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sabato 30 marzo 2019

Accoglierci come Dio ci accoglie


"Rilettura", alla fine del mese, della Parola di Vita di marzo.

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 34,36).

Riempire il nostro cuore di misericordia. Se saremo misericordiosi potremo essere veramente artefici di pace e di unità. Dal momento che siamo tutti fragili è evidente che la pace e l'unità fra noi dipenderanno in primo luogo dal saperci comprendere e perdonare vicendevolmente. Dobbiamo concedere a chi ci ha offeso la possibilità di un ritorno. Allo stesso modo di come Dio fa con ciascuno di noi. Per questo è necessario riempire il nostro cuore di misericordia.
La fonte della misericordia è il cuore stesso di Gesù. È in Lui che dobbiamo cercarla; da Lui imparare. Perché figli di Dio, possiamo somigliargli in quello che lo caratterizza: l'amore, l'accoglienza, il saper aspettare i tempi dell'altro.
Il nostro amore di misericordia, per assomigliare un po' a quello di Dio, deve essere più grande del nostro peccato, più forte della debolezza dell'altro e superiore alla giustizia umana. La misericordia, infatti, è un amore che riempie il cuore e poi si riversa sugli altri, sui vicini di casa come sugli estranei, sulla società intera.
La misericordia è così importante che Dio la preferisce ai sacrifici. Avere un amore misericordia è testimoniare la bontà di Dio che continua in mezzo a noi alla ricerca di coloro che hanno più bisogno del suo amore. In concreto, il perdonarci l'un l'altro fa sì che cresciamo spiritualmente, avvicinandoci sempre di più a Dio. Occorre perciò non mantenere nel cuore residui di giudizio, di risentimenti, dove possono covare ira e odio, che ci allontanano dai fratelli. È vedere ognuno come fosse nuovo!
Per fare questo occorre saper dimenticare l'offesa ricevuta. Vale di più ricordare i bei momenti passati assieme che ricordare le offese ricevute. Dimenticare le offese ci fa ricordare che dobbiamo amare sempre.
Spesso le famiglie si sfasciano perché non si sa perdonare. Perdonare è dimenticare le offese, mentre amare deve essere l'unico nostro ricordo. Qualcuno pensa che il perdono sia una debolezza. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà che consiste nell'accogliere il fratello così come è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti.
Accogliere, appunto, l'altro così come è, e non come vorremmo che fosse, con un carattere diverso, con le nostre stesse idee politiche, le nostre convinzioni religiose, e senza quei difetti o quei modi di fare che tanto ci urtano.
Occorre, invece, dilatare il cuore e renderlo capace di accogliere tutti nella loro diversità, nei loro limiti e miserie.
Accogliere come Gesù ha accolto: peccatori, ammalati, poveri, stranieri. Chiunque gli si fosse avvicinato non si è mai sentito respinto. Siamo fratelli perché abbiamo un unico Padre, che è sempre alla ricerca dei suoi figli.
Ci rendiamo conto della serietà del nostro impegno verso Dio quando recitiamo la preghiera del Padre nostro. È un affare serio: chiediamo a Dio che perdoni i nostri peccati nella misura in cui perdoniamo coloro che ci hanno offeso. E questo non è facile. Bisogna chiedere a Dio la grazia dello Spirito Santo, perché con le nostre sole forze è impossibile. La Preghiera del Padre nostro, mentre ci apre il cuore a Dio, ci dispone anche all'amore fraterno. Questa apertura del cuore non si improvvisa. È una conquista quotidiana, una crescita costante nella nostra identità di figli di Dio.
Allora è estremamente importante ricostruire i legami incrinati o spezzati. Non guadagniamo niente con la rottura dei rapporti. Credendo di punire l'altro, in realtà finiamo per punire noi stessi. Le rotture non ci rendono felici.
Prima di presentarci all'altare per l'offerta, Gesù ci dice di riconciliarci con il nostro fratello: ciò piace a Dio e dà valore alla nostra offerta.
Innanzitutto occorre ricostruire ciò che si è rotto dentro di noi, nel nostro cuore, e poi andare dal fratello a ricomporre il rapporto incrinato. Da questo dipende la qualità della nostra unione con Dio. Se abbiamo fatto del male a qualcuno chiediamo coraggiosamente perdono e riprendiamo la strada. È un atto di grande dignità. Facciamo un atto di libertà da noi stessi e dai condizionamenti cominciando a ricostruire i legami incrinati o spezzati in famiglia, sul luogo di lavoro, nella comunità parrocchiale, nel partito politico.
Allora, fare sempre il primo passo verso l'altro; perché chi ama prende sempre l'iniziativa. È fare lo sforzo più impegnativo perché mette alla prova la propria autenticità e purezza nell'amare.
Fare il primo passo verso l'altro, guidati dall'amore, ci fa vivere una vita nell'armonia dei rapporti.

