso e coraggioso, perseverante e fecondo delle donne cristiane. L'esemplarità testimoniale di quante possono considerarsi autentiche discepole di Cristo può infatti indicarci la via che si deve percorrere per non separare il servizio al Cristo da una vera sequela (cf. Mt 7,21ss). Gesù stesso volle ricordare ai suoi: «Chi mi vuol servire mi segua» (Gv 12,26).

La potenza dello Spirito
E servizio e sequela sono realtà che rispondono al primato dello Spirito e dello spirituale, da non intendere affatto come disincarnato, nella vita della Chiesa. Nel recente discorso al Convegno della diocesi di Roma, il 9 maggio, Francesco ha detto che non bisogna rinunciare al kerygma, inventandosi «sinodi e contro sinodi», e ha poi aggiunto: «Ci vuole lo Spirito Santo; e lo Spirito Santo dà un calcio al tavolo , lo butta e incomincia daccapo». È necessario infatti non ostacolare la manifestazione della potenza dello Spirito. A riguardo ci ammonisce ma soprattutto ci stupisce l'Apostolo: «Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1Cor 2,1-5).
C'è una forza intrinseca nell'annuncio e quindi nella diaconia della Parola. Ricordava don Giuseppe Dossetti: «La trasmissione della fede non ha bisogno né delle persuasioni, né dei discorsi, né degli argomenti dotti e neppure delle operazioni prodigiose, e manifesta, se mai, la potenza dello Spirito Santo che è in essa proprio, portando gli altri alla fede, e a una fede che si fonda non sulle argomentazioni e nemmeno sui prodigi, ma su questo contatto di Spirito. Dobbiamo crederlo!» (G. Dossetti, La Parola di Dio seme di vita incorruttibile, 71).
La manifestazione dello Spirito e della sua potenza, risulta quindi insieme irruenta e discreta, e così come accade per la Sapienza divina, essa geme e soffre, e anzi non riesce proprio a convivere con quelle situazioni di non autenticità. Da esse fugge e si discosta.

Il funzionalismo tra gnosticismo e pelagianesimo
Ha ragione dunque Francesco, quando dice che «siamo caduti nella dittatura del funzionalismo», che è «una nuova colonizzazione ideologica che cerca di convincere che il Vangelo è una saggezza, è una dottrina, ma non è un annuncio, non è un kerygma» (Discorso alla diocesi di Roma, 9.5.2019).
Il funzionalismo si lega non poco con lo gnosticismo e il pelagianesimo che il papa ha indicato in Gaudete et exsultate come i nemici della santità. Si tratta di realtà che interpellano la distinzione tra visione ontologica e funzionale del ministero.
Vivere e pensare il proprio essere episcopo, presbitero o diacono all'insegna dell'estrinsecismo, cultualismo, formalismo, cerimonialismo, apparire, presenzialismo, clericalismo, ma anche accentuando il trionfalismo e giuridicismo, e quindi la mondanità, significa sbilanciarsi su una visione ontologica del ministero.
Questo tipo di «patologia spirituale» rientra sia nello gnosticismo che nel pelagianesimo, perché si manifesta sia come una devianza dell'idea che della volontà, per cui non c'è più profezia e la parola di Dio appare ingessata, e inoltre, come scrive anche Francesco in Gaudete et exsultate, si registra una lontananza dai problemi reali del mondo.
Ma questo vuol dire allora che una visione funzionale del ministero è quella più corretta? Vediamo prima quali sono le caratteristiche di quest'opzione: interventismo, attivismo, intraprendentismo, enfatizzazione sulle opere di misericordia e sulla ricerca della giustizia, sul servizio verso le marginalità, e quindi verso i poveri, gli ultimi, gli immigrati.
Che dire dunque? Certamente quest'opzione appare a prima vista più conforme al Vangelo e quindi più nobile. Tuttavia rischia di esaurirsi nell'esercizio di atti virtuosi che rimandavano a un'esemplarità individuale. C'è chiaramente un deficit di ecclesialità, di comunione.
Forse la scelta d'insistere su una Chiesa in permanente assetto sinodale può essere vista come una terapia all'individualismo. Ma se la sinodalità non si riscopre come un camminare alla luce della Parola verso l'eucaristia, non si rischia di oscurare il contributo della grazia sacramentale? In particolar modo di quella mediazione eucaristica che in ultima analisi è la sorgente di un'autentica diaconia? Da dove nascono infatti l'attenzione e la misericordia verso i poveri, gli ultimi e gli immigrati se non dall'eucaristia?
Uno sbilanciamento in senso funzionale può far dimenticare questo decisivo passaggio e far scivolare verso quel pelagianesimo che si denuncia. Sarà invece necessario riaffermare la centralità cristologica del Nome di Gesù, proclamato nella Parola, celebrato nell'eucaristia, servito nei fratelli.

