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venerdì 31 luglio 2020

Coinvolti nella "compassione"


18a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 55,1-3 • Salmo 144 • Romani 8,35.37-39 • Matteo 13,13-21
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Appunti per l'omelia

A contatto con la folla Gesù si lascia "giocare" dalla "compassione", perdendo i suoi programmi ("ritirarsi in disparte"). Il "sentire compassione" di Gesù non è un'espressione emotiva, superficiale, ma una reale partecipazione e coinvolgimento: il verbo andrebbe tradotto "si sentì fremere e sconvolgere le viscere". È immedesimarsi nella situazione dell'altro, "patire-sentire insieme con l'altro" e diventa compassione "attiva" nel guarire i malati e saziare la folla affamata.
Stupisce l'insistenza con cui Matteo presenta Gesù come il medico che risana i malati, come una delle caratteristiche inconfondibili del Messia. A Lui sta a cuore tutto l'uomo, l'integrità totale della persona: la malattia tende a isolare le persone dalla vita sociale, guarire i malati significa reintegrarli pienamente nella società.
Nella concatenazione dinamica dei tre momenti "vide, sentì compassione, guarì…", Gesù si rivela come il Messia che si lascia catturare e calamitare da ogni forma di sofferenza che incontra. In tal modo rivela anche il volto di Dio, "Padre misericordioso", che è partecipe di ciò l'uomo vive.
E come Gesù è l'espressione della misericordia del Padre, così vuole coinvolgere noi nel suo sguardo di "compassione": «Date loro voi stessi da mangiare». C'è una sproporzione tra le necessità smisurate a cui far fronte e ciò che abbiamo a disposizione: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci». La tentazione è sempre quella di suggerire che la gente "si arrangi".
La parola "impossibile" non esiste nel vocabolario di Gesù, ma non opera magicamente, non parte da zero: ha bisogno che qualcuno metta a disposizione quel poco che ha. Il primo miracolo sta proprio nel saper condividere. Il pane spezzato e condiviso non si esaurisce, in mano a Gesù si moltiplica, saziando un numero sterminato di persone.
Compiendo il miracolo, Gesù non soltanto sfama la folla, ma anche e soprattutto crea e consolida la comunione. La dispersione proposta dai discepoli, «congeda la folla», si trasforma nella comunione creata da Gesù: Lui, il pastore, raccoglie nell'unità una folla dispersa, le prepara un banchetto, la riunisce intorno a sé trasformandola in una comunità conviviale, dove tutti, senza discriminazioni e differenze sociali, godono la libertà di stare insieme, di far festa, di vivere nella comunione con Dio e tra loro. È il significato "ecclesiale" del miracolo: Gesù, circondato dai Dodici, che distribuiscono i suoi doni alla folla "seduta" sull'erba (propriamente "sdraiata", posizione consentita durante la mensa soltanto ai signori e agli uomini liberi).
La Chiesa è il posto dove i Dodici, e i loro successori, continuano a distribuire la Parola e l'Eucaristia.
Il racconto ha anche, infatti, un chiaro significato "eucaristico": la successione dei gesti che Gesù compie («prese i cinque pani… pronunziò la benedizione… spezzò i pani e li diede ai discepoli») è la stessa che ritroviamo nell'ultima cena.
I cristiani si sentono chiamati a riscrivere oggi questa pagina di Vangelo: lasciano che Gesù con la sua Parola e l'Eucaristia li nutra e li sostenga nel cammino; il "poco" che hanno e che sono (vita, tempo, qualità, beni, sofferenze) lo mettono a disposizione Sua perché operi il miracolo della comunione e della festa.
La "compassione" di Gesù non verrà mai meno: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo?» (Rm 8,35; cfr. II lettura).

Lo spezzare insieme ogni domenica il pane eucaristico, il condividere il pane della vita che è Gesù, come ci stimola e ci sostiene nell'amore concreto ai fratelli in uno stile di solidarietà e condivisione?