venerdì 29 marzo 2019

Essere "figlio"… più forte di ogni cosa


4a domenica di Quaresima (C)
Giosuè 5,9a.10-12 • Salmo 33 • 2 Corinzi 5,17-21 • Luca 15,1-3.11-32
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

La parabola dell'amore del Padre: a chi e perché Gesù la racconta?
Non ai peccatori, ma ai giusti. È una scelta scandalosa che provoca l'indignazione dei giusti, i quali non possono che concludere: quest'uomo, che frequenta persone impure, non può venire da Dio.

Il figlio minore
Il più giovane disse al Padre…: anche se il libro del Siracide sconsiglia di aderire a una simile richiesta, il padre non oppone resistenza. Perché il figlio abbandona la famiglia? Soprattutto perché vede nel padre una specie di "dominatore", in antagonismo con la sua "libertà".
Partì per un paese lontano…: rompe con la sua famiglia, il suo popolo, le tradizioni religiose della sua terra e va a stabilirsi tra i pagani allevatori di porci, animali impuri per eccellenza.
Quando ebbe speso tutto…: le "avventure" non saziano, l'uomo ha bisogno di equilibrio interiore, altrimenti si sente "morire".
Rientrò in se stesso…: l'esperienza della delusione può essere provvidenziale. Dicevano i rabbini: "Quando gli Israeliti sono costretti a mangiare carrube, si convertono".

Il figlio maggiore
Si indigna e la sua ira appare più che giustificata: è la reazione logica dell'uomo fedele e irreprensibile che si trova di fronte a una presunta ingiustizia. Il figlio maggiore è il perfetto osservante della legge, è colui che serve fedelmente, ma non ha un "rapporto" con il Padre: sulla sua bocca Gesù non mette la parola "padre", a differenza del figlio minore.
Mostra di non essere un figlio, ma un servo: il padre, per lui, è solo un datore di lavoro.
Per questo, come non appare sulla sua bocca la parole "padre", non appare neppure quella di "fratello": questo tuo figlio.

Il Padre
Nei confronti del figlio minore il padre non pronuncia una parola. La sua azione è descritta in cinque verbi:
lo vide da lontano (lo sta aspettando),
si sentì sconvolgere le viscere (il sentimento della madre nei confronti del figlio che porta in grembo: verbo che nei vangeli è riferito solo al Padre e a Gesù),
si mise a correre,
gli si gettò al collo (molto più che un abbraccio),
non smetteva di baciarlo (non il tradizionale bacio di saluto all'ospite, ma l'espressione della gioia e del perdono).
Al figlio che esprime il suo pentimento, il padre reagisce con: la veste lunga: quella usata per le feste, per gli ospiti di riguardo (la stessa che indosseranno in cielo gli eletti); l'anello al dito: non quello coniugale, ma quello con il sigillo; al giovane viene ridata l'autorità sui servi e viene reintegrato nell'eredità; i sandali ai piedi: il segno dell'uomo libero, lo schiavo andava scalzo.
Il Padre ritorna a parlare nei confronti del figlio maggiore, per dire: figlio … fratello. È il Padre stesso che gli fa riscoprire la dignità di figlio e la dignità del fratello.
Ritrovare il rapporto figlio-Padre vuol dire ritrovare anche il rapporto fratello-fratello.

Di fronte al comportamento del Padre vale la pena di "sforzarsi, comportandosi bene?".
La libertà mal gestita non è mai realizzante! Il Padre rispetta anche questa libertà, ma "vede" la possibilità di riscoprirsi figli, una potenzialità sempre più grande di qualsiasi passato negativo. Il suo perdono è amore ed è "intelligenza", un "leggere dentro".
Allora: È questo il Dio nel quale crediamo? E come viviamo il sacramento della riconciliazione?

