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mercoledì 29 aprile 2020

Non è il momento di mostrare i denti


Mons. Derio Olivero, 59 anni, vescovo di Pinerolo, a fine marzo è risultato positivo al test per coronavirus. È stato gravissimo. Intubato e tracheotomizzato, ha rischiato di morire. Ora è guarito, seppure sia convalescente in ospedale. A Repubblica Ha raccontato la sua esperienza, spesso interrompendosi per piangere.
Di seguito l'intervista a firma di Paolo Rodari, del 27 aprile 2020.


Come commenta lo scontro fra vescovi e governo?
Credo non sia il momento di essere imprudenti, ma collaborativi. Il comunicato mi sembra abbia un po' troppo il tono dell'autonomia. Non è questo il tempo di mostrare i denti bensì di collaborare.

Si può vivere senza l'eucaristia?
Abbiamo rinunciato al triduo pasquale. Perché non provare a pazientare? Credo che questa epidemia possa essere un kairòs, un'occasione da cogliere anche nel modo di fare pastorale. Molti vescovi si sono industriati per far pregare le persone nelle case. Molti sono tornati a pregare come non facevano prima. Perché non insistere sulla necessità di reimpostare la fede nelle case?
Altrimenti rischiamo di tornare a celebrare le messe lasciando però che poi la vita di tutti i giorni sia vuota. La messa può anche essere una parentesi in un vuoto quotidiano.

Non di sole messe vive il fedele.
Di fronte a tragedie come queste si vince insieme. Chi mostra i denti ribadisce i propri diritti e pare che vinca, ma collabora alla sconfitta.

Come è stata la sua malattia?
Durissima. Devo ringraziare i medici dell'ospedale di Pinerolo, un'eccellenza in Italia. A un certo punto ero certo che sarei morto. Anche i medici me l'hanno confermato. Prima della malattia se mi avessero chiesto cosa pensassi della morte avrei risposto che avevo molta paura. E, invece, in quei momenti in cui davvero ero vicino alla morte ero in pace, tranquillo.

Cosa provava?
Sentivo che c'era una forza che mi teneva vivo. Non avevo la forza di muovermi, ma sentivo una presenza che mi teneva su. Quando mi sono svegliato ho visto che centinaia di persone si sono raccolte per pregare per me.

Che sensazioni provava esattamente?
Come se tutto stesse evaporando, tutte le cose, tutti i ruoli, tutto. Sa cosa restava? La fiducia in Dio e le relazioni costruite. Ecco ero fatto solo di queste due cose. Erano due cose salde, erano me.

Era in pace?
Posso confidarle questo: c'è stata una mezza giornata in cui ho avuto un'esperienza bellissima. Sentivo una presenza quasi fisica, quasi fosse lì da toccarsi. È una cosa indicibile che non avevo mai provato e che mi ha cambiato la vita. Piango e mi emoziono ancora adesso. Se mi si chiedesse se sia disposto a tornare alla sofferenza di queste settimane per riprovare l'esperienza di quella presenza direi di sì. Adesso torno più entusiasta della vita. Questa malattia colpisce il respiro. Nella Bibbia respiro significa spirito, vita. Lo spirito che viene dato. Ogni respiro è un regalo da gustare, viene da Dio.

domenica 26 aprile 2020

Coronavirus. Torino, gli «angeli» dell'ultimo viaggio


Avvenire - Federica Bello, sabato 25 aprile 2020
Al Cimitero Monumentale, alcuni diaconi permanenti garantiscono un breve rito di suffragio. «I morti non possono essere accompagnati dai familiari. Cerchiamo di essere una piccola luce di speranza».
L'arcidiocesi piemontese da sempre ha attivato questo servizio, che in tempo di pandemia ha visto crescere il proprio impegno. «Spesso diventiamo come i loro figli, il coniuge, i parenti»



Giulia (il nome è di fantasia) ha 8 anni, è Sabato Santo e al cimitero Monumentale piange. Con i genitori sta salutando il nonno. Termina la benedizione, il feretro si allontana e, mantenendo la debita distanza, il diacono, che ha concluso il rito, le sussurra: «Domani è Pasqua, quando aprirai l'uovo pensa al nonno che in quel momento sarà felice per te e con te». Spunta un sorriso, il diacono la saluta e si prepara alla benedizione successiva.
Accade a Torino e il diacono Giorgio Agagliati è uno dei "rinforzi" a quel servizio di preghiera e accompagnamento che la Chiesa to- rinese garantisce ai defunti prima della tumulazione grazie ad una équipe di diaconi. Un "rinforzo", perché l'epidemia ha moltiplicato il numero dei morti e ha impedito i funerali nelle comunità. Dunque l'équipe si è «allargata », raggiungendo la decina di unità: si sono aggiunti alcuni ministri di solito impegnati in altri servizi e si è garantita una fascia oraria più ampia.
Poi ci sono anche altri diaconi e preti che, in particolare nei paesi, accompagnano il feretro per la benedizione. «Il servizio dei diaconi ai cimiteri cittadini – spiega don Claudio Baima Rughet, delegato arcivescovile per il diaconato permanente – è continuativo ed è svolto da anni. La loro presenza, in quanto collaboratori del vescovo, fa sentire alle famiglie in lutto l'abbraccio della grande famiglia cristiana, vincendo, almeno in parte, l'isolamento e il conseguente senso di solitudine».
Ed è la solitudine, infatti la grande ferita di questa pandemia, di un virus che, come testimonia il diacono Marco Allara, responsabile dell'équipe, «ti isola anche nel momento della tumulazione e impedisce ai parenti di godere del sostegno degli abbracci… ». Una solitudine che si spera possa essere in parte allentata nella fase 2, come annunciato in un'intervista ad Avvenire dal ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, con «la possibilità di poter tornare a celebrare i funerali seppure alla presenza soltanto dei parenti stretti e nel rispetto delle misure di distanziamento fisico dei partecipanti».
Ma per ora la solitudine continua. «Arrivano i feretri – prosegue Allara – e spesso, se si tratta di morti di Covid-19, i parenti più prossimi sono in quarantena e non c'è nessuno se non gli addetti alle onoranze funebri; così sappiamo che in quel momento siamo anche i tramiti di quel saluto che figli, mariti o mogli non possono fare, di quel saluto che spesso è un aiuto a elaborare il lutto e per questo ci viene chiesto di essere filmati o di celebrare il rito in collegamento attraverso i telefoni ». «Mi è capitato – conclude Allara – di ricevere ringraziamenti da parte di familiari che avevano visto le immagini e si sono sentiti confortati: non avevano più potuto vedere il congiunto dal ricovero in ospedale…».
«Recentemente – spiega Nicola Ruggiero – ho celebrato il rito per il padre di un parroco della nostra diocesi, lui era in quarantena. Lui che avrebbe voluto accompagnare il papà come ha fatto per tanti suoi fedeli era a casa, allora ci siamo collegati con il telefonino e abbiamo pregato insieme ed è stato un momento di comunione profonda». «Il tempo purtroppo non è molto – aggiunge – e il fatto di essere giustamente protetti da guanti e mascherine e di rispettare le distanze rende più difficile un servizio che spesso è anche espresso con strette di mani, carezze. Così ora è lo sguardo a veicolare la speranza che la fede ci invita ad avere… una speranza che deve aiutarci a vincere le paure. Anche io non lo nego un po' di paura ce l'ho, ma credo che sia importante il nostro essere lì a nome di tutta la Chiesa».
«Normalmente – prosegue Marco Berruto – tutti i defunti che benediciamo, nel fine settimana vengono ricordati nella Messa celebrata nella chiesa del cimitero, ora non è possibile, allora invito i parenti a non perdere questo momento di preghiera, quando sarà possibile, o di comunicarlo ai parroci che celebrano comunque la Messa ogni giorno. Non c'è stato il funerale, ma c'è una catena invisibile di preghiera che continua a tenerci uniti e a darci forza». «Credo che ciò che cerchiamo di fare – prosegue Agagliati – è essere una piccola luce di speranza. Dico spesso che il momento che viviamo insieme al cimitero è un prendere per mano chi è mancato per accompagnarlo a Dio, un prendere per mano che non è magari stato possibile fisicamente al momento della morte, ma lo è nella preghiera. Il tempo non è molto, ma vorremmo trasmettere ai presenti che quel tempo è per loro e per il loro caro, ciascuno è preso per mano».
Ed ecco al termine di un altro "turno" due signore, che avevano accompagnato il papà, intonano insieme un canto: «mi sono fermato e mi ha commosso – conclude Agagliati –. Il papà aveva trasmesso loro amore per la musica e ora loro, dopo aver pregato, facevano salire al cielo la voce: un legame di amore e gratitudine che la morte non può spezzare».

(Fonte: https://www.avvenire.it)
(Immagine: Un feretro viene inumato al Cimitero Monumentale di Torino – Lapresse)


sabato 25 aprile 2020

Diaconato - Periferie - Missione
 Diaconi custodi del servizio, dispensatori di carità





Il diaconato in Italia n° 218/219
(settembre/dicembre 2019)


Diaconato - Periferie - Missione
Diaconi custodi del servizio, dispensatori di carità

ATTI DEL XXVII CONVEGNO NAZIONALE
Vicenza 31 Luglio -3 Agosto 2019







EDITORIALE
XXVII Convegno Nazionale (Enzo Petrolino)

SALUTO
Saluto ai partecipanti (Beniamino Pizziol)
Prima di ogni progetto (Dino Bressan)
Il desiderio di un cuore umile (Venenzio Gasparoni)

INTRODUZIONE
Una missione diaconale indispensabile (Enzo Petrolino)

RELAZIONI
Diaconi dispensatori di carità, custodi del servizio (Francesco Soddu)
Diaconato e vocazione alla santità (Simona Segoloni)
La dimensione missionaria del diaconato: prospettive e scommesse (Dario Vitali)
Diaconato, periferie e missione (Luis Antonio Tagle)

OMELIE
Liturgia di apertura (Francesco Moraglia)
Tesori nascosti (Renato Marangoni)
Ordinazione dei primi diaconi (Vicenza, 22 gennaio 1969) (Carlo Zinato)
Il diacono servitore della gioia (Beniamino Pizziol)
Maria icona della diaconia (Domenico Cancian)

LECTIO
Lectio: Diaconia - Forestiero - Missione (Giulio Michelini)

VEGLIA
La libertà di una santa: Giuseppina Bakhita (Luisa Merlin)
E gli altri dove sono? (Venenzio Gasparoni)

INTERVENTI
Progetto Diaconia a Roma (Giampiero Palmieri)
Semi di umanità (Beppino Creazza)
Progetto "Gruppi ministeriali" e diaconato (Flavio Mascherini)
Il coordinamento per il diaconato permanente; Triveneto (Tiziano Civettini)

PROGETTO
Il progetto "Missio" (Paolo Beccegato)

TESTIMONIANZE
Casa Rut, la nostra missione
Abitare una terra (Rita Giaretta)
Un abbraccio oltreoceano (Freddie Palacios)
A 50 anni dalle prime ordinazioni (Luciano Bertelli)

LABORATORI
Una prassi formativa diaconale: Introduzione ai laboratori (Luca Garbinetto)
Sintesi dei laboratori (Luca Garbinetto)

CONCLUSIONE
Riscoprire che "il servizio è gioia" (Enzo Petrolino)
Famiglie insieme (Paolo Beccegato)
Messaggio finale (Enzo Petrolino)

(Vai ai testi…)

venerdì 24 aprile 2020

Lo riconosciamo spezzando insieme il pane


3a domenica di Pasqua (A)
Atti 2,14a.22-33 • Salmo 15 • 1 Pietro 1,17-21 • Luca 24,13-35
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il "primo giorno della settimana" è il giorno degli incontri delle donne e dei discepoli col Risorto, che opera un capovolgimento radicale di orizzonte di vita.

Gesù in persona si accostò … ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo
Gesù è quello di prima, ma anche diverso: entrato in una dimensione radicalmente nuova, quella del "corpo glorificato", permeato e trasfigurato dalla realtà di Dio.
Per riconoscere Gesù ora occorre la fede, che è spenta: essi considerano la morte del Maestro un fallimento irreparabile. Gesù è ancora quello del passato: per essi non c'è futuro oltre la morte. È Gesù stesso che sgombra ai due uomini la via della fede: spiega loro le Scritture, mostrando che si sono compiute in Lui. Il solo terreno su cui può nascere e crescere la fede è quello che accoglie la Parola di Dio.
La morte in croce non manifesta il fallimento, ma l'incondizionata fedeltà a Dio e di Dio. Per questo il cammino di Gesù non finisce con la morte, ma attraverso di essa conduce alla "gloria". Ciò che prima impediva la fede dei due discepoli si tramuta nella certezza contraria: «Bisognava che il Cristo soffrisse per entrare nella sua gloria». È una vera conversione che la parola di Gesù opera, così che sentono "ardere il cuore".

Spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui
La parola di Gesù apre un orizzonte impensato, illumina la mente e il cuore: fa rileggere le Scritture e scoprirvi che la passione non è un incidente imprevisto, che fa fallire il piano di Dio, ma ne è il compimento.
I discepoli sono gradualmente portati a riconoscere il Risorto, ad incontrarlo nel modo più intimo e forte: quando Egli spezza il pane, i loro occhi si aprono e lo riconoscono.

Quando i cristiani si riuniscono per "spezzare il pane", incontrano il Risorto: tutta la struttura del racconto sembra ricalcare lo schema della celebrazione eucaristica.
La gioia della scoperta è tale che i due rifanno il cammino, per comunicare ai fratelli la loro esperienza e per proclamare insieme: «Il Signore è davvero risorto!». È questo il grido corale dei credenti, l'annuncio di cui i cristiani vivono, che non dovrebbero stancarsi di ripetere gli uni agli altri, la notizia sempre fresca e nuova che la Chiesa si sente responsabile di portare ad ogni uomo, come il dono più grande che gli possa essere offerto.

Situando questo episodio nel primo giorno della settimana, l'evangelista suggerisce che quanto è avvenuto la sera di Pasqua continua ad accadere ogni domenica, soprattutto nell'Eucaristia. È qui che in modo privilegiato possiamo avvertire la presenza di Gesù e la sua compagnia nel nostro viaggio.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 21,31)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
Egli entrò per rimanere con loro (Lc 24,29) - (30/04/2017)
(vai al testo)
Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,31) - (04/05/2014)
(vai al testo)
Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,31) - (08/05/2011)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Gesù, invisibile presenza che nulla chiede e tutto dà (28/04/2017)
  In cammino con il Risorto (02/05/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2020)
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 4.2014)
  di Marinella Perroni (VP 4.2011)
  di Enzo Bianchi

(Immagine: Si aprirono gli occhi e lo riconobbero, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2017)

lunedì 20 aprile 2020

Portatori del "nuovo"


Nel ricordare oggi l'anniversario della mia ordinazione diaconale mi vengono alla mente le parole dette da don Tonino Bello (di cui oggi peraltro ricorre il ventissetesimo anniversario della sua morte) nelle omelie in occasione di ordinazioni diaconali nella diocesi di Molfetta. Parlano di quel "nuovo" che il diaconato, ripristinato dopo tanti secoli di oblìo come grado permanente del ministero ordinato, deve portare nella Chiesa: un soffio "nuovo", frutto dello Spirito. Tuttavia, è lecito chiedersi il perché questo "nuovo" stenti ad essere accolto e compreso… E ritornano sempre alla mente le parole del Vangelo: «Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi» e «nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito nuovo». Le conseguenze sono certe: «il nuovo non si adatta al vecchio», «il vino nuovo spacca gli otri» e tutto si disperde (cfr. Lc 5,36-38). Si constata pure che «nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!» (Lc 5,39). È più facile, infatti, restare ben saldi nell'esistente già ben sperimentato, nelle pratiche religiose consolidate, che non affidarsi a quella novità dello Spirito che ci spinge ad "uscire" dal nostro recinto per andare incontro all'umanità che ci circonda e non desidera altro che sperimentare nei cristiani l'amore di Dio per l'umanità.
Occorre una vera conversione personale e comunitaria! Un diaconato che sappia essere un punto di riferimento innovatore per tutti. Don Tonino Bello diceva a Sergio Loiacono, primo diacono della sua diocesi: «Vedi, Sergio, desidero che tu sia per la nostra Chiesa locale il segno luminoso della sua diaconia permanente. L'icona del suo radicale rifiuto per ogni mentalità da "part-time". Il simbolo dell'antiprovvisorietà del suo servizio. Il richiamo contro tutte le tentazioni di interpretare con moduli di dopolavoro l'impegno per i poveri. La negazione di ogni precariato che voglia includere, non solo nella diaconia della carità, ma anche in quella della Parola e della lode liturgica, la banalità aziendale del "turn-over"».
E in occasione di un'altra ordinazione: «Quante volte sento la gente che dice: "Ma perché in Chiesa siete così ripetitivi, così stanchi, dite sempre le stesse cose, fate gli stessi gesti?". Non c'è cambio, non c'è invenzione. Forse è vero: abbiamo privilegiato troppo il diritto e abbiamo mortificato un tantino la fantasia, l'estro; la capacità di lodare il Signore con novità di vita. Dico questo perché mi dispiacerebbe tanto che i nuovi diaconi diventassero i titolari della routine, dello schema prefabbricato; che diventassero, soltanto, come dire, i propositori di servizi al parroco presso cui vengono affidati. Se la loro missione si dovesse restringere ad accompagnare i morti al cimitero o a fare i battesimi quando il parroco è occupato, oppure a celebrare determinate funzioni quando il parroco non c'è - se dovesse essere questo - sarebbe sbagliato: meglio non ordinarli. I diaconi devono essere portatori di novità, di freschezza, ma di freschezza dolce, non arrogante. Guardatevi dall'arroganza, dal proporvi ai vostri parroci come maestri o come coloro che la sanno più lunga, o come coloro che sono più freschi di teologia e quindi possono dottrineggiare su tante cose. […] Allora la Chiesa crescerà; crescerà soprattutto perché coloro che noi chiamiamo "i lontani", scorgono una simpatia nuova all'interno delle nostre comunità. Possono dire: "Guarda, non è una comunità chiusa, non è una comunità che si arrocca nelle sue cerimonie per quanto belle, per quanto sante, ma è una comunità aperta, che s'inventa giorno per giorno; una comunità che vive l'immediatezza della presenza di Dio in termini nuovi". Oggi non è più come ieri».

Rimando ad altri post relativi alla mia ordinazione diaconale:
La beatitudine del servire (19/04/2019)
Il dono di un servizio a "tempo pieno" (20/04/2018)
Seguimi! (20/04/2017)
Gratitudine! (20/04/2016)
Stare nella tua casa (20/04/2015)
Chiara, mia moglie (26/04/2011)
Il diacono e il suo vescovo (20/04/2011)
Modello di ogni diaconia (19/04/2011)
Il mio sì (20/04/2010)
Ricordando quel giorno (19/04/2009)
Eccomi (19/04/2008)
Per conoscerci… (la nostra esperienza) (24/02/2008)

domenica 19 aprile 2020

Ora è il nostro momento


Ho ricevuto la riflessione, che di seguito riporto, sulla presenza del diacono nell'attuale situazione di crisi globale.
È del diacono Enzo Petrolino, Presidente della Comunità del Diaconato in Italia.



Ora è il nostro momento, ora è la nostra diaconia
Il ministero diaconale al tempo della crisi


Quando ci preparavamo per iniziare la Quaresima, ci arrivavano notizie dai media della diffusione di un virus in Cina, gradualmente la notizia cominciò a diventare allarmante. In breve tempo abbiamo scoperto che si chiamava Coronavirus (mai sentito prima d'ora). Pensavamo che la cosa non ci riguardasse, invece l'espansione del COVID19 (altro nome coniato) ha investito l'Italia, e successivamente gli altri paesi d'Europa, in maniera prepotente e devastante. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha offerto subito la profilassi di fronte a questa epidemia, che è presto diventata pandemia. Come era successo nelle differenti zone in Cina, così anche da noi, prima nella zona settentrionale dell'Italia e poi in tutto il Paese, tutti siamo stati confinati a casa in una quarantena, una situazione che, in un modo o nell'altro, è arrivata a cascata in quasi tutti i contenti del mondo. Inizialmente si era detto che la quarantena sarebbe durata poco, quindici giorni, poi è stata estesa a più di un mese ed ora fino al 3 maggio. In questa situazione eccezionale, che a memoria degli anziani che hanno vissuto le diverse guerre o epidemie non era mai accaduto un evento così globale, il numero di infetti sale ogni giorno, così come quello dei morti, e fortunatamente va molto meglio la situazione dei guariti. Siamo scioccati, siamo profondamente feriti da tutta la sofferenza che percepiamo intorno a noi: i defunti senza un commiato, le loro famiglie senza un conforto, i malati, coloro che perdono il lavoro... è successo tutto così inaspettatamente e bruscamente che dobbiamo cogliere una prospettiva nuova per scoprire proprio ora la presenza di Dio mentre, a prima vista, percepiamo solo dolore e desolazione. Con questa riflessione voglio tentare un primo approccio per capire di che prospettiva stiamo parlando.

Quaresima è diventata una "quarantena"
Progressivamente i diaconi, come il resto dei nostri concittadini, sono stati "rinchiusi" nelle loro famiglie. Disertati Eucaristia pubblica, celebrazione dei sacramenti, incontri; abbiamo lasciato coloro che accompagnavamo nelle diverse aree affidate al nostro ministero riducendo le nostre attività pastorali che svolgevamo all'esterno. I diaconi sono persone d'azione, forse tendiamo a misurare la nostra dedizione e il nostro servizio in base a ciò che "facciamo", così man mano che passano i giorni della "quarantena" ci siamo chiesti: Come contribuire in qualità diaconi a questo momento unico del nostro mondo e della nostra chiesa? La "quarantena" sta diventando un momento di rallentamento. Abituati a vivere in fretta, ad avere un'agenda piena di attività, per misurare l'impegno e il servizio per ore, giorni, settimane... percepiamo che la vita si è fermata. Ci sentiamo sopraffatti dal non poter "fare" le cose, così come eravamo abituati. In questi giorni risuonano incessantemente dentro di noi queste domande. Cosa stiamo facendo della vita? Cosa succede a questo mondo, a questo pianeta? Purtroppo solo quando facciamo i ritiri o gli esercizi spirituali abbiamo un tempo simile, prolungato, per esaminare la vita alla presenza di Dio. Un tempo per rinnovare la centralità di Dio nella vita. La sola responsabilità di questa pandemia è degli esseri umani, mai di Dio che desidera il meglio per le sue figlie e i suoi figli, è anche nostra responsabilità convertire così tanto dolore e sofferenza, così tante domande e smarrimento in un vero Kairos nella nostra vita.

La "quarantena" vissuta in famiglia
Quante volte abbiamo ascoltato dai diaconi che il primo posto per l'esercizio del nostro ministero è la famiglia stessa. Questo momento ci dà la possibilità di vivere l'esperienza di un tempo lungo e denso, in quantità e qualità, con le nostre famiglie, al fine di rendere possibile a ciascuna essere piccole chiese domestiche, con le loro luci e ombre, per sostenersi a vicenda, per aiutare le speranze e i sogni di ogni membro affinché possano essere realizzati, secondo il progetto che Dio ha per tutti. Essere in grado di accompagnare con tempo e delicatezza se c'è dolore, malattia, frustrazione. Anche per condividere con loro l'assurdità di questa situazione, le cause e i suoi effetti, le speranze e i cambiamenti necessari e presentarli al Padre.

La "quarantena" vissuta come solitudine
Siamo abituati ad andare da un posto all'altro, percorrendo molte volte lunghe distanze per esercitare il nostro ministero, lavorare, andare in vacanza in estate. All'improvviso siamo confinati tra le mura delle nostre case, a volte piccole e molto limitate, soprattutto quelle