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venerdì 26 giugno 2020

Perdersi per "ritrovarsi"


13a domenica del Tempo ordinario (A)
Geremia 20,10-13 • Salmo 68 • Romani 5,12-15 • Matteo 10,26-33
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

È una specie di "manuale" del missionario quello che stiamo leggendo da qualche domenica: perché l'attività evangelizzatrice del discepolo sia efficace come quella di Gesù, occorre che egli sia "altro Gesù". E per questo occorre un amore tutto speciale: «Chi ama padre o madre... figlio o figlia più di me non è degno di me». Ciò non è indolore: «Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me».

Prendere la propria croce
In un testo del profeta Ezechiele (9,4-6) sulla fronte dei credenti viene segnato un "Tau" (lettera dell'alfabeto ebraico che anticamente aveva la forma di croce) per simboleggiare la loro appartenenza a Dio. Senza escludere questo significato, quasi certamente Gesù si riferisce all'usanza romana della crocifissione: il condannato riceveva sulle spalle il legno trasversale (patibulum) e si avviava al luogo dell'esecuzione tra gli scherni e i compatimenti della folla. Il discepolo di Gesù non può non mettere in conto tale prospettiva, il "martirio". Ma già ogni giorno l'amore a Gesù può richiedere tagli, rinunce, sacrifici: ogni giorno siamo chiamati a "prendere la croce" dietro a Lui.

Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà: e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà
Per sei volte i Vangeli riportano questa dichiarazione di Gesù: chi è attaccato alla propria vita e vuole difenderla a ogni costo, fosse anche col tradimento del Maestro, in realtà la "perderà".
Chi invece, per rimanere fedele al Vangelo, arriva anche a perdere la propria vita, la ritrova in pienezza. È un'allusione al martirio, ma è anche la legge fondamentale di ogni vita autentica: il donarsi comporta il "saper perdere", il dimenticarsi, il mettersi da parte, il "non essere" perché l'altro sia. Perdere per ritrovare, perdersi per ritrovarsi. È la dinamica dell'esistenza di Gesù e del cammino di quanti lo "seguono".
Non possiamo non rimanere impressionati dalla carica provocatoria di queste parole di Gesù. L'«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore...», che pur Gesù ha ribadito con forza nuova, ora è spostato sulla sua persona. E Gesù non accetta compromessi, un amore a metà: la frequenza martellante del "me" (sette volte in pochissimi versetti) sembra comunicarci, anche sul piano linguistico, l'esigenza di fare di Lui l' "unico" e il "tutto".
Si tratta di essere semplicemente "discepoli", vivere in modo pieno l'appartenenza a Lui, radicata nel Battesimo: «Se siamo morti col Cristo, crediamo che vivremo con Lui, sapendo che il Cristo risuscitato dai morti non muore più» (Rm 6,8-9; II lettura). La vita battesimale è vita pasquale, è vita da risorti: «Consideratevi morti al peccato e viventi per Dio, nel Cristo Gesù» (Rm 6,11).

«Il mio fidanzato sa, perché se n'è accorto e perché gliel'ho detto espressamente, che Gesù viene prima di lui nella mia vita». Così una ragazza.
Forse che Gesù è un ostacolo, quasi un intruso, fra le persone che si amano? Come un concorrente... sleale, pretende che gli innamorati, gli amici, i congiunti riducano il proprio amore perché si mette di mezzo Lui? In realtà Gesù ci consente una relazione più vera tra noi, un rapporto sempre più libero da ogni forma anche larvata di egoismo. Se gli diamo interamente il cuore, Lui ci darà il suo e diventeremo capaci di vivere ogni relazione affettiva in una misura sorprendentemente nuova e intensa, capaci di amarci nel cuore e col cuore di Gesù stesso.
Possiamo sicuramente affermare di aver sperimentato che proprio così, "perdendo" la vita per amore di Gesù, ci sentiamo più felici e più realizzati, più vivi!