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro (Lc 15,20)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 E cominciarono a far festa (Lc 15,24) - (06/03/2016)
(vai al testo)
  l Padre lo vide, ebbe compassione e gli corse incontro (Lc 15,20) - (10/03/2013)
( vai al testo…)
 Era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,24) - (12/03/2010)
(vai al post "L'abbraccio della riconciliazione")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Le intime fibre del cuore del Padre (04/03/2016)
  La gioia di essere perdonati ed accolti (08/03/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2019)
  di Luigi Vari (VP 2.2016)
  di Marinella Perroni (VP 2.2013)
  di Claudio Arletti (VP 2.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Bernardette Lopez)

venerdì 22 marzo 2019

Conversione, ragione di vita


3a domenica di Quaresima (C)
Esodo 3,1-8a.13-15 • Salmo 102 • 1 Corinzi 10,1-6.10-12 • Luca 13,1-9
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Credete che fossero più peccatori…?
Gesù prende spunto da due fatti di cronaca nera, da due tragedie: il massacro di un gruppo di Galilei ad opera di Pilato e l'incidente di una torre che, crollando, ha schiacciato 18 persone. Contesta la concezione che la disgrazia è castigo per il peccato, per cui le vittime sarebbero più colpevoli degli altri: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei ... di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico...». In effetti, era diffusa la credenza popolare secondo cui ogni disgrazia è conseguenza di determinati peccati. Per Gesù, invece, la disgrazia non è il segno del peccato, perché molte persone, non meno peccatrici delle vittime, non ne sono state colpite.
Legare la "disgrazia" al "peccato" è un modo di pensare che in certo senso può far comodo e tranquillizzare la coscienza: questo male a me non è accaduto, quindi sono a posto!
Una sua versione più moderna, un tentativo di trovare una spiegazione razionale dei fatti tragici e dolorosi, consiste nell'interpretarli come frutto del caso o come effetto di meccanismi naturali o sociali, evitando di leggere tali fatti in profondità e di lasciarsi interpellare da essi.

Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo
Le disgrazie, di cui alcuni sono vittime, hanno il senso di un avvertimento provvidenziale. Sono un richiamo a cambiare modo di pensare e di vivere, scuotendosi dalle illusioni e dalle false sicurezze. L'appello alla conversione è rafforzato con la parabola del fico sterile, ricco di fogliame ma senza frutti, che occupa inutilmente il terreno. La parabola sottolinea la pazienza del "padrone" che concede ancora tempo perché il fico produca frutti: richiama lo "stile" del Padre, che non si stanca di aspettare il ritorno dei figli e offre sempre l'opportunità per convertirsi.
Gesù ci richiama a lasciarci coinvolgere in prima persona dai fatti che accadono, a riconoscere negli avvenimenti, anche i più gravi, un segnale che il Padre ci offre perché ci convertiamo sul serio. Ciò significa non solo abbandonare la credenza superficiale che la disgrazia è effetto del peccato, ma trasformare in profondità il nostro cuore.
Così, ad esempio, quando muore una persona, come cogliamo il "segno" che abbiamo ancora tempo per "convertirci"? Davanti a fatti sconcertanti sotto il profilo dell'economia e della giustizia è facile emettere giudizi e fare analisi. Se ci domandassimo invece: io, noi come c'entriamo? non ne siamo per nulla responsabili? cosa facciamo di concreto per arginare certe tendenze e avviare una soluzione?

Padrone, lascialo ancora quest'anno…
L'intercessione del vignaiolo presso il padrone in difesa del fico e la sua cura "eccessiva" per attivarlo fanno pensare a Gesù, che gioca interamente se stesso per portare il popolo alla fedeltà amorosa, che il Padre attende. Il Padre è interessato alla "fecondità" dei suoi figli: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo albero, ma non ne trovo».
La "pazienza" del Padre non giustifica nessun disimpegno, è piuttosto la spinta ad accogliere e approfittare della sua misericordia.
I "frutti" sono la conversione concreta, cioè la "fede che si rende operosa per mezzo della carità" (Gal 5,6). È il rapporto filiale con Dio che si traduce in una preghiera sempre più centrata su di Lui e nell'attenzione a compiere gesti d'amore sempre più veri e autentici.
È appunto l'amore, in tutta la ricchezza delle sue forme, il "frutto" per eccellenza dello Spirito (cfr. Gal 5, 22).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo (Lc 12,3)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo (Lc 12,3) - (28/02/2016)
(vai al testo)
 Venne nella sua vigna a cercarvi frutti (Lc 13,6) - (03/03/2013)
( vai al testo…)
 Venne nella sua vigna a cercarvi frutti (Lc 13,6) - (05/03/2010)
(vai al post "I nostri frutti")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Gesù per primo si è impegnato per me (26/02/2016)
  Frutti di conversione (01/03/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2019)
  di Luigi Vari (VP 1.2016)
  di Marinella Perroni (VP 2.2013)
  di Claudio Arletti (VP 2.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Bernardette Lopez)

domenica 17 marzo 2019

Formare i diaconi alla spiritualità e alla sinodalità





Il diaconato in Italia n° 213
(novembre/dicembre 2018)

Formare i diaconi alla spiritualità e alla sinodalità
«…non servono discorsi e prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore» (EG 262)