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Tutti mangiarono a sazietà (Mt 14,20)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Voi stessi date loro da mangiare (Mt 14,16) - (03/08/2014)
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 Voi stessi date loro da mangiare (Mt 14,16) - (31/07/2011)
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Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  L'unico nostro tesoro (01/08/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Gianni Cavagnoli (VP 6.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2011)
  di Enzo Bianchi

(Immagine: la moltiplicazione dei pani, di Bernadette Lopez)

venerdì 24 luglio 2020

Che cosa c'è di più prezioso e di più bello?


17a domenica del Tempo ordinario (A)
1 Re 3,5.7-12 • Salmo 118 • Romani 8,28-30 • Matteo 13,44-52
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Appunti per l'omelia

Accadeva in Palestina di trovare tesori nascosti. I proprietari li sotterravano in tempo di guerre e di saccheggi e talora morivano senza aver potuto rivelare il nascondiglio a congiunti o amici. Un contadino, un bracciante forse, lavorando in un campo non suo, scopre un tesoro di monete e di gioielli. Sorpreso per l'inattesa fortuna e fuori di sé dalla gioia, decide di vendere tutto ciò che gli appartiene per acquistare il campo e così diventare proprietario del tesoro.
Il messaggio è chiaro: il Regno di Dio è di una preziosità unica e inestimabile. Vale la pena affrontare qualsiasi "fatica" per ottenerlo, per farne parte. L'accento non è posto sulla sofferenza che tale scelta può comportare, ma sulla gioia della scoperta: "pieno di gioia, va ... vende".
Questo tesoro è, però, nascosto. La realtà di Dio Padre, che si fa presente in Gesù, non è un dato evidente e scontato. Molte cose immediatamente attirano di più. Aprire gli occhi e scoprire che il Regno è il tesoro infinitamente superiore a qualsiasi altro: tale scoperta è un dono superlativo.
La parabola della perla ripropone il medesimo messaggio, ma mostra anche la "bellezza" incomparabile del Regno. E sottolinea la "ricerca": il Regno di Dio va cercato senza tregua; la scoperta, in ogni caso, sarà sorprendente e superiore a ogni attesa.
La dinamica del Vangelo non è: "Sacrìficati e troverai il tesoro", ma: "Hai trovato il tesoro", che colma di una tale gioia da rendere possibile e "logico" perdere tutto il resto.
Non si comincia col dire: "Nessun sacrificio è troppo costoso, se mi permette di raggiungere il Regno di Dio", ma: "Colui che ho scoperto e incontrato è tale che vale la pena darsi totalmente a Lui". Aderire a Gesù è l'investimento più intelligente, l' "affare" più vertiginoso che possa accadere ad una persona.
Per questo occorre non abbassare mai la guardia contro la tentazione di non "vedere" più la bellezza della perla che si ha in mano, considerandola una semplice pietra da gettare. Rimane essenziale la preghiera costante perché il Padre ci doni un "cuore docile, saggio e intelligente" (cfr. 1Re 3,5.7-12 - I lettura).

"Chi trova un amico trova un tesoro" (cfr. Sir 6,14): Gesù è l'Amico, il tesoro, la perla.
Si dice anche che "chi trova un tesoro trova molti amici": nella logica della fede chi trova quel tesoro che è Gesù, trova anche molti amici che lo hanno trovato o incominciato a trovare. E tutti insieme non ci stanchiamo di cercarlo, in quel gioco serio che si chiama "caccia al tesoro": nessuno può considerarsi un arrivato.

"Avete compreso tutte queste cose?": noi abbiamo compreso il messaggio di Gesù? Il discepolo "estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche": mentre accoglie la novità del Vangelo, non rinnega la rivelazione dell'Antico Testamento, pienamente attuata in Gesù, e questa ricchezza la offre agli altri.

Possiamo dire di aver trovato il tesoro? Che cosa ci manca per trovarlo? Lo cerchiamo seriamente insieme? Ci aiutiamo vicendevolmente a trovarlo?