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi accoglie voi accoglie me (Mt 10,40)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
Chi accoglie voi accoglie me (Mt 10,40) - (02/07/2017)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Due estremi: la croce e un bicchiere d'acqua fresca: Una vita si perde donandola (30/06/2017)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2020)
  di Cettina Militello (VP 5.2017)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Chi avrà dato da bere… (Mt 10,42), Bernadette Lopez)

venerdì 19 giugno 2020

Non abbiate paura!


12a domenica del Tempo ordinario (A)
Geremia 20,10-13 • Salmo 68 • Romani 5,12-15 • Matteo 10,26-33
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Quello che io vi dico nelle tenebre ..... annunciatelo dalle terrazze
Gesù invia i discepoli di tutti i tempi a portare la "buona notizia", a dire e ad annunciare quello che diceva Lui e operando quello che operava Lui, anzi... lasciando che Lui continui a dire e ad operare attraverso di loro.
Gesù desidera trasmetterci la certezza che riempie il suo cuore: del suo Vangelo tutti gli uomini hanno un assoluto bisogno. Vuol rivelarci che Dio è il Padre che attraverso il proprio Figlio chiama tutti a essere felici della sua stessa felicità.
Gesù parlava alle folle, ma poi "sbriciolava" e spiegava in tutti i particolari ai più intimi, ai suoi discepoli in un prolungato cammino educativo. Quanto essi hanno ascoltato, appreso e vissuto nel rapporto con Gesù è un'esperienza così ricca, è un dono così vertiginoso che non può rimanere dentro la loro cerchia, a loro uso e consumo. Ma tutti gli uomini devono esserne partecipi. Tutti devono saperlo. Il messaggio di Gesù deve raggiungere tutti. Per questo i discepoli dovranno ricorrere ad ogni espediente, servirsi di ogni mezzo, dalla parola detta o scritta agli strumenti sempre più vari e potenti della comunicazione. Un annuncio pubblico, che non trascura nessuna persona, nessuna fascia di età, nessuna categoria. Un annuncio integrale, che proclama cioè tutte le parole di Gesù, senza farne una selezione a seconda dei gusti di chi offre l'annuncio o di chi lo riceve.

Non abbiate paura…
Gesù non ci illude. Sa bene che questa opera di annuncio non è indolore. Per questo incoraggia i suoi per ben tre volte, in un testo pur così breve: "Non abbiate paura!".
All'uomo abituato a convivere con la paura, a trascinarsi prigioniero della paura, Dio offre la grande assicurazione che, quando c'è Lui e l'uomo accetta la sua compagnia, la paura non ha più ragion d'essere e viene superata. A Gesù sta veracemente a cuore che i suoi non cedano alla paura lasciandosi ridurre al silenzio e diventando infedeli alla missione. Gesù richiama alcuni motivi che potranno sostenerli nel combattere e vincere la paura.

Nulla vi è di nascosto che non sarà svelato…
La parola di Gesù, anche se affidata a pochi nel segreto, anche se inizialmente rifiutata e fallimentare, si farà strada e avrà uno sviluppo, come il seme di un albero (cfr. Mt 13,31-32). Dio stesso, attraverso il suo Spirito, si incaricherà di far conoscere e diffondere il messaggio di Gesù ("sarà svelato" da Dio, si intende). Tutta l'opera evangelizzatrice la conduce il Padre e lo fa attraverso i discepoli ("ditelo nella luce, annunciatelo dalle terrazze").