ARTICOLI
Conversione e, quindi, sinodia (Giuseppe Bellia)
Percorso sinodale e riforma liturgica (Gislain Lafont)
La fatica dell'essere chiesa (Massimo Nardello)
Quale cammino della Chiesa nel terzo millennio? (Piero Coda)
La comunione che viene dall'alto (Giuseppe Bellia)
Preti e diaconi insieme per una diaconia sinodale (I) (Enzo Petrolino)
Giovani in cammino verso Gerusalemme (Mario Delpini)
Giovani e sinodo (Giovanni Chifari)
Non lasciamoli soli (Francesca Maria Forgetta e Vincenzo Testa)
Il bene grande della fraternità (Emilio Rocchi)
Dimensione trinitaria del ministero ordinato (Luigi Vidoni)
Formare i diaconi alla spiritualità sinodale (Andrea Spinelli)
Percorsi spirituali dei diaconi (Gaetano Marino)
Perché parlare ancora di spiritualità (Francesco Giglio)
Diaconia sinodale (Roberto Massimo)

RASSEGNE E TESTIMONIANZE

Per obbedire alla verità (G.B.)
A servizio dei confratelli
Parlando ai giovani (Pasquale Violante)


(Vai ai testi…)

venerdì 15 marzo 2019

L'esperienza fondamentale della preghiera


2a domenica di Quaresima (C)
Genesi 15,5-12.17-18 • Salmo 26 • Filippesi 3,17-4,1 • Luca 9,28b-36
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù salì sul monte a pregare
Il Signore ascende sul monte: non un'altura qualunque, ma il luogo della rivelazione di Dio, dove già Mosè ed Elia avevano fatto esperienza dell'Altissimo, dopo un digiuno di quaranta giorni. Gesù ha un intento chiaro in questa ascesa: la preghiera. Ed è la preghiera a cambiarlo, a mostrare di lui un volto nuovo, a metterlo in contatto non solo con il Padre, ma anche con la Legge e i Profeti, con lo svolgersi della storia della salvezza, con Mosè ed Elia.

Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto...
La preghiera di Gesù è esperienza particolare, un'esperienza unica e straordinaria nella quale egli ricomprende la propria vita nella continuità della storia e davanti al Padre. La preghiera appare in questo brano come esperienza del tempo e fuori dal tempo. E l'istante della preghiera è trasfigurazione. Gesù muta d'aspetto, davanti ad alcuni testimoni prescelti, proprio nell'atto di pregare. Ciò ci permette di considerare la trasfigurazione non solo un "anticipo" della gloria futura, ma anche come esperienza accessibile nella vita presente, quando l'uomo invoca il Padre e ne riconosce il mistero del suo amore.
Troppo spesso intendiamo la preghiera come un'occupazione di chi vive fuori dal mondo. È vero che Gesù, in questo momento di preghiera, diventa "altro"… ma solo per qualche momento, fino a quando l'effetto della preghiera non svanisce. Anche noi conosciamo circostanze in cui diventiamo "altri", come ad esempio nel riposo o in vacanza… Poi ritorniamo nel nostro vero io, fatto di impazienza e di stanchezza. Ma per Gesù non è così. Il suo vero volto è molto più quello mostrato sul Tabor rispetto a quello visibile nelle strade di Galilea. Gesù è l'eletto del Padre e mai lo comprendiamo così bene come quando il suo volto riflette la luce di Dio, luce che gli appartiene e che rappresenta la sua condizione autentica.
Così per noi la preghiera non è fuga dal mondo, ma assunzione di una luce in cui tutto si mostra come è realmente ed eternamente.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno
È la stessa scena che si presenterà nel Getsemani, dove nonostante la drammaticità degli eventi essi perdono coscienza, oppressi dal sonno. Dormire è sottrarsi dalla realtà, come anche uno svenimento per una situazione insopportabile. Così i discepoli, davanti all'esperienza incredibile, preferiscono chiudersi in un mondo di sogni, allontanandosi dalla realtà: «È bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne…».
La preghiera viene soppiantata dalle attività, che portano alla soluzione dei problemi, ma difficilmente permettono di ricomprendere la propria vita.
Non si rendono conto di quello che sta per accadere. Luca a questo proposito è lapidario: «Non sapeva quel che diceva»! È ancora grande la loro ignoranza ma la voce che presto udranno toglierà ogni residuo di oscurità su questo evento.

«Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!»
Quando facciamo esperienza dell'incomprensibile, la risposta è quella dell'ascolto. Ascoltare è diverso dal vedere: è lavoro interiore, di accoglienza e attenzione nei confronti dell'altro. Sembra così difficile ascoltare, in un tempo nel quale molti gridano per affermare la propria visione a dispetto dell'altro. Invece per ascoltare l'altro occorre silenzio.
La preghiera è per il cristiano come un'opera fondamentale. La presenza di Dio non è solo luce. Dio ci avvolge come una nube. Ed è la stessa nube che è discesa su Maria dopo l'annuncio dell'angelo. La grazia divina scenderà dentro di noi, ma senza che tutto sia trasparenza chiara e distinta. Il mistero rimane. E tra luce ed ombra compiamo il cammino della Quaresima.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo (Lc 9,35)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Maestro, è bello per noi essere qui (Lc 9,33) - (21/02/2016)
(vai al testo)
 Mentre Gesù pregava il suo volto cambiò di aspetto (Lc 9,29) - (24/02/2013)
( vai al testo…)
 È il Figlio mio, ascoltatelo! (Lc 4,8) - (26/02/2010)
(vai al post "Ascoltarlo e seguirlo")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Ascoltare e scoprirci "figli" (19/02/2016)
  Una fede consolidata (22/02/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2019)
  di Luigi Vari (VP 1.2016)
  di Marinella Perroni (VP 1.2013)
  di Claudio Arletti (VP 1.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Icona: La Trasfigurazione, Lisbona – Chiesa ortodossa romena)

mercoledì 13 marzo 2019

Il miglior digiuno




Ti proponi di digiunare in questa quaresima?

• Digiuna di parole offensive e trasmetti parole squisite
• Digiuna di scontenti e riempiti di gratitudine
• Digiuna di rabbia e riempiti di mitezza e di pazienza
• Digiuna di pessimismo e riempiti di speranza e di ottimismo
• Digiuna di preoccupazioni e riempiti di fiducia in Dio
• Digiuna di lamenti

Riempiti di cose semplici della vita

• Digiuna di pressioni e riempiti di preghiera
• Digiuna di tristezza e amarezza e riempiti il cuore di gioia
• Digiuna di egoismo e riempiti di compassione per gli altri
• Digiuna di mancanza di perdono e riempiti di atteggiamenti di riconciliazione
• Digiuna di parole e riempiti di silenzio e di ascolto degli altri


venerdì 8 marzo 2019

«Sta scritto»


1a domenica di Quaresima (C)
Deuteronomio 26,4-10 • Salmo 90 • Romani 10,8-13 • Luca 4,1-13
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù gli rispose: «Sta scritto…»
Per salvare il mondo, Gesù non sceglie le strategie che sembrano avere più successo, neppure quelle che sembrano nascere da un "potere divino", ma fa proprio il metodo del Padre espresso nella Parola. Per diffondere l'amore fraterno, per attirare le persone al Vangelo, siamo chiamati ad essere come Lui, a scartare la tentazione di ogni forma di "potere", anche quello religioso.
Al tempo stesso, comunicare il Vangelo, come ha fatto Gesù, attuare il suo invito alla conversione («Convertitevi e credete al Vangelo») è un dono che dà senso nuovo alla vita. Convertirsi, infatti, significa orientarsi nella direzione giusta.
Non possiamo tenere il vangelo, la "buona notizia", per noi. I più poveri tra i poveri sono proprio coloro che non hanno la "gioia" della fede.
La conversione, che è un cambiamento della mentalità, ci pone nella condizione di cambiare anche le "strutture", le presunzioni e situazioni di potere: soltanto una struttura illuminata dall'amore può portare un soffio di vita nuova nella società.
Allora è opportuno chiederci: anche per noi il dono del Vangelo è la "suprema carità", il più bel servizio che possiamo fare all'umanità? e chi sono i cosiddetti "lontani" nel mio ambiente?