Giovanni Chifari


venerdì 7 giugno 2019

Lo Spirito e l'amore per Gesù


Domenica di Pentecoste (C)
Atti 2,1-11 • Salmo 103 • Romani 8,8-17 • Giovanni 14,15-16.23b-26
(Visualizza i brani delle Letture)
(Vedi anche i brani delle Letture della Messa vespertina della vigilia)


Appunti per l'omelia

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti
È stupefacente la semplicità con cui Gesù dice chi è il "cristiano": uno che "lo ama"! «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15).
Si può fare il parallelo con le parole della prima lettera di Giovanni: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch'egli comportarsi come lui si è comportato» (1Gv 2,6).
La vita del cristiano non è un insieme di dottrine, né di precetti, ma è una persona: Gesù!
Dove scoprire il "comportamento" di Gesù? Nelle sue parole: perché esse corrispondono non a comandi che Lui ci dà, ma a quello che Lui è.
Per questo Lui ci dice: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti… Se uno mi ama, osserverà la mia parola…» (cf Gv 14,15.23).
La verifica della fede, che altro non è se non il nostro rapporto d'amore con Gesù, è la Parola ascoltata e messa in pratica. Come in ogni rapporto d'amore, non basta il sentimento, l'istruzione o la pratica religiosa.
Di qui nasce il desiderio di conoscere la Parola, di ascoltarla con amore, di portarci "a casa" quella frase, quell'espressione che ci ha toccati dentro, in modo da riviverla nella vita quotidiana, la rimeditarla, di farne partecipi gli altri… Allora amiamo come Gesù ama, pensiamo alla sua maniera, ci comportiamo secondo il suo stile.
E allora viene da chiedersi: cosa ci aspettiamo anzitutto dalla parrocchia, dalla comunità di appartenenza? Occasioni per confrontarci sul Vangelo o altre cose? E come "costruire" la comunità, su che basi, in modo che il nostro servizio sia fecondo?

Vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto
Ma è poi veramente possibile mettere in pratica le parole di Gesù? Il suo stile di vita, radicato nella Trinità, non è troppo distante da noi?
Il "comportamento" di Gesù, in definitiva, prende origine dal suo rapporto col Padre: «Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi…» (Gv 15,19). E chi pone in essere questo rapporto è lo Spirito Santo, che non per nulla è detto anche Amore: l'amore stesso che lega Padre e Figlio.
E Gesù ci promette e ci fa dono dello Spirito: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome» (Gv 14,26). Non è solo una "forza" per mettere in pratica la Parola, non è solo un dono quale "ricompensa" della Parola vissuta. Lo Spirito Santo è la capacità stessa di "essere" la Parola, così come nella Trinità Gesù è il Verbo.
È stupendo il verbo con cui Gesù descrive l'opera dello Spirito Santo: «Vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26), che potrebbe essere tradotto propriamente: Vi metterà dentro… Non soltanto riporta alla memoria o fa capire in modo nuovo il Vangelo, ma lo rende nostro, ne fa il nostro stile di vita.
In questo modo lo Spirito ci dà la certezza che Gesù è vivo, anche se il mondo non lo vede e lo sente morto... Lo Spirito ci fa "sentire" la voce di Gesù, suggerendoci le scelte da fare.

Il culmine dell'amore è stato manifestato nel momento della croce. Quando si fa fatica ad amare, a servire, a perdonare, a capirci (ad es. tra gli sposi, in famiglia, sul lavoro…), la "presenza" di Gesù con il suo Spirito ci porta a non arrenderci. Anche qui possiamo amare come Gesù, essere l'amore di Gesù per l'altro: lo Spirito Santo è presso di noi e in noi.

-------------
Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Lo Spirito della verità vi insegnerà ogni cosa (GV 14,26)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Lo Spirito della verità vi insegnerà ogni cosa (Gv 14,26) - (15/05/2016)
(vai al testo)
 Lo Spirito della verità vi insegnerà ogni cosa (Gv 14,26) - (19/05/2013)
( vai al testo…)
 Di me sarete testimoni (At 1,8) - (14/05/2010)
(vai al post "Lo Spirito che rende figli")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Lo Spirito.. rimane, insegna, ricorda (13/05/2016)
  Lo Spirito, forza di trasformazione radicale (17/05/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 5.2019)
  di Luigi Vari (VP 4.2016)
  di Marinella Perroni (VP 4.2013)
  di Claudio Arletti (VP 4.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

sabato 1 giugno 2019

Lo Spirito Santo la forza della testimonianza


Parola di vita – Giugno 2019
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni» (At 1,8).