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto (Mt 13,44)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Vende tutti i suoi averi e compra quel campo (Mt 13,44) - (30/07/2017)
(vai al testo)
 Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto (Mt 13,44) - (27/07/2014)
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 Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto (Mt 13,44) - (24/07/2011)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Il Tesoro e la Perla, nomi di Dio (28/07/2017)
  L'unico nostro tesoro (25/07/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 7.2020)
  di Cettina Militello (VP 6.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 6.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Il tesoro nascosto, acquarello di Maria Cavazzini Fortini)

venerdì 17 luglio 2020

Valorizzare l'energia di bene nascosta


16a domenica del Tempo ordinario (A)
Sapienza 12,13.16-19 • Salmo 85 • Romani 8,26-27 • Matteo 13,24-43
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Appunti per l'omelia

Anche in questa domenica ascoltiamo alcune parabole raccontate da Gesù: quella del buon grano e della zizzania, del granellino di senapa e del lievito. L'intento di queste parabole è farci conoscere "i misteri del regno".
Alla parabola del buon grano e della zizzania Gesù dedica alla fine un'ampia spiegazione, in privato ai suoi. L'attenzione è rivolta alla presenza degli ostacoli e al comportamento concreto da tenersi verso questi ostacoli.
Un uomo semina nel suo campo del buon seme. Ma mentre tutti dormono il suo nemico viene a seminare in mezzo al grano la zizzania: quando dunque la messe porta frutto ecco apparire, inestricabilmente mescolati, il buon grano e la zizzania. Allora alcuni servi zelanti si offrono di estirpare la zizzania, ma il padrone si oppone: «No, perché non accada che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura». Solo allora il padrone darà ordine di separare il grano dalla zizzania, raccogliendo il primo nel granaio e bruciando l'altra: solo allora e solo lui, il Signore, farà questa azione di separazione; non prima e non noi, suoi servi!
Gesù nel raccontare questa parabola vuole invitarci a porre attenzione sul presente: "Lasciate che l'uno e l'altra crescano insieme". Ci invita ad entrare nelle ragioni del "padrone", il quale esclude per il momento ogni intervento radicale, ma rimanda al tempo della mietitura.
Se il Vangelo di Gesù viene rifiutato, se il male in tante forme imperversa, tutto ciò è opera del "nemico". Il realismo evangelico vieta ogni lettura ingenua della società e della storia. In tutto il tempo che intercorre tra l'annuncio del Vangelo e il giorno del giudizio finale, nell'umanità coesistono e si intrecciano bene e male, credenti e non credenti, senza una linea di netta separazione. Questa situazione, che crea in tanti la smania di epurare il male e i presunti cattivi, non sfugge al Padrone: Egli sa per certo che la messe non sarà compromessa, il male non avrà la meglio.
Allora, in questo tempo occorre lottare contro la tentazione, sempre ricorrente in varie forme, di voler creare un popolo puro (e una razza pura), una comunità di "perfetti".
Invece, questo è il tempo della crescita di ciò che è seminato, il Vangelo e il Regno di Dio, perché questo è il tempo della "missione".
E ciò richiede non soltanto di esercitare la pazienza, ma di porsi con tutti in un atteggiamento umile e benevolo, escludendo ogni condanna perentoria. Nel tempo della crescita la differenza tra il grano e la zizzania non è evidente e può accadere che chi appare zizzania sia invece grano ed anzi che, per grazia di Dio, la zizzania diventi grano. Inoltre, i discepoli, superando ogni falsa sicurezza, dovranno cercare di vigilare su loro stessi. Ciascuno di noi deve ripetersi: Che cosa sono io? grano o zizzania? che cosa posso diventare?
La parabola spinge a rimanere fiduciosi nella situazione di "mescolanza": sperare nel futuro del seme buono, riconoscere la presenza del bene anche là dove sembra dominare il male, investire ostinatamente sulla potenza dell'amore che non si stanca di dialogare, sicuri che questa strategia può trasformare l'umanità.