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima
Gesù non promette ai discepoli che saranno loro risparmiati i mali che temono. Ma vuole aprire loro gli occhi e far capire loro dove sta il vero bene e il vero male. La vita terrena non è il bene più grande, come la morte non è il male più grande. Il vero bene è la vita eterna, "piena", con Dio; il vero male è essere privati di Dio. È questo il senso della contrapposizione: non temere gli uomini che al massimo possono togliere la vita fisica; temere, invece, Dio, amandolo attuando la sua volontà, Lui che è infinitamente più potente dei persecutori e dal quale dipende il nostro destino definitivo, la vita eterna o la rovina eterna. Gesù ci invita a essere "realisti", a discernere con lucidità ciò che è essenziale, ciò che vale e per esso a metterci interamente in gioco, anche se questo dovesse comportare la perdita della vita fisica. Il "martirio", che vuol dire "testimonianza", è la forma più alta di annuncio. I martiri sono coloro che hanno annunciato il Vangelo, dando la vita per amore... Ogni giorno, però, noi possiamo dare alla nostra vita la dimensione del "martirio", quando, sapendo morire a noi stessi, compiamo ogni gesto nella radicalità dell'amore a Dio e al prossimo. Testimoniamo così che il valore più alto non è la vita terrena e ogni forma di benessere o di successo, da ricercare o conservare a ogni costo. Ma mostriamo in modo credibile che il valore più alto è il nostro legame con Dio e con la sua volontà, e per esso sappiamo impegnare coraggiosamente la nostra esistenza in ogni sua espressione.

Due passeri... voi valete di più
Il terzo motivo su cui Gesù fonda l'esortazione a bandire ogni timore è l'amore paterno e provvidente di Dio per ciascuno dei suoi figli. Dio si prende cura di ogni creatura a tal punto che neppure un passerotto è trascurato da Lui: "non cadrà a terra senza il volere del Padre vostro". Più propriamente: "senza il Padre vostro". Cioè il Padre è al corrente della morte dell'uccellino e non la impedisce, perché questa rientra nel suo disegno d'amore. Ma non è indifferente e lontano, bensì presente, partecipe della tragedia della sua piccola creatura, soffrendola in qualche modo con lei. Quanto più - conclude Gesù - il "Padre vostro" avrà sollecitudine di voi. È vero, non ci libererà dalla morte, ma - se essa è prevista nel suo piano d'amore – il Padre la vivrà con noi, come tenendoci in braccio, perché ognuno dei suoi figli è prezioso ai suoi occhi, come preziose sono le loro sofferenze e il loro impegno di rimanergli fedeli. E tutto lo interessa di noi: "Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati", un amore che arriva a preparare anche i dettagli... È un sogno da non rimuovere: imparare a scaricare ogni problema, che può inquietarci, nel cuore del Padre. Arrivare ad essere così tanto sicuri di Lui da poter smettere di preoccuparci di noi.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non abbiate paura (Mt 10,31)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
Non abbiate paura (Mt 10,31) - (25/06/2017)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Non abbiate paura… Voi valete di più (23/06/2017)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2020)
  di Cettina Militello (VP 5.2017)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Alle spalle e di fronte mi circondi (Sal 138), acquarello di Maria Cavazzini Fortini, giugno 2020)

venerdì 12 giugno 2020

Un pane che fa "vivere"


SS. Corpo e Sangue di Cristo (A)
Deuteronomio 8,2-3.14b-16a • Salmo 147 • 1 Corinzi 10,16-17 - Giovanni 6,51-58
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Appunti per l'omelia

Gesù presenta se stesso come il "pane della vita": l'unico che può saziare pienamente la "fame" di ogni uomo, fame di verità, di vita, di felicità; desiderio di Dio, in definitiva, di cui è impastato il cuore umano. L'unico in grado di comunicargli una vita che supera la barriera della morte; anzi una vita "eterna", la vita che è propria di Dio stesso.
Questo "pane" è anzitutto Gesù nella sua parola, nella rivelazione che offre, tema di tutta la prima parte del discorso di Cafarnao. Chi "mangia" questo "pane vivo", chi lo accoglie nella fede assimilando la sua parola, riceve la vita già ora e «vivrà in eterno» (Gv 6,51).
Poi, Gesù parla di un pane che donerà: «e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). L'Eucaristia è la "carne", la persona di Gesù sacrificata per la vita degli uomini. Si ha qui un chiaro riferimento alle parole eucaristiche di Gesù riportate nei Vangeli sinottici e in Paolo: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio…».
L'evento della morte-risurrezione di Gesù è reso presente e viene donato. E la realtà della Chiesa da qui nasce e rinasce:«Quando il Cristo morì, dal suo costato uscì la Chiesa. Ogni volta che il suo Mistero Pasquale è reso presente, la Chiesa sorge di nuovo più giovane, più forte, più bella, più feconda» (Metodio di Olimpio). Nel nostro testo il termine "carne" richiama l'affermazione centrale del prologo di Giovanni: «Il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). L'Eucaristia è il "prolungamento" dell'Incarnazione: il Figlio di Dio, divenuto uomo, morto e risorto, è veramente presente nell'Eucaristia e «continua ad offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina» (Giovanni Paolo II). Nell'Eucaristia il credente si nutre del "Verbo fatto carne". L'incontro con Lui attraverso l'accoglienza della sua Parola raggiunge il suo apice nella comunione eucaristica. Per questo, «mangiare la sua carne e bere il suo sangue» (cfr. Gv 6,53), è una "necessità vitale".