Per poter "evangelizzare" occorre "evangelizzarsi": lo «Sta scritto» che vale per Gesù (e in certo senso anche Lui si evangelizza!) vale per noi. La "nuova evangelizzazione", di cui oggi si parla e di cui è espressione anche l'Anno santo della Misericordia celebrato tre anni fa, non è lo studio o il parlare del Vangelo: è vivere il Vangelo… prima di organizzare opere di carità, prima di organizzare il culto e i gruppi di preghiera, prima di organizzare la catechesi e la teologia. Evangelizziamo nella misura in cui traduciamo il Vangelo in vita, nella vita di tutti i giorni. Il Vangelo ci porta a scoprire un' "arte" di amare: un amore per tutti, un amore che parte per primo, che si "fa uno" con chiunque, perché vede in ogni prossimo un Gesù che vive o vuole vivere.
In questo senso possiamo riscoprire le opere di misericordia, corporali e spirituali, riscoperta a cui ci ha invitati Papa Francesco con l'Anno della Misericordia tre anni fa:
«È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. […] Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: « Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore» (dalla Misecordiae vultus, Bolla d'indizione dell'Anno della Misericordia).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù era guidato dallo Spirito nel deserto (Lc 4,1)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Non di solo pane vivrà l'uomo (Lc 4,4) - (14/02/2016)
(vai al testo)
 Gesù era guidato dallo Spirito nel deserto (Lc 4,1) - (17/02/2013)
( vai al testo…)
 Il Signore, Dio tuo, adorerai (Lc 4,8) - (19/02/2010)
(vai al post "La preghiera, respiro dell'anima")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  La vera forza viene dalla fiducia in Dio (12/02/2016)
  Un profondo atto di fede (15/02/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2019)
  di Luigi Vari (VP 1.2016)
  di Marinella Perroni (VP 1.2013)
  di Claudio Arletti (VP 1.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

mercoledì 6 marzo 2019

Quaresima: concreti atti di carità


Mercoledì delle Ceneri
Inizio questo cammino verso la Pasqua facendo miei questi consigli che papa Francesco a suo tempo ha proposto sul come vivere la Quaresima: 15 concreti atti di carità.


1. Sorridere. Un cristiano è sempre allegro!
Non ce ne rendiamo conto, ma quando sorridiamo alleggeriamo il carico a chi ci circonda. Quando camminiamo per strada, al lavoro, a casa, all'università… La felicità del cristiano è una benedizione per gli altri e per se stessi. Chi ha Cristo nella vita non può essere triste!

2. Ringraziare sempre (anche se non si è tenuti a farlo)
Non abituiamoci mai a ricevere perché abbiamo bisogno di una cosa o perché "abbiamo diritto a". Tutto viene ricevuto come un dono, nessuno "ce lo deve", anche se abbiamo pagato per averlo. Ringrazia sempre. Chi è grato è più felice.

3. Ascoltare la storia dell'altro, senza pregiudizi, con amore
Cosa può renderci più umani del saper ascoltare? Ogni storia che ti viene raccontata ti unisce di più all'altro: i figli, il partner, il capo, il professore, le loro preoccupazioni e le loro gioie… sai che non sono solo parole, ma parti della loro vita che devono essere condivise.

4. Sollevare il morale di qualcuno
Sai che non le cose non gli vanno bene o che non vanno affatto bene e non sai cosa fare. Decidi di strappargli un sorriso per fargli sapere che non va tutto a rotoli. È sempre bello sapere che c'è qualcuno che ti vuole bene e che ci sarà sempre malgrado le difficoltà.

5. Fermarti ad aiutare. Essere attento a chi ha bisogno di te
Cos'altro possiamo dire? Non importa se è un problema di matematica, una semplice domanda o qualcuno che ha fame, l'aiuto non è mai troppo! Tutti abbiamo bisogno degli altri. Anche se in genere aiuti, ricorda che anche tu hai bisogno di aiuto.

6. Ricordare agli altri quanto li ami
Tu sai che li ami… e loro? Le carezze, gli abbracci e le parole non sono mai troppi. Se Gesù non si fosse fatto carne, non avremmo mai capito che Dio è Amore.

7. Celebrare le qualità o i successi altrui
In genere tacciamo su ciò che ci piace e ci rallegra degli altri: i loro successi, le loro qualità, i loro atteggiamenti positivi. Espressioni semplici come "Auguri!", "Sono molto felice per te" o "Questo colore ti sta molto bene" rallegrano l'altro e ci aiutano a vederci tra noi come Dio ci vede.

8. Salutare con gioia le persone che si incontrano quotidianamente
Parliamo di chi apre la porta, di chi pulisce, di chi risponde alle telefonate. Li vedi ogni giorno e salutandoli ricordi loro che ciò che fanno è importantissimo. Sia il tuo lavoro che il loro si svolgono più volentieri se fai vedere loro che sono preziosi per gli altri, che la loro presenza cambia le cose.

9. Correggere con amore, non tacere per paura
Correggere è un'arte. Spesso ci troviamo in situazioni che non sappiamo gestire. Il metodo migliore è l'amore. L'amore non solo sa correggere, ma sa perdonare, accettare e andare avanti. Non avere paura di correggere e di essere corretto, è una dimostrazione del fatto che gli altri puntano su di te e vogliono che tu sia migliore.

10. Aiutare quando è necessario perché l'altro riposi
Accade in famiglia: quando uno riposa un altro lavora. Non c'è niente di più bello che sapere che qualcun altro ha già iniziato a fare qualcosa di cui avevi bisogno o che puoi sempre chiedere aiuto. Quando ci aiutiamo a farci carico delle responsabilità quotidiane, la vita è più leggera.