Il libro degli Atti degli Apostoli, scritto dall'evangelista Luca, inizia con la promessa che Gesù Risorto fa agli apostoli poco prima di lasciarli per tornare definitivamente al Padre: riceveranno da Dio stesso la forza necessaria per continuare nella storia umana l'annuncio e la costruzione del Suo Regno.
Non si tratta di ispirare un "colpo di stato", di mettere un potere politico o sociale contro un altro, ma piuttosto dell'agire profondo dello Spirito di Dio accolto nei cuori, che fa "uomini nuovi". Da lì a poco, sui discepoli raccolti con Maria, scenderà lo Spirito Santo ed essi, partendo dalla città santa di Gerusalemme, diffonderanno il messaggio di Gesù fino ai "confini della terra".

«Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni».

Gli apostoli, e con loro tutti i discepoli di Gesù, sono inviati come "testimoni". Ogni cristiano infatti, quando scopre attraverso Gesù cosa vuol dire essere figlio di Dio, scopre anche di essere inviato. La nostra vocazione e la nostra identità di figli si realizzano nella missione, nell'andare verso gli altri come fratelli. Tutti siamo chiamati a essere apostoli che testimoniano con la vita e poi, se occorre, con le parole.
Siamo testimoni quando facciamo nostro lo stile di vita di Gesù. Quando cioè ogni giorno, nel nostro ambiente di famiglia, di lavoro, di studio e di svago, ci accostiamo con spirito di accoglienza e condivisione alle persone che incontriamo, avendo però in cuore il grande progetto del Padre: la fraternità universale.
Raccontano Marilena e Silvano: «Quando ci siamo sposati, volevamo essere una famiglia accogliente verso tutti. Una delle prime esperienze l'abbiamo fatta nel periodo prima di Natale. Non volendo che i saluti fossero un augurio frettoloso all'uscita di chiesa, ci è venuta l'idea di andare noi a casa dei nostri vicini, portando un piccolo dono. Erano tutti sorpresi e contenti, specialmente una famiglia che tanti cercavano di evitare: ci hanno aperto il cuore, parlandoci delle loro difficoltà e del fatto che da tanti anni nessuno era più venuto a casa loro. La visita è durata più di due ore e ci siamo commossi nel vedere la gioia di quelle persone. Cosi pian piano, con l'unico sforzo di essere aperti verso tutti, abbiamo intrecciato rapporti con molte persone. Non sempre è stato facile, perché magari una visita imprevista ci cambiava i programmi, però sempre avevamo presente che non potevamo perdere queste occasioni di rapporti fraterni. Una volta ci hanno regalato una torta e abbiamo pensato di condividerla con una signora che ci aveva aiutato a trovare giocattoli per il Brasile. Era felice di questa idea, e per noi un'occasione di conoscere la sua famiglia. Quando stavamo per uscire ci ha detto: magari avessi anch'io questo coraggio di andare a trovare gli altri!».

«Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni».

Tutti noi cristiani abbiamo ricevuto in dono lo Spirito Santo con il battesimo, ma Egli parla anche nella coscienza di tutte le persone che cercano sinceramente il bene e la verità. Per questo, tutti possiamo fare spazio allo Spirito di Dio e lasciarci guidare.
Come riconoscerlo ed ascoltarlo?
Può aiutarci questo pensiero di Chiara Lubich: «[…] Lo Spirito Santo abita in noi come nel suo tempio e ci illumina e ci guida. È lo Spirito di verità che fa comprendere le parole di Gesù, le rende vive e attuali, innamora della Sapienza, suggerisce le cose che dobbiamo dire e come dobbiamo dirle. È lo Spirito d'Amore che infiamma del suo stesso amore, rende capace di amare Dio con tutto il cuore, l'anima, le forze, e di amare quanti incontriamo sul nostro cammino. È lo Spirito di fortezza che dà il coraggio e la forza per essere coerenti con il Vangelo e testimoniare sempre la verità. […] Con e per quest'amore di Dio in cuore si può arrivare lontano, e partecipare a moltissime altre persone la propria scoperta: […] i "confini della Terra" non sono soltanto quelli geografici. Essi indicano anche, ad esempio, persone vicine a noi che non hanno avuto ancora la gioia di conoscere veramente il Vangelo. Fin lì deve spingersi la nostra testimonianza. […] Per amore di Gesù ci è domandato di "farci uno" con ognuno, nel completo oblio di sé, finché l'altro, dolcemente ferito dall'amore di Dio in noi, vorrà "farsi uno" con noi, in un reciproco scambio di aiuti, di ideali, di progetti, di affetti. Solo allora potremo dare la parola, e sarà un dono, nella reciprocità dell'amore» [1].

Letizia Magri

----------
[1] C. Lubich, Parola di Vita giugno 2003, in Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma 2017), pp. 691-692.


Fonte: Città Nuova n. 5/Maggio 2019