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domenica 30 settembre 2018

La Parola ci rende liberi di amare


"Rilettura", alla fine del mese, della Parola di Vita di settembre.

«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza»» (Gc 1,21).

Con la sua Parola Dio parla direttamente al cuore. La sua Parola ha il potere di farci rinascere e, vivendola, diventiamo gradualmente parole viventi. Essa contiene il seme della vita vera che può germogliare nel nostro cuore, se l'accogliamo con docilità.
Vivendo la Parola, aderiamo con gioia alla volontà di Dio. Nell'essere proiettati nella divina volontà del momento presente saremo portati come conseguenza al distacco dalle cose e dal nostri io, distacco non tanto cercato di proposito - perché si cerca solo Dio - ma trovato di fatto.
Accogliere la Parola comporta anche essere aperti alle necessità degli altri. Quando mi avvicino alle persone, ai loro bisogni, entro nella loro vita, partecipo alle loro pene. E quando lo faccio con cuore puro, libero da pretese, sento la vicinanza di Dio. La Parola di Dio, infatti, ha una forza tutta sua: è creatrice, produce frutti di bene nella singola persona e nella comunità, costruisce rapporti d'amore tra ognuno di noi con Dio e tra gli uomini.
La Parola di Dio illumina la nostra coscienza rafforzando la presenza di Dio in noi. Infatti, una fontana ricca d'acqua viva è la presenza di Dio in noi. Egli ci parla e sta a noi ascoltare la sua voce, che è quella, appunto, della coscienza. È come una vena d'acqua profonda che non si asciuga mai, che ci può dissetare in ogni momento. È ascoltare Dio nel profondo del nostro cuore, dove avvertiamo spesso l'invadenza di tante "voci", di tante "parole": slogan e proposte di scelte, modelli di vita, come anche preoccupazioni e paure.
La Parola di Dio inoltre ci fa praticare la giustizia. La giustizia, che spesso umanamente identifichiamo con la punizione del colpevole, dimenticando che essa significa anche riconoscere i meriti, premiare e rispettare i diritti, compiere con fedeltà il proprio dovere. La giustizia cammina di pari passo con la verità ed ambedue nascono dall'amore. La giustizia, se esercitata nella sua completezza, ci rende più umani e più simili a Dio. È frutto della Parola che porta a liberarci di ogni malizia per lasciarci guidare da essa per un cammino verso la piena realizzazione della vocazione cristiana.
La Parola di Dio poi opera sempre. La sua prima azione è quella di illuminarci, infonde coraggio e trasforma la nostra vita, anzi, ci dà la vera vita. E non ritorna a Lui senza prima aver operato il suo effetto; effetto che si riflette a catena, attraverso le nostre azioni motivate dalla Parola, nei nostri confronti e in quelli verso cui operiamo. La Parola infatti ci chiede di uscire da noi stessi e avventurarci per le strade del dialogo e dell'incontro, con Lui e con gli altri.
Ci sono vari modi per "uscire" da noi stessi: nel dialogo senza scontrarci con chi la pensa diversamente da noi; andando incontro a quelli che si sentono soli, a quel parente allontanato dalla famiglia…, a quelle persone che in qualche modo abbiamo offeso per chiedere perdono…
"Uscire" da noi stessi può diventare una bella avventura!
Per prenderci cura di qualcuno è necessario che questa persona occupi un posto di rilievo nel nostro cuore. E per non fare distinzioni basta riconoscere la presenza di Gesù in ciascuno e prenderci cura di Lui che è presente in ciascuno dei fratelli. Questo può accadere perché in ogni persona Dio ha deposto il seme della sua Parola, che lo chiama al bene, alla giustizia, al dono di sé e alla comunione.
Siamo stati creati infatti in dono gli uni agli altri. Occorre però essere l'Amore per trovare il filo d'oro che lega tutti gli esseri. Nel dialogo poi si va oltre la tolleranza, perché d'ambo le parti si decide di ascoltarci profondamente, per giungere alla comunione facilitata dall'amore reciproco. Ogni creatura infatti è il "tu" di Dio, chiamato all'esistenza per condividere la Sua vita di amore e comunione.
Nel metterci a disposizione degli altri impariamo a sviluppare una raffinata sensibilità ai bisognosi e ai sofferenti. Questo essere per gli altri è frutto della Parola accolta e vissuta che ci invita a collaborare per rendere l'umanità più bella, in cui tutti ci riconosciamo sempre più fratelli.
Per la Parola accolta e vissuta l'uomo nuovo vive in noi e lo Spirito elargisce nei nostri cuori i suoi doni. Ma perché la Parola possa avere i suoi effetti nella nostra vita, occorre coerenza tra il credere e l'agire. Aderire alla Parola di Dio significa vivere, praticare, testimoniare la sua veridicità e il suo potere trasformante. La Parola di Dio infatti ha la possibilità di trasformare il nostro quotidiano in una storia di liberazione dall'oscurità del male personale e sociale, ma attende la nostra adesione personale e consapevole, anche se imperfetta, fragile e sempre in cammino.
Si sperimenta così la perenne attualità della Parola che illumina ogni nostra situazione, guidandoci nel nostro rapporto con le persone, diventando veramente la sorgente pura e perenne della vita spirituale.
Ma come si riconosce la Parola di Dio e darle spazio perché viva in noi? Occorre disarmare il cuore ed "arrenderci" all'invito di Dio, per metterci in un libero e coraggioso ascolto della Sua voce, spesso la più sottile e discreta.
Nel fare nostra la Parola di Dio sperimentiamo che essa ci trasforma interiormente, a volte in modo radicale, e ci fa acquisire una nuova mentalità, in un certo modo più vicina alla personalità di Gesù che è la Parola incarnata. Guardando alla vita di Gesù infatti si può constatare una profonda unità tra l'amore che Egli aveva per il Padre celeste e l'amore verso gli uomini suoi fratelli. C'era una estrema coerenza tra le sue parole e la sua vita. E questo affascinava e attirava tutti.
Alla fine possiamo sperimentare che la Parola di Dio i rende veramente liberi: vivere la Parola ci riporta alla vita vera, alla libertà di amare senza fare distinzioni di persone, ad amare per primi e riconoscere la presenza di Dio in ogni persona.

venerdì 28 settembre 2018

Chi non è contro di noi è per noi


26a domenica del Tempo Ordinario (B)
Numeri 11,25-29 • Salmo 18 • Giacomo 5,1-6 • Marco 9,38-43.45.47-48
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Non era dei nostri…
…è un nostro pericoloso rivale, cura le persone ricorrendo al Tuo nome e noi lo abbiamo diffidato perché "non ci segue".
Non dicono che non segue Gesù, ma che non segue loro, implicitamente affermano la loro superiorità, dimenticando l'ammonimento di Gesù "Chi vuol essere il primo…").
Anche nelle nostre comunità compaiono spesso gelosie e invidie. Sono il sintomo inequivocabile che l'incarico che ci è stato affidato non è più un servizio, un atto d'amore, ma un espediente per affermarsi, per ritagliarsi uno spazio di potere dal quale allontanare chiunque proponga cambiamenti o si offra di collaborare.

Chi scandalizza…
Scandalo è l'ostacolo che intralcia il cammino di fede del discepolo, che è il "piccolo" di cui si parla nel vangelo.
Lo scandalo, di cui parla Gesù, nasce dall'orgoglio, dalla smania per il potere e dalla volontà di dominare sugli altri. Conflitti, divisioni, scismi nella Chiesa nascono dalle ambizioni.
È uno spettacolo poco edificante vedere cristiani che litigano per avere i primi posti, come ci rammenta san Giacomo nella sua lettera (cfr. Gc 2,1-5).

Se la tua mano… Se il tuo piede… Se il tuo occhio…
Sono organi che, al tempo di Gesù, indicavano gli impulsi al male, la concupiscenza, le inclinazioni che allontanano da Dio.
Vanno eliminati il dito puntato nell'arrogante atteggiamento di chi, urlando, impone sempre la propria volontà, le mani che rubano, gli sguardi altezzosi che rivelano senso di superiorità e cupidigia, i piedi che corrono verso la vendetta assecondando i rancori, gli occhi invidiosi e sospettosi che creano situazioni insostenibili nella comunità dove i fratelli arrivano a non rivolgersi più neanche la parola.
Tutto questo deve essere tagliato. Perciò chi non ha il coraggio di tagliare, di amputare queste occasioni di peccato, chi accontenta i suoi capricci, chi non controlla le proprie passioni corre il rischio di precipitare nella Geenna.

Gettato nel mare… Gettato nella Geenna…
L'essere gettato in mare era considerato dai Giudei il supplizio più infamante perché rendeva impossibile la sepoltura del cadavere.
La Geenna era il luogo dove si bruciavano i rifiuti della città, considerata immonda e maledetta perché alcuni re di Israele vi avevano immolato alcuni figli a Baal.
Sono immagini che scuotono la coscienza di chi trascura il rapporto d'amore verso Dio e verso il prossimo.


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi non è contro di noi è per noi (Mc 9,40)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 È meglio per te entrare nella vita... (Mc 9,43) - (27/09/2015)
(vai al testo…)
 Chiunque vi darà un bicchiere d'acqua non perderà la sua ricompensa (Mc 9,41) - (30/09/2012)
(vai al testo…)
 Fossero tutti profeti nel popolo del Signore (Num 11,29) - (18/09/2009)
(vai al post "Dire Dio con la vita")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Un mondo dove tutti sono dei nostri (25/09/2015)
  Apertura e capacità di dialogo (28/09/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2018)
  di Luigi Vari (VP 8.2015)
  di Marinella Perroni (VP 8.2012)
  di Claudio Arletti (VP 8.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

mercoledì 26 settembre 2018

Il diacono ministro del portico


Luca Garbinetto, presbitero della Pia Società San Gaetano (PSSG), nella sua pubblicazione Preti e Diaconi insieme Per una nuova immagine di ministri della Chiesa, nel terzo capito tratteggia la figura del diacono con un'icona originale: il portico.

Tutto il libretto parla del rapporto tra preti e diaconi, partendo dall'esperienza concreta della congregazione religiosa cui l'autore fa parte, "ponendo i due gradi del ministero in una vitale e originale relazione di complementarietà".
Ho riportato il capitolo Il diacono ministro del portico nel mio sito di testi e documenti.

Ecco alcuni stralci:

«[…]
Che cos'è il portico?
Innanzitutto è il luogo dell'incontro a fianco della piazza. Non è dunque un luogo originariamente «religioso». È il luogo riparato in cui la massa che si riunisce nella piazza trova paradossalmente un momento di stacco, di raccoglimento, di pausa e ha lo spazio per parlare, per dialogare, per passeggiare con un certo ordine, per riconoscere l'altro. Il portico è quello spazio semiaperto in cui non c'è l'oppressione delle pareti che ci separano dal mondo e, allo stesso tempo, non c'è lo smarrimento e la confusione della piazza, dove fra l'altro si rischia di essere coinvolti nel traffico e nel via-vai dei motori. Il portico è, nelle città, l'ambiente del caffè e del gelato, dell'acquisto e della vendita, insomma dell'amicizia, del lavoro, delle relazioni umane.
Ecco allora il primo richiamo suggestivo evocato dal portico: il diacono abita proprio lo spazio umano della città, senza chiudersi dietro mura difensive e protettive, ma allo stesso tempo senza perdersi nell'anonimato e nel caos. È uomo di relazione nelle vicende umane che emergono fra gli affanni e le ansie della strada…

Un secondo aspetto significativo dell'utilizzo dei portici soprattutto nelle grandi città è quello dell'accoglienza dei poveri e dei derelitti, dei senza tetto di ogni provenienza e nazionalità. Il portico, di notte, si riempie di un popolo nuovo, che lo abita come si abita una cameretta intima e privata, e allo stesso tempo condivisa con altri, perfino sconosciuti. Il portico è allora il luogo dell'incontro con l'uomo fragile e con la fragilità dell'uomo. Bisogna avere però il coraggio della notte, soprattutto della propria notte interiore, che l'incontro con il povero fa sempre venire a galla drammaticamente. Siamo noi poveri dentro, siamo noi peccatori e feriti nello spirito, più ancora che nella carne. Il diacono, ministro del portico, è allora il ministro dei poveri, per i quali deve avere un'attenzione privilegiata, senza mai nascondersi e rifugiarsi in presunti altri compiti pastorali che ne limitino l'impegno per i derelitti della terra. Anzi, il diacono è il ministro della pastorale della notte, cioè di una pastorale meno preoccupata di grandi progetti e impeccabili programmazioni, e più attenta alla fantasia dell'amore, alla priorità delle relazioni, alla premura per le fragilità di ogni persona; una pastorale che sa rischiare l'incertezza del buio per sperimentare nuovi percorsi di testimonianza e di annuncio.

In questo crocevia di significati simbolici, il portico è immagine suggestiva anche per richiamare alcuni tratti essenziali del vissuto spirituale del diacono. Il portico, infatti, è anche lo spazio semi-aperto che dà la possibilità di ripararsi dal sole: si può vedere il sole, si può essere raggiunti di lato, con un raggio che si insinua tra le colonne, ma non si è immediatamente e irrimediabilmente colti e bruciati dal sole. Se identifichiamo il sole con Dio, riconosciamo in questa esperienza la grande libertà del Creatore e Signore, che permette alla persona di stare dove le è possibile in questo determinato momento del proprio cammino esistenziale, rispettandone i tempi e i ritmi, ma generando anche varie opportunità perché essa riconosca comunque i segni della sua presenza. Lo stare del diacono in questo spazio opzionale (cioè scelto liberamente), dove si è raggiunti dal sole, ma non avvolti da esso, dice una presenza di mediazione tra la libertà di Dio di continuare a splendere per tutti e per ciascuno e la libertà della persona di decidere dove stare in relazione alla Fonte della vita e del calore.

[…]»

Vai al testo completo del capitolo…

venerdì 21 settembre 2018

Ultimo e Primo


25a domenica del Tempo Ordinario (B)
Sapienza 2,12.17-20 • Salmo 53 • Giacomo 3,16-4,3 • Marco 9,30-37
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti
Gesù, il primo, è il servo di tutti, ama più di tutti: "Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita…"; "Se io, il Signore e Maestro, vi ho lavato i piedi…".
Per Lui è grande chi sa servire e mettersi a disposizione dei fratelli.
In questa luce, ogni discepolo di Gesù si sente parte di un "popolo", il popolo di Dio, esteso potenzialmente a tutta l'umanità: per questo non può chiudersi in sé e cercare il proprio tornaconto.
Ci sono modi diversi di renderci personalmente disponibili: assumendo una responsabilità diretta all'interno della comunità, non tirandoci indietro di fronte ai servizi che ci sono da svolgere in famiglia, nella comunità, nella società (a livello lavorativo, scolastico, politico…).
Viviamo la nostra presenza in famiglia, in parrocchia, nella società come servizio o attendiamo che siano altri a lavorare per noi?
Quali servizi gratuiti svolgiamo per i familiari, la comunità, la città, sul posto di lavoro?


Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me
Ogni bambino è Gesù che chiede: "Aiutami a crescere come figlio di Dio, non limitarti a darmi l'affetto, la scuola, lo sport".
Ogni famiglia e ogni comunità sono luoghi di rapporto con Dio e di trasmissione della fede.
La famiglia che ascolta il Vangelo e alla sua luce comprende la propria identità, diventa annunciatrice e testimone del messaggio di Gesù e diffonde così la sua fecondità.
Anche nel mondo di oggi i giovani possano riscoprire il disegno di Dio sulla propria vita e metterlo a disposizione della Chiesa e dell'umanità.
Ogni figlio, ed estesamente ogni persona, è un figlio di Dio da far crescere.
Facciamo riferimento al Vangelo, lo viviamo insieme in famiglia e nella comunità o ci imitiamo a chiedere solo buone abitudini?


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il Figlio dell'uomo viene consegnato (Mc 9,31)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Il Figlio dell'uomo viene consegnato (Mc 9,31) - (20/09/2015)
(vai al testo…)
 Se uno vuol essere il primo sia il servo di tutti (Mc 9,35) - (16/09/2012)
(vai al testo…)
 Il Signore sostiene la mia vita (Sal 53,6) - (18/09/2009)
(vai al post "La vicinanza di Dio")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Capire di abbracciare Dio (18/09/2015)
  Essere primo, essere ultimo (21/09/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2018)
  di Luigi Vari (VP 8.2015)
  di Marinella Perroni (VP 8.2012)
  di Claudio Arletti (VP 8.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Illustrazione di Bernardette Lopez)

lunedì 17 settembre 2018

Prima Diaconia a Roma


Ieri, domenica 16 Settembre, è stata presentata alla comunità parrocchiale di san Stanislao a Cinecittà la nuova guida pastorale: il diacono Andrea Sartori e la sua famiglia. Ad accompagnarlo in questa nuova avventura ci sarà un amministratore parrocchiale: Don Roko Celent e il diacono Enrico Valletta. Sarà la prima parrocchia romana affidata ad un Diacono permanente, una prima comunità nella Diocesi del Papa in cui non sarà il presbitero - che rimarrà comunque come amministratore della parrocchia e per la celebrazione dell’Eucaristia e della penitenza - bensì una famiglia diaconale a guidarla. A presentare il diacono Andrea alla comunità è stato Mons. Giampiero Palmieri, Vescovo del settore Est, che nella celebrazione da Lui presieduta ha invitato tutta l’assemblea a mettersi alla sequela di Cristo e alla scuola del servizio.
Al termine della Celebrazione il Vescovo ha consegnato a Don Roko la stola penitenziale del sacramento della riconciliazione e ad Andrea e alla sua sposa Laura una brocca ed un catino per significare la dimensione del servizio che dovranno testimoniare a tutta la comunità. Un diacono dunque alla guida pastorale di una comunità parrocchiale, un esperimento, ha aggiunto Mons. Palmieri, che possa mostrare come le diverse chiamate hanno l’unico obbiettivo di condurci alla comunione e alla santità e che con l’esempio di vita di una famiglia i fedeli possano sentirsi meno soli nella vicende umane di tutti i giorni.
Andrea, Laura e i loro 4 figli dal 1° settembre si sono trasferiti nella canonica della Parrocchia e hanno cominciato a prendere contatto con tutte le realtà del quartiere. Auguriamo ad Andrea e a Laura un buon cammino in questo nuovo incarico.
Il Signore guidi i loro passi affinché possano mostrare a tutti i parrocchiani di san Stanislao e non solo, il volto misericordioso di Cristo servo.

(Fonte: diaconidiroma.com)



venerdì 14 settembre 2018

Salvare la vita perdendola


24a domenica del Tempo Ordinario (B)
Isaia 35,4-7 • Salmo 114 • Giacomo 2,14-18 • Marco 8,27-3
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere rifiutato
Gesù non è capito ed accettato. I capi del popolo cercano di eliminarlo; la gente ha una grande stima di lui, ma lo vede come uno del passato; Pietro fa un'affermazione esatta, ma non accetta la "novità" di un Cristo che soffre.
Nell'accogliere la volontà del Padre, Gesù ne rivela il volto. Ha compassione di chi fa fatica a capirlo, usa misericordia anche verso chi lo rifiuta, fino al punto di dare la vita per tutti, compreso chi lo uccide.
L'esperienza della fatica a capire davvero Gesù si può trasformare in occasione per prendere coscienza della necessità di conoscerlo di più, per intuire maggiormente la misericordia del Padre, per guardare ogni persona con gli occhi di amore di Gesù.
Chi è Gesù per noi?
Il dolore è soltanto una cosa negativa o ne intravediamo il senso positivo?


Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso
Solo chi sente Gesù "vivo", lo segue davvero e arriva a capirlo.
Gesù chiede di mettere in gioco la vita: ogni giorno l'amore per lui può richiedere tagli, rinunce e forse anche incomprensioni o indifferenza.
Finché non si arriva a sacrificare, cioè a far sacra, la vita per lui, Gesù rimane uno dei tanti.
Il vero termometro della fede non è l'elenco delle opere di bene compiute, nemmeno delle Messe o delle celebrazioni a cui partecipiamo, ma il cambio di "mentalità" operato dal Vangelo ascoltato e vissuto, anche in situazioni di fatica e di disagio.
Rinnegarsi è trovare in Gesù il "senso" di noi stessi: cambiando i nostri programmi quando lo richiede l'amore al fratello, "rinnegando" gli stili di vita proposti dai mezzi di comunicazione, rivedendo scelte e abitudini alla luce della Parola…
In famiglia, a scuola, al lavoro, con gli amici come "testimoniamo" il Vangelo?

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo (Mc 8,29)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo (Mc 8,29) - (13/09/2015)
(vai al testo…)
 Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mc 8,34) - (16/09/2012)
(vai al testo…)
 Io camminerò alla presenza del Signore (Sal 114,9) - (11/09/2009)
(vai al post "Gesù, il centro e il cuore")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Chi sono io per te? (11/09/2015)
  Perdere per ritrovare, non essere per essere (14/09/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2018)
  di Luigi Vari (VP 7.2015)
  di Marinella Perroni (VP 7.2012)
  di Claudio Arletti (VP 8.2009)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 7 settembre 2018

Lasciarci portare fuori di noi


23a domenica del Tempo Ordinario (B)
Isaia 35,4-7 • Salmo 145 • Giacomo 2,1-5 • Marco 7,31-37
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Effatà! Apriti!
Il sordomuto, anche senza sua colpa, è un uomo isolato, chiuso in sé, ascolta solo sé.
La Parola di Gesù lo guarisce: lo fa aperto agli altri, capace di ricevere e dare.
Siamo fatti per vivere in comunione: Dio ci ha fatto dono dell'ascolto e della parola per comunicare e condividere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri progetti di vita.
Il vero sordo e muto è chi non sa ascoltare e comunicare con gli altri.
Gesù guarisce il sordomuto in terra pagana, tra gente che non conosce Dio.
In questa luce il sordomuto è anche simbolo di chi è chiuso a Dio, di chi non conosce la sua Parola e perciò non sa parlare con Dio e rispondergli.
Gesù invita ad aprirci all'ascolto della sua Parola per essere guariti.
Allora sapremo parlare al Padre, alla maniera stessa di Gesù, che è in perenne comunione e comunicazione con Lui: "Non la mia ma la tua volontà … Eccomi, che vuoi da me? … Grazie di ciò che sei per me, per noi … Tu sei l'unico mio bene …".
Allora sapremo ascoltare e parlare agli altri, mettendo in luce il bene e non il male, comunicando le nostre esperienze di fede, donando consigli ispirati alla parola del Vangelo che ha il potere di guarire, consolare, illuminare.
Allora: sappiamo ascoltare chi parla con noi o pensiamo già ad altro mentre fingiamo di ascoltare? I mezzi di comunicazione (TV, cellulare, internet, giornali) ci aiutano ad aprirci di più agli altri o ci portano a stare ancora più chiusi in noi?
E nella preghiera parliamo col Padre, con Gesù, con lo Spirito o diciamo solo formule fatte?


Fa udire i sordi e fa parlare i muti!
La folla riassume così tutta l'attività di Gesù: egli mette in comunicazione gli uomini tra di loro e con il Padre.
Il primo servizio della parrocchia e della comunità ecclesiale è aiutare le persone ad incontrarsi e ad ascoltarsi, imparando ad ascoltare e rispondere vitalmente alla Parola di Dio.
Può avvenire attraverso la celebrazione eucaristica, i "gruppi del Vangelo", la lectio divina... Ci si ritrova insieme a confrontarsi con la Parola e, proprio nella luce della Parola, si impara a decidere insieme, ad ascoltare con attenzione chi parla, a parlare e a dire con semplicità le proprie idee e difficoltà, a non imporre nulla a nessuno.
Si accoglie la Parola di Dio anche in famiglia: leggere insieme la Parola e parlarne insieme tra moglie e marito, tra genitori e figli, tra fratelli può diventare strada per un incontro più vivo con Gesù e per un dialogo più vero e più profondo in famiglia, sul luogo di lavoro, di scuola, di incontro.
Ci possiamo allora chiedere: cerchiamo nella comunità un luogo di confronto con il Vangelo o ci aspettiamo altro?

È più importante ascoltare o parlare? Ce lo racconta Rina: «Da un anno una degenerazione delle cellule nervose mi ha tolto la facoltà di parlare, separandomi quasi dal mondo. I rapporti con le persone della mia famiglia sono difficili, perché posso valermi solo di domande e risposte scritte.
Non potendo prender parte alle conversazioni, ho imparato ad ascoltare di più gli altri, a non giudicarli, a non fermarmi alle apparenze.
Prima in casa parlavo sempre io, ora lascio che parlino loro e cerco di far mio quel dolore, quella gioia, quella notizia. E quasi sempre, alla fine, rimangono così sollevati e contenti che quasi non si accorgono che non posso parlare.
Questo continuo allenamento ad ascoltare e a dimenticare i miei problemi mi aiuta anche a vivere il Vangelo. Mi viene più facile capire la Parola di Gesù, vedere con i suoi occhi, superare le mie idee».

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù fa udire i sordi e fa parlare i muti (Mc 7,37)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Gesù lo prese in disparte (Mc 7,33) - (06/09/2015)
(vai al testo…)
 Gesù disse: "Apriti!" (Mc 7,34) - (09/09/2012)
(vai al testo…)
 Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo? (Gc 2,5) - (04/09/2009)
(vai al post "I poveri, predilezione di Dio")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Un cuore che ascolta (04/09/2015)
  Saper "ascoltare" per poter "parlare" (07/09/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2018)
  di Luigi Vari (VP 7.2015)
  di Marinella Perroni (VP 7.2012)
  di Claudio Arletti (VP 8.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Illustrazione di Stefano Pachì)


martedì 4 settembre 2018

Diaconi educati all'accoglienza e al servizio dei malati





Il diaconato in Italia n° 206/207
(settembre/dicembre 2017)

Diaconi educati all'accoglienza e al servizio dei malati
ATTI DEL XXVI CONVEGNO NAZIONALE
Cefalù 2-5 Agosto 2017







SALUTO
XXVI Convegno nazionale (Calogero Cerami)
Cose nuove e cose antiche (Carmine Arice)
Per professare unanimi la nostra fede (Enzo Petrolino)
Ferite da toccare (Vincenzo Manzella)

RELAZIONI
Il servo del Signore. Il mistero della sofferenza nella storia della salvezza (Giulio Michelini)
Il servizio dei diaconi ai malati e ai sofferenti nella tradizione della Chiesa (Enzo Petrolino)
Diaconi coraggiosi testimoni della buona notizia ai più deboli e ai poveri (Gianrico Ruzza)
Pane e senso (Carmine Arice)
Donne a servizio dei malati e dei sofferenti (Cettina Militello)
Per una diaconia dell'accoglienza (Francesco Montenegro)

OMELIE
I luoghi e i tempi, tra santità e malattia (Arturo Aiello)
Tesori nascosti (Michele Pennisi)
Il volto autentico di Cristo (Vincenzo Manzella)
Angeli con un'ala soltanto (Francesco Montenegro)

INTERVENTO
Accoglienza e partnership del ministero diaconale (Marie Francoise Maincent)

GRUPPI DI LAVORO
Introduzione all'Incontro delle spose (Omelia De Simone)
Sintesi degli incontri delle spose (Omelia De Simone)
Sintesi dei lavori di gruppo (Giuseppe Colona)
Sintesi dei lavori di gruppo dei delegati (Luca Garbinetto)

TAVOLA ROTONDA
Introduzione alla tavola rotonda (Tonino Cantelmi)
Accogliere Dio e servire l'altro (Nazzareno Iacopini)
I nuovi spazi della pastorale diaconale (Guido Miccinesi)
La testa, il cuore e l'anima (Rita Zafonte)

ICONE
I mosaici della cattedrale di Cefalù (Crispino Valenziano)

CONCLUSIONE
In ascolto della Parola (Carmine Arice)
Il fondamento della speranza (Enzo Petrolino)

(Vai ai testi…)

lunedì 3 settembre 2018

Maria e il Dio che appare assente


Ho ricevuto questa meditazione e ... troppo bella per tenerla solo per me!
È del vescovo Klaus Hemmerle (1929-1994), teologo, filosofo, artista, già vescovo di Aachen (Germania).



MARIA E IL DIO CHE APPARE ASSENTE

«Nel 1984 mi recai con un gruppo di vescovi di diverse confessioni nella basilica di Santa Sofia a Istanbul. Restammo colpiti da questo edificio imponente, poiché vi potevamo percepire in maniera tangibile una presenza enorme della storia della Chiesa e dell'umanità. Ci trovavamo in un edificio dell'antica tradizione cristiana, dell'epoca in cui la cristianità era unita, in cui l'Asia Minore era centro del mondo cristiano; ma eravamo anche nel luogo in cui si consumò la rottura tra Oriente e Occidente e si spezzo l'unità. Nei grandi cunei della cupola vedevamo, enormi, le scritte tratte dal Corano, il sopravvento di un'altra religione sulla cristianità lacerata. Proprio davanti a noi erano posti alcuni cartelli che dicevano "Vietato pregare". Un museo in cui la gente si aggirava con macchine fotografiche e binocoli, gironzolando di qua e di là guardando le bellezze artistiche lì conservate.

Questa assenza di religione in quello che una volta era un luogo sacro era terribile. Fummo sopraffatti da questa cascata di eventi: unità originaria, unità lacerata, diverse religioni, niente più religione. I nostri sguardi vagavano disorientati in cerca di aiuto, quando all'improvviso – là! Sopra la cupola scintillava, dolcemente e senza farsi notare, un antico mosaico: Maria che offre suo Figlio. Lì ho capito chiaramente: sì, questa è la Chiesa: esserci, semplicemente, e a partire da se stessi generare Dio, quel Dio che appare assente.

La parola Theotokos - madre di Dio, colei che genera Dio - acquistò per me improvvisamente un suono completamente nuovo. Capii che non possiamo organizzare la fede nel mondo; se nessuno vuole più sentir parlare di Dio, non possiamo batterci con la forza e dire "Guai a voi!". Anche noi possiamo esserci semplicemente e portare alla luce, partendo da noi stessi, quel Dio che appare assente. Non possiamo fabbricare questo Dio, ma soltanto darlo alla luce; non possiamo affermarlo con argomentazioni, ma possiamo essere la coppa che lo contiene, il suo cielo nel quale, pur nella scarsa appariscenza, Egli rifulge. Ho così compreso non solo il nostro compito odierno come Chiesa, ma anche come la Chiesa sussista nella figura di Maria e come Maria sussista nella figura della Chiesa, come entrambe la figura e la realtà siano una cosa sola».

(Klaus Hemmerle, Partire dall'unità. La Trinità e Maria, pp. 124, 125)


sabato 1 settembre 2018

La Parola che ci trasforma


Parola di vita – Settembre 2018
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza» (Gc 1,21).

La Parola di questo mese proviene da un testo attribuito a Giacomo, figura di rilievo nella Chiesa di Gerusalemme. Egli raccomanda al cristiano la coerenza tra il credere e l'agire.
Nel brano iniziale della lettera viene sottolineata una condizione essenziale: liberarsi da ogni malizia per accogliere la Parola di Dio e lasciarsi guidare da essa per camminare verso la piena realizzazione della vocazione cristiana.
La Parola di Dio ha una forza tutta sua: è creatrice, produce frutti di bene nella singola persona e nella comunità, costruisce rapporti di amore tra ognuno di noi con Dio e tra gli uomini. Essa, dice Giacomo, è stata già "piantata" in noi.

«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza».

Come? Certamente perché Dio, fin dalla creazione, ha pronunciato una Parola definitiva: l'uomo è Sua "immagine". Ogni creatura umana infatti è il "tu" di Dio, chiamato all'esistenza per condividere la Sua vita di amore e comunione.
Ma, per i cristiani, è il sacramento del battesimo che ci inserisce in Cristo, Parola di Dio entrata nella storia umana. In ogni persona dunque Egli ha deposto il seme della sua Parola, che lo chiama al bene, alla giustizia, al dono di sé e alla comunione. Accolto e coltivato con amore nella propria "terra", è capace di produrre vita e frutti.

«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza».

Luogo chiaro dove Dio ci parla è la Bibbia, che per i cristiani ha il suo vertice nei Vangeli. Occorre accogliere la Sua Parola nella lettura amorosa della Scrittura e, vivendola, possiamo vederne i frutti.
Possiamo ascoltare Dio anche nel profondo del nostro cuore, dove avvertiamo spesso l'invadenza di tante "voci", di tante "parole": slogan e proposte di scelte, modelli di vita, come anche preoccupazioni e paure … Ma come riconoscere la Parola di Dio e darle spazio perché viva in noi?
Occorre disarmare il cuore ed "arrenderci" all'invito di Dio, per metterci in un libero e coraggioso ascolto della Sua voce, spesso la più sottile e discreta. Essa ci chiede di uscire da noi stessi e di avventurarci per le strade del dialogo e dell'incontro, con Lui e con gli altri, e ci invita a collaborare per rendere l'umanità più bella, in cui tutti ci riconosciamo sempre più fratelli.

«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza».

La Parola di Dio infatti ha la possibilità di trasformare il nostro quotidiano in una storia di liberazione dall'oscurità del male personale e sociale, ma attende la nostra adesione personale e consapevole, anche se imperfetta, fragile e sempre in cammino.
I nostri sentimenti e i nostri pensieri assomiglieranno sempre più a quelli di Gesù stesso, si rafforzeranno in noi la fede e la speranza nell'Amore di Dio, mentre i nostri occhi e le nostre braccia si apriranno alle necessità dei fratelli.
Così suggeriva Chiara Lubich nel 1992: «In Gesù si vedeva una profonda unità tra l'amore che Egli aveva per il Padre celeste e l'amore verso gli uomini suoi fratelli. C'era un'estrema coerenza tra le sue parole e la sua vita. E questo affascinava e attirava tutti. Così dobbiamo essere anche noi. Dobbiamo accogliere con la semplicità dei bambini le parole di Gesù e metterle in pratica nella loro purezza e luminosità, nella loro forza e radicalità, per essere dei discepoli come li vuole Lui, cioè dei discepoli uguali al maestro: altrettanti Gesù diffusi nel mondo. E ci potrebbe essere per noi una avventura più grande e più bella?» [1].

Letizia Magri

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[1] C. Lubich, Come il Maestro, in «Città Nuova» 36 (1992/4), p. 33.


Fonte: Città Nuova n. 8/Agosto 2018