Allora, guardando ad oggi, al tempo della pandemia, possiamo chiederci: cosa ho imparato da questi mesi difficili, nel guardarci, dentro e attorno? È scattato un "di più". I cattivi sono diventati più cattivi: per loro tempo propizio per accentuare usura, violenza, organizzazione malavitosa, egoismo.
I buoni sono diventati più buoni: si è attivata una inaspettata attenzione a chi è nel bisogno, con generosità e altruismo, creando una fitta rete di aiuto. Abbiamo anche scoperto, con gioia, che sono molto più numerosi i buoni dei cattivi. E tutto senza falsi manicheismi, perché il confine tra buono e cattivo passa nel cuore di ogni persona.
La calamità non rende automaticamente più buoni. Quando il libro dell'Apocalisse descrive le grandi catastrofi che hanno colpito l'umanità, dice che essa non si convertì dagli omicidi, stregonerie, ruberie, anzi, «gli uomini bestemmiarono Dio a causa dei flagelli».
Ad essere più "buoni" occorre imparare da quanto abbiamo vissuto. E cioè a coltivare l'interiorità, con ritmi più distesi, meno frenetici, perché ogni azione, per essere efficace, deve scaturire dal silenzio, dall'ascolto di "quella voce" che parla dentro.
A dedicarsi alle relazioni, superando la diffidenza nata in questo periodo, nella consapevolezza che la vita si realizza solo in un amore che si apre alla comunione e al dono di sé.
A farsi vicini e rendersi responsabili, in maniera fattiva e creativa, verso chi è in difficoltà e non soltanto economica; a rendere essenziali i consumi, scoprendo la ricchezza della sobrietà.
"Andrà tutto bene", si è ripetuto con uno slogan pieno di ottimismo. Forse sarebbe più opportuno il detto che san Paolo suggeriva ai Romani: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio», passando dall'ottimismo alla speranza.

Il Regno dei Cieli è una potenza divina prodigiosa, dagli esiti imprevedibilmente grandi, come possiamo cogliere anche dalla parabola del granello di senape. Qui l'accento non è messo sulla piccolezza del seme, ma sull'effetto prodigioso che esso produce una volta seminato. Così è del Regno dei Cieli che è messo in atto da un piccolo gesto spesso nascosto, dal dono della propria vita.
Ed anche la parabola del lievito mescolato in tre misure di farina, esprime un altro aspetto dell'agire di Dio nella storia. Senza confondersi con la massa, il lievito agisce su di essa dal di dentro, all'interno dell'umanità stessa. Per questo il giudizio sulle persone permane difficile, perché non si può valutare appieno questa invisibile forza interiore che è la forza dello Spirito.

In conclusione: allora, nessun fanatismo, nessuna intolleranza. Impariamo piuttosto da Dio che spia ogni mossa di possibile ripresa e «concede dopo i peccati la possibilità di pentirsi» (I lettura). E confidiamo nella potenza dello «Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza … e intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (II lettura).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Un uomo ha seminato del buon seme nel suo campo (Mt 13,24)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Lasciare che la zizzania e il grano crescano insieme (Mt 13,30) - (23/07/2017)
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 Il regno dei cieli è simile al lievito (Mt 13,33) - (20/07/2014)
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 Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8,26) - (17/07/2011)
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Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Preoccuparsi non della zizzania, ma di avere un amore grande per la vita (21/07/2017)
  Non siamo una comunità di perfetti (18/07/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 7.2020)
  di Cettina Militello (VP 6.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 6.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2011)
  di Enzo Bianchi


venerdì 10 luglio 2020

Fiducia nella Parola, fiducia nella vita


15a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 55,10-11 • Salmo 64 • Romani 8,18-23 • Matteo 13,1-23
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Appunti per l'omelia

Le parabole di Gesù non sono "storielle" che accarezzano gli orecchi dell'uditorio, ma scuotono, portando a riflettere e a prendere una decisione nei suoi confronti.
È importante cogliere i motivi che spingono Gesù ad usare il linguaggio delle parabole. Un sottile scetticismo si sta facendo strada tra la folla e in particolare nel cuore dei discepoli: vale la pena seguire Gesù? Ecco allora il messaggio della parabola: nell'avventura del Regno di Dio avviene come quando si semina. In Palestina il campo veniva arato dopo la semina: la semente veniva sparsa in tutte le parti del campo, anche nei sentieri che lo attraversavano e nelle zone sassose o piene di spine. Per questo molta semente andava perduta, ma il risultato finale compensava tutte le perdite. Così il Regno di Dio già si sta facendo strada, nonostante gli ostacoli e i fallimenti che Gesù incontra, nonostante anche lo scacco supremo che Egli dovrà affrontare.
Gesù non condivide la concezione trionfalistica dei giudei, e di molti cristiani, i quali pretendono che, se Dio interviene, deve abbattere ogni resistenza e si scandalizzano per la lentezza con cui la sua opera avanza nella storia. Gesù comunica ai discepoli una fiducia sconfinata nella forza della Parola. Leggiamo da Isaia (cfr. I lettura): Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare…, così sarà della mia parola…: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata (Is 55,10-11). La Parola infonde speranza nei cristiani di ogni tempo, tentati di cedere allo scoraggiamento e alla rassegnazione davanti agli insuccessi della missione.
Il seminatore sparge il seme dappertutto, con "spreco", non scartando nessun terreno, ma ritenendo ciascuno degno di fiducia e di attenzione. Non tutti siamo seminatori allo stesso grado e con le stesse responsabilità, ma tutti siamo incaricati di portare la Parola al mondo, sapendo che è "annuncio" la nostra vita prima ancora che la nostra voce.
Ogni mattina dovremmo "uscire a seminare", senza scoraggiarci se una parte del seme cade su un terreno non buono... Il seminatore è sostenuto dalla certezza che esiste il buon terreno e che il terreno apparentemente non buono potrebbe invece esserlo.
Occorre riporre ogni fiducia nella potenza di Dio che porta avanti il suo Regno attraverso l'opera di Gesù e la missione dei credenti, anche se a volte apparentemente infruttuose. C'è sempre la "terra buona", colui che "ascolta la Parola e la comprende", e il "frutto" è strepitoso.

Ognuno di noi è, al tempo stesso, seminatore e "terreno". Allora chiediamoci: a quale tipo di terreno io appartengo, o meglio, poiché ognuno di noi ha tutte queste gradazioni di terreno, qual è la mia dominante?
Tutte le volte che uno ascolta la Parola è in gioco qualcosa di fondamentale, perché da come ascoltiamo, dalla nostra disponibilità, dalla ricerca sincera di capire, otteniamo la luce per penetrare nella rivelazione del Regno e poter comprendere sempre più il senso della propria esistenza.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il seminatore uscì a seminare (Mt 13,3)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Il seminatore uscì a seminare (Mt 13,3) - (16/07/2017)
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 Ecco, il seminatore uscì a seminare (Mt 13,3) - (13/07/2014)
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  Il seme è la parola di Dio (versetto al vangelo) - (10/07/2011)
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Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Credere nella Parola più ancora che nei suoi risultati (14/07/2017)
  Il seminatore uscì a seminare… ovunque (11/07/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 7.2020)
  di Cettina Militello (VP 5.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 6.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

sabato 4 luglio 2020

Diaconi ordinati per servire la Parola





Il diaconato in Italia n° 220
(gennaio/febbraio 2020)

Diaconi ordinati per servire la Parola
«Poiché la Sacra Scrittura è il libro del popolo, quanti hanno la vocazione di essere ministri della Parola devono sentire forte l'esigenza di renderla accessibile alla propria comunità» (Francesco, Aperuit illis, 5)





ARTICOLI
I diaconi e la Parola, un cammino aperto (Giuseppe Bellia)
Perché il rimato della Parola sia vero (Giuseppe Bellia)
Diaconi ordinati per servire la Parola (Giulio Michelini)
Il servizio diaconale alla Parola (Pietro Sorci)
"Aperuit illis": la diaconia della Parola (Enzo Petrolino)
Servire la Parola: nel Nome di Gesù, segno sacramentale nel mondo (Giovanni Chifari)
Il diacono, testimone della Parola (Luigi Vidoni)
La Parola e la conversione (Andrea Spinelli)
L'uomo del libro e del calice (Francesco Giglio)
«Alzati e va' sulla strada» (Luca Gabbi)

TESTIMONIANZE
È il tempo di ripartire dal basso (Vincenzo Testa)

ESPERIENZA
I Centri del Vangelo (Gaetano Marino)

INTERVISTE
Le strade della vita (Ylenia Spinelli):
La vocazione di Fabrizio Santantonio
Il cammino vocazionale di Francesco Prelz

RASSEGNE E TESTIMONIANZE
In principio la Parola (C. M. Martini)
Se tu sei Dio (Giorgio Mazzanti)
Se le opere sono del Signore (Giorgio Agagliati)
Un diaconato permanente in "apprendistato" (Claudio Gracco)
Il diaconato e la profezia di una Chiesa serva (Alessandro Volpi)


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venerdì 3 luglio 2020

Un giogo che è luce


14a domenica del Tempo ordinario (A)
Zaccaria 9,9-10 • Salmo 144 • Romani 8,9.11-13 • Matteo 11,25-30
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Appunti per l'omelia

Ti rendo lode, Padre…
"Padre": era inaudito per un ebreo rivolgersi a Dio con tale appellativo.
Gesù è felice di suo Padre, di come si comporta, di quel che opera. È stupito, incantato per quello che il Padre fa, del suo modo di agire che non rispetta le regole e la logica in vigore presso gli uomini: «Ti rendo lode, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli».
Dio rivela le sue "cose", il suo Regno, la sua vicinanza in Gesù, non a chi è "sapiente e dotto" - gli scribi, i farisei e quanti, compiaciuti del proprio potere culturale, economico, politico o sociale, prendono le distanze dagli altri -, ma a chi sa farsi "piccolo": i poveri, donne, bambini, pubblicani e peccatori, che socialmente e religiosamente non contano, ma aderiscono a Gesù. I "piccoli" letteralmente sono gli "infanti", i bambini che non sanno ancora parlare, ma una parola la sanno dire, perché l'hanno imparata da Gesù: "Abbà". In definitiva, sono i discepoli, come Maria; sono quelli che si riconoscono "bambini" davanti a Dio; sono i "poveri in spirito".

Tutto è stato dato a me dal Padre mio…
Questa Rivelazione ci arriva in Gesù, perché Lui è in rapporto particolare col Padre: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio: nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio». Tra Gesù e Dio c'è una "conoscenza", che è comunione di vita, reciproca ed insostituibile, un rapporto unico di Figlio-Padre. Soltanto Dio, in quanto Padre, sa chi è Gesù e allo stesso modo solo Gesù conosce Dio in quanto Padre, che, attraverso Lui, ama tutti gli esseri di cui è Creatore e Signore.
Anche altri, però, possono essere introdotti in tale rapporto: «e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». Sono i "piccoli", ai quali Dio si rivela attraverso Gesù. L'uomo è accolto nella comunione d'amore col Padre, nella misura in cui entra in comunione con Gesù. Ogni volta che, nel rapporto con la parola di Gesù, noi facciamo un passo avanti nella scoperta del Padre e nella relazione filiale con Lui, Gesù è felice:«Ti rendo lode, o Padre…».

Venite a me, voi tutti…
È per questo che ci rivolge un invito pressante ad accogliere il suo annuncio, ad accettare Lui come il nostro Maestro: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi... Imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Mettersi alla scuola di Gesù, perché egli non è un Maestro come gli altri: il suo rapporto di abbandono fiducioso e obbediente al Padre (umiltà) genera la sua relazione di attenzione misericordiosa agli altri (mitezza): «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore».

E ciò che egli chiede ai discepoli («Prendete il mio giogo sopra di voi») è Lui a portarlo con noi, perché è "suo". Il "giogo" è simbolo della Legge mosaica o della Sapienza: qui indica l'insegnamento di Gesù, il suo Vangelo.
«Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero»: anche se le sue esigenze sono molto più radicali di quelle contenute nella Legge di Mosè, Gesù ha semplificato e concentrato la "legge" nel comandamento dell'amore. Uniti a Lui, ci viene comunicato il suo Spirito, che ci trasmette la sua stessa capacità di amare.

Il segreto: prendere il "giogo" di Gesù, mettere in pratica le sue parole. Ogni parola del Vangelo non è una "legge", ma una "luce", che ci fa riscoprire ogni volta il rapporto di Gesù col Padre, nel quale è innestato il nostro rapporto.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Io sono mite e umile di cuore (Mt 11,29)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Io sono mite e umile di cuore (Mt 11,29) - (09/07/2017)
(vai al testo)
 Sono mite e umile di cuore (Mt 11,29) - (06/07/2014)
(vai al testo)
 Io sono mite e umile di cuore (Mt 11,29) - (03/07/2011)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Amare il Padre e il prossimo col cuore di Gesù (07/07/2017)
  I "piccoli" la predilezione del Padre (04/07/2014)

Vedi anche il post: Mite e umile di cuore (03/07/2011)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 7.2020)
  di Cettina Militello (VP 5.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 5.2014)
  di Marinella Perroni (VP 5.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

mercoledì 1 luglio 2020

Essere della famiglia di Gesù


Parola di Vita - Luglio 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,50).

Il vangelo di Matteo racconta un episodio della vita di Gesù che può sembrare poco importante: sua madre e i suoi familiari vanno a Cafarnao, dove egli si trova con i discepoli per annunciare a tutti l'amore del Padre. Probabilmente hanno camminato a lungo per trovarlo, e desiderano parlargli. Non entrano nel luogo in cui Gesù si trova, ma mandano un messaggio: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti».
La dimensione familiare era certamente molto importante per il popolo di Israele: il popolo stesso era considerato "figlio" di Dio, erede delle sue promesse, e gli appartenenti ad esso si consideravano "fratelli".
Ma Gesù apre una prospettiva inattesa: con un gesto solenne della mano indica i discepoli e dice:

«Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».

Gesù rivela una dimensione nuova: chiunque può sentirsi parte di questa famiglia, se si impegna a conoscere la volontà dell'unico Padre e a compierla.
Chiunque: adulto o bambino, uomo o donna, sano o ammalato, di ogni cultura e posizione sociale. Chiunque: ogni persona porta in sé l'immagine di Dio Amore. Anzi, ogni persona è il tu di Dio, con il quale può entrare in una relazione di conoscenza e amicizia.
Chiunque può quindi fare la volontà di Dio, che è l'amore per Lui e l'amore fraterno. E, se amiamo, Gesù ci riconosce come suoi familiari: suoi fratelli e sorelle. È la nostra chance più grande, che ci sorprende; ci libera dal passato, dalle nostre paure, dai nostri schemi. In questa prospettiva anche i limiti e le fragilità possono essere pedane di lancio verso la nostra realizzazione. Tutto veramente fa un salto di qualità.

«Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».

Possiamo addirittura essere in qualche modo madre di Gesù. Come Maria, che si è messa a disposizione di Dio dal momento dell'annunciazione fino al Calvario e poi alla nascita della Chiesa, così anche ognuno di noi può far nascere e rinascere Gesù in sé vivendo il Vangelo e, per la carità reciproca, contribuire a generare Gesù nella collettività.
Come ha invitato Chiara Lubich, rivolgendosi a persone desiderose di vivere la Parola di Dio: «'Siate una famiglia'. Vi sono fra voi coloro che soffrono per prove spirituali o morali?
Comprendeteli come e più di una madre, illuminateli con la parola o con l'esempio. Non lasciate mancar loro, anzi accrescete attorno ad essi, il calore della famiglia. Vi sono tra voi coloro che soffrono fisicamente? Siano i fratelli prediletti. […] Non anteponete mai qualsiasi attività di qualsiasi genere, […] allo spirito di famiglia con quei fratelli con i quali vivete. E dove andate per portare l'ideale di Cristo, […], niente farete di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma decisione, lo spirito di famiglia. Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia... è [...] la carità vera»
 [1].

«Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».

Ognuno di noi può scoprire nella quotidianità il compito che il Padre gli affida per costruire la grande famiglia umana.
In un quartiere di Homs, in Siria, oltre centocinquanta bambini in maggioranza musulmani frequentano il doposcuola, ospitato in una scuola della chiesa greco-ortodossa. Racconta Sandra, la direttrice: «Diamo accoglienza e aiuto, attraverso un'equipe di insegnanti e specialisti, in un clima di famiglia basato sul dialogo e la promozione dei valori. Tanti bambini sono segnati da traumi e sofferenze. Alcuni sono apatici, altri aggressivi. Desideriamo ricostruire la fiducia in loro stessi e negli altri. Mentre il più delle volte le famiglie sono smembrate a causa della guerra, qui ritrovano la voglia e la speranza di ricominciare».

Letizia Magri

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[1] C. Lubich, in Gen's, 30 (2000/2), p. 42


Fonte: Città Nuova n. 6/Giugno 2020