11. Selezionare ciò che non usi e regalarlo a chi ne ha bisogno
Hai mai pensato che la maglietta preferita di quando avevi 17 anni ora è la maglietta preferita di un'adolescente che non ha molti vestiti? Se sei un fratello maggiore lo sai. Per questo è bene abituarci a valorizzare ciò che abbiamo, e se abbiamo più di quello che ci serve donarlo ci riempie il cuore e protegge un altro dal freddo.

12. Avere piccole accortezze nei confronti di chi ci sta accanto
Sai ciò che gli piace più di chiunque altro, perché non approfittarne? Niente fa più piacere di quello che viene donato con amore. L'altro guadagna qualche minuto di riposo e tu un sorriso autentico. Uscire da sé e pensare agli altri è sempre meglio e rallegra il cuore

13. Pulire quello che usi in casa
Se vivi con la tua famiglia o già vivi fuori casa, sai quanto sia importante raccogliere e pulire quello che usi. C'è una voce dentro di te che ti dice che dovresti aiutare un po' di più… E sorprendentemente ti senti molto bene a farlo.

14. Aiutare gli altri a superare gli ostacoli
Da piccoli lo facevamo, perché non farlo anche ora? Aiutare a raggiungere l'autobus, a caricare le valigie, ad attraversare la strada o regalare qualche moneta per poter pagare. Questi dettagli non si dimenticano mai. Sei la persona strana che crede ancora nell'umanità.

15. Telefonare ai tuoi genitori
Ora vivi solo, ti muovi da solo e forse hai la tua famiglia. I tuoi genitori, tuttavia, ancora si commuovono quando fai sapere loro che li pensi. Essere attento a ciò di cui hanno bisogno o semplicemente sapere come stanno è qualcosa che non ti costa molto ed è un enorme gesto di gratitudine.

sabato 2 marzo 2019

"Vedere" il fratello come lo vede il Padre


8a domenica del Tempo ordinario (C)
Siracide 27,4-7 • Salmo 91 • 1 Corinzi 15,54-58 • Luca 6,39-45
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Domenica scorsa Gesù ci ha fatto delle proposte umanamente sconvolgenti: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano».
Per Gesù il centro di gravità non è l'io, ma l'altro con me, l'altro scoperto uguale a me, creati in dono l'uno per l'altro. Tutti si è "figli dell'Altissimo", dello stesso Padre che "è benevolo verso gli ingrati e i malvagi". Un Padre che è tale non perché "chiude un occhio" sull'ingratitudine e sulla malvagità, ma che continua a vedere in ogni persona l'immagine di un "figlio" suo, creato ad immagine e somiglianza sua. E se chiede di non essere ingrati e malvagi, non lo fa perché si sente "offeso", ma perché vede che in questo modo i suoi figli offendono se stessi, non riconoscendo più in se stessi la dignità più vera e profonda.

Perché guardi la paglizza…?
La "trave" che Gesù chiede di togliere dal proprio occhio è l'incapacità di cogliere questa dignità originaria e unica in se stessi e negli altri. Solo quando ho questo "occhio" che mi fa vedere nell'altro un "figlio" dello stesso Padre, allora l'amore mi spinge ad aiutare il fratello a togliere la "pagliuzza", non perché questo mi offende o mi dà fastidio, ma perché desidero il fratello o la sorella "belli" come li vede il Padre!
Con i paragoni che fa (il cieco che guida un altro cieco, la pagliuzza e la trave nell'occhio, l'albero buono e l'albero cattivo) Gesù dà l'impressione immediata di richiamare l'attenzione sulle opere da compiere, come se dicesse: sarete giudicati in base ai segni che saprete costruire,e non prima di tutto sulla base del messaggio che saprete offrire.

L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene
Gesù vuole richiamare la nostra attenzione sulla "sorgente" delle nostre azioni buone o cattive. Il vero problema è di cambiare l'interno, il cuore, la "sorgente". Per questo Luca ricorda che "l'uomo buono dal suo cuore trae fuori il bene".
Nel linguaggio di Gesù il cuore, che qui è paragonato ad un deposito, è il nocciolo della personalità, il punto centrale che colora di sé pensieri, atteggiamenti e azioni.
Allora Gesù ci propone per prima cosa di coltivare un cuore buono. Perché non si tratta solo di fare cose "di cuore"; sappiamo infatti per esperienza che si possono fare di cuore anche cose sbagliate. Occorre far partire le nostre azioni e i nostri atteggiamenti da un "cuore buono", retto, capace di discernere il giusto e l'ingiusto, soprattutto capace di guardare ogni persona con l' "occhio" del Padre.

Dice un proverbio tibetano: «Un giorno, camminando in montagna, ho visto da lontano una bestia. Avvicinatomi, mi sono accorto che era un uomo. Giungendo di fronte a lui, ho visto che era mio fratello!».

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
L'uomo buono dal suo cuore trae fuori il bene (Lc 6,45)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 2.2019)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 1 marzo 2019

L'amore che risana


Parola di vita – Marzo 2019
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 34,36).

Secondo il racconto di Luca, Gesù, dopo aver annunciato ai suoi discepoli le beatitudini, lancia il suo rivoluzionario invito ad amare ogni uomo come un fratello, persino se si dimostra nemico.
Gesù lo sa bene e ce lo spiega: siamo fratelli perché abbiamo un unico Padre, che è sempre alla ricerca dei suoi figli. Egli vuole entrare in rapporto con noi, ci chiama alle nostre responsabilità, ma allo stesso tempo il suo è un amore che si prende cura, che risana, che nutre. Un atteggiamento materno di compassione e tenerezza.
Questa è la misericordia di Dio, che si rivolge personalmente ad ogni creatura umana, con tutte le sue fragilità; anzi, Egli predilige chi rimane al margine della strada, escluso e rifiutato.
La misericordia è un amore che riempie il cuore e poi si riversa sugli altri, sui vicini di casa come sugli estranei, sulla società intorno. Perché figli di questo Dio, possiamo somigliargli in quello che lo caratterizza: l'amore, l'accoglienza, il saper aspettare i tempi dell'altro.

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso»

Purtroppo nella nostra vita personale e sociale respiriamo un'atmosfera di crescente ostilità e competizione, di sospetto reciproco, di giudizio senza appello, di paura dell'altro; i rancori si accumulano e portano ai conflitti e alle guerre.
Come cristiani possiamo dare una decisa testimonianza controcorrente: facciamo un atto di libertà da noi stessi e dai condizionamenti, e cominciamo a ricostruire i legami incrinati o spezzati in famiglia, sul luogo di lavoro, nella comunità parrocchiale, nel partito politico.
Se abbiamo fatto del male a qualcuno, chiediamo coraggiosamente perdono e riprendiamo la strada. È un atto di grande dignità. E se qualcuno avesse veramente offeso noi, proviamo a perdonarlo, a fargli nuovo spazio nel cuore, così da permettergli di risanare la ferita.
Ma cosa è il perdono?
«Il perdono non è dimenticanza […] non è debolezza, […] non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male, […] non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà che consiste nell'accogliere il fratello così come è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene" [1]» [2].
Questa apertura del cuore non s'improvvisa. È una conquista quotidiana, una crescita costante nella nostra identità di figli di Dio. È soprattutto un dono del Padre, che possiamo e dobbiamo chiedere a Lui stesso.

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso»

Racconta M., giovane filippina: «Avevo solo undici anni quando mio padre è stato ucciso, ma non è stata fatta giustizia perché eravamo poveri. Quando sono cresciuta, ho studiato giurisprudenza nel desiderio di ottenere giustizia per la morte di mio padre. Dio però aveva un altro piano per me: una collega mi ha invitato ad un incontro di persone impegnate seriamente a vivere il Vangelo. Così ho iniziato anch'io. Un giorno ho chiesto a Gesù di insegnarmi a vivere concretamente la Sua parola: "Amate i vostri nemici" [3] perché sentivo che l'odio per le persone che avevano ucciso mio padre mi avvolgeva ancora. Il giorno dopo, al lavoro, ho incontrato il capo del gruppo. L'ho salutato con un sorriso e gli ho chiesto come stava la sua famiglia. Questo saluto l'ha lasciato sconcertato, ed io lo ero ancora di più per quello che avevo fatto. L'odio dentro di me si stava sciogliendo, trasformandosi in amore. Quello però era soltanto il primo passo: l'amore è creativo! Ho pensato che ogni membro del gruppo doveva ricevere il nostro perdono. Con mio fratello siamo andati a trovarli, per ristabilire il nostro rapporto e testimoniare loro che Dio li ama! Uno di loro ci ha chiesto perdono per quello che aveva fatto e preghiere per sé e la sua famiglia».

Letizia Magri

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[1] Cf. Rm 12,21.
[2] Cf. C. Lubich, Costruire sulla roccia, Città Nuova, Roma 19934, p.56.
[3] Cf. Mt 5,44; Lc 6,27.


Fonte: Città Nuova n. 2/Febbraio 2019