«Rimane in me e io in lui» (Gv 6,56): chi si "nutre" di Gesù realizza la più stretta unione personale, potremmo dire "nuziale" con Lui. «Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?» (1Cor 10,16; II lettura). Una comunione che, mentre è personale, è anche"ecclesiale". Pur essendo molti e diversi, «siamo un corpo solo», afferma ancora Paolo: «… tutti, infatti, partecipiamo dell'unico pane» (cfr. 1Cor 10,17). Nell'Eucaristia Gesù non si lascia assimilare alla nostra sostanza corporea, al modo di qualsiasi cibo, ma al contrario ci assimila al suo corpo e fa così di noi tutti un unico "corpo". Con molta probabilità l'espressione "corpo di Cristo", per designare la comunità cristiana, Paolo l'ha proprio desunta dal banchetto eucaristico: "mangiando" il corpo di Cristo, siamo ad esso assimilati, «veniamo trasformati in ciò che riceviamo» (Leone Magno). «L'effetto proprio di questo Sacramento è la trasformazione dell'uomo nel Cristo» (Tommaso d'Aquino). «Che cos'è il pane? Il Corpo di Cristo. Che cosa diventano quelli che si comunicano? Il Corpo di Cristo» (Giovanni Crisostomo). L'Eucaristia ci fa Gesù e quindi ci fa uno tra noi. La conseguenza è evidente: non posso ricevere l'uno, il "corpo di Cristo" eucaristico, se non accolgo l'altro, il "corpo di Cristo" che è la Chiesa. E viceversa.
In questo senso possiamo dire che la Messa della domenica non è "obbligatoria", ma "necessaria": obbligatoria, perché necessaria.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Io sono il pane vivo disceso dal cielo (Gv 20,22)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
Io sono il pane vivo (Gv 6,51) - (18/06/2017)
(vai al testo)
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo (Gv 6,51) - (22/06/2014)
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Benché molti, siamo un corpo solo, poiché partecipiamo all'unico pane (1Cor 10,17) - (26/06/2011)
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Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Il Pane che ci fa "uno" con Dio (16/06/2017)
  Quel Cibo che ci dà la Vita (20/06/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2020)
  di Cettina Militello (VP 5.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 5.2014)
  di Marinella Perroni (VP 5.2011)
  di Enzo Bianchi

venerdì 5 giugno 2020

La sorgente della più vera umanità


Santissima Trinità (A)
Esodo 34,4b-6.8-9 • Salmo Dn 3,52-56 • 2 Corinzi 13,11-13 • Giovanni 3,16-18
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Appunti per l'omelia

«Credo in un solo Dio»: questa professione di fede è comune anche agli Ebrei e ai Musulmani; sulla bocca dei cristiani ha però un significato molto diverso.
Noi, credenti in Gesù, proseguiamo specificando: «Padre... Figlio... Spirito Santo».
Il nostro Dio non è un Dio solitario, in compagnia soltanto di se stesso, in una beatitudine inaccessibile, ma è una "famiglia", una pluralità di persone unite nell'amore.
Il mistero di questo Dio unico in tre Persone è la sorgente da cui deriva ogni realtà creata: dalla pietra al filo d'erba, dal fiore alle galassie, dall'uomo agli altri esseri spirituali, tutto esiste perché le tre Persone lo hanno voluto, continuano a volerlo e mantenerlo nell'essere. La creazione è sempre in atto, è sempre in corso.
Non ci inganniamo quando, cogliendo l'armonia e l'interdipendenza fra gli esseri creati, pensiamo che al di sotto della realtà tanto varia e molteplice c'è un "amore" che tutto pervade ed unifica, spingendo ogni cosa ad incontrare l'altra.
Nella relazione che lega tra loro le realtà create si riflette "l'amor che fece il sole e l'altre stelle" (Dante). "Il mondo è come un libro in cui risplende la Trinità creatrice" (San Bonaventura).
È solo fantasia assumere l'amore come chiave interpretativa di tutto il movimento dell'universo? Pensare, ad esempio, che per amore la terra ruota attorno al sole e produce fiori e frutti, per amore avvengono le combinazioni chimiche e i processi vitali…? Quando i rapporti tra gli uomini non sono spiegati dall'amore, sono ancora rapporti veramente umani?
Nell'evento del Figlio che si fa uomo e nel dono dello Spirito la Trinità si immerge e si "esprime" nella storia umana, si impegna per innalzare l'uomo al proprio livello e far trovare il "senso" dei rapporti umani.

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito»: è una di quelle confidenze che lasciano muti per lo stupore, se la forza dell'abitudine e un'inspiegabile incoscienza non ci impedissero di prendere in tutta la sua verità questa dichiarazione. Colui che è nel seno del Padre, l'oggetto della sua infinita compiacenza, Dio lo ha donato al mondo. Gesù rivela di essere il dono superiore ad ogni attesa e previsione,la manifestazione concreta e comunicabile del Dio Amore. È un amore che sconvolge ogni schema, ogni logica.

«Perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna»: la fede è abbandono fiducioso e totale a questo "incredibile" amore di Dio che si manifesta in Gesù. Tale amore è vita e salvezza per l'uomo, ma non si impone. Chi crede, permette all'amore di Dio di trasformarlo e salvarlo. Chi non crede si autocondanna, si chiude alla luce e alla vita che gli vengono offerte.
Nella 2° lettura troviamo la formula più "trinitaria" presente nel Nuovo Testamento. Con ogni probabilità risuonava nella liturgia della primitiva comunità ed oggi l'assemblea eucaristica l'accoglie nel saluto del celebrante: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo [siano] con tutti voi» (2Cor 13,13).
Nel testo originale manca il "siano": non è semplicemente un augurio, ma un'assicurazione gioiosa. Le tre Persone qui appaiono distinte e al tempo stesso associate nel loro coinvolgimento in favore degli uomini. Da questa sorgente inesauribile - grazia, amore e comunione - siamo inondati: con queste tre Persone siamo intimamente legati.
L'esistenza è, in definitiva, una relazione d'amore col Padre e Figlio e Spirito Santo. Non si esaurisce, però, nel dialogo ecclesiale e individuale con le tre Persone. Si esprime nel trasferire il ritmo della vita trinitaria dentro i rapporti sociali.
Gesù è venuto a trapiantare sulla terra la "civiltà" della Trinità, che è l'amore scambievole. Per questo ci ha insegnato un'arte di amare unica.
Ogni rinuncia all'egoismo, ogni gesto d'amore vero contribuisce a rendere la nostra comunità familiare, ecclesiale e sociale sempre più immagine e trasparenza della Trinità e più sorprendentemente umana.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Dio ha tanto amato il mondo (GV 3,16)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Dio ha tanto amato il mondo (Gv 3,16) - (11/06/2017)
(vai al testo)
 Dio ha tanto amato il mondo (Gv 3,16) - (15/06/2014)
( vai al testo)
 Dio ha tanto amato il mondo (Gv 3,16) - (19/06/2011)
(vai al testo")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Confidare in Dio… Sentirsi guardati e amati da Lui (11/06/2017)
  Nell'abbraccio di Dio, la nostra vita (13/06/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 6.2020)
  di Cettina Militello (VP 4.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 5.2014)
  di Marinella Perroni (VP 5.2011)
  di Enzo Bianchi

lunedì 1 giugno 2020

Accogliere l'altro è accogliere Dio


Parola di Vita - Giugno 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10,40).

Il Vangelo di Matteo racconta in questo capitolo la scelta che Gesù fa dei Dodici e il loro invio alla predicazione del suo messaggio.
Sono nominati ad uno ad uno, segno del rapporto personale che hanno costruito con il Maestro, avendolo seguito fin dall'inizio della sua missione. Ne hanno conosciuto lo stile, fatto soprattutto di vicinanza con i malati, i peccatori e quelli considerati indemoniati; tutte persone scartate, giudicate negativamente, da cui tenersi alla larga. Solo dopo questi segni concreti dell'amore per il suo popolo, Gesù stesso si prepara ad annunciare che il Regno di Dio è vicino.
Gli apostoli sono dunque inviati a nome di Gesù, come suoi "ambasciatori" ed è Lui che deve essere accolto attraverso di loro.
Spesso i grandi personaggi della Bibbia, per l'apertura del cuore verso un ospite inatteso, fuori programma, ricevono la visita di Dio stesso.
Anche oggi, soprattutto nelle culture che mantengono un forte senso comunitario, l'ospite è sacro anche quando è sconosciuto e per lui si prepara il posto migliore.

«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato».

Gesù istruisce i Dodici: essi devono mettersi in cammino, a piedi nudi e con pochi bagagli: una bisaccia leggera, una sola tunica... Devono lasciarsi trattare da ospiti, disposti ad accettare le attenzioni degli altri, con umiltà; devono offrire gratuitamente cura e vicinanza ai poveri e lasciare in dono a tutti la pace. Come Gesù, saranno pazienti nelle incomprensioni e nelle persecuzioni, sicuri dell'assistenza dell'amore del Padre.
In questo modo, chi avrà la fortuna di incontrare qualcuno di loro potrà veramente sperimentare la tenerezza di Dio.

«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato».

Tutti i cristiani hanno una missione, come i discepoli: testimoniare con mitezza, prima con la vita e poi anche con la parola, l'amore di Dio che essi stessi hanno incontrato, perché diventi una gioiosa realtà per tanti, per tutti. E poiché hanno trovato accoglienza presso Dio, pur con le loro fragilità, la prima testimonianza è proprio l'accoglienza premurosa del fratello.
In una società spesso segnata dalla ricerca di successo e di autonomia egoistica, i cristiani sono chiamati a mostrare la bellezza della fraternità, che riconosce il bisogno l'uno dell'altro e mette in moto la reciprocità.

«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato».

Così ha scritto Chiara Lubich, riguardo l'accoglienza evangelica: «[...] Gesù è stato la manifestazione dell'amore pienamente accogliente del Padre celeste verso ciascuno di noi e dell'amore che, di conseguenza, noi dovremmo avere gli uni verso gli altri. [...] Cercheremo allora di vivere questa Parola di vita innanzitutto all'interno delle nostre famiglie, associazioni, comunità, gruppi di lavoro, eliminando in noi i giudizi, le discriminazioni, le prevenzioni, i risentimenti, le intolleranze verso questo o quel prossimo, così facili e così frequenti, che tanto raffreddano e compromettono i rapporti umani ed impediscono, bloccando come una ruggine, l'amore vicendevole. [...] L'accoglienza dell'altro, del diverso da noi, sta alla base dell'amore cristiano. È il punto di partenza, il primo gradino per la costruzione di quella civiltà dell'amore, di quella cultura di comunione, alla quale Gesù ci chiama soprattutto oggi» [1].

Letizia Magri

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[1] C. Lubich, Parola di Vita dicembre 1992, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) p. 513-514.


Fonte: Città Nuova n. 5/Maggio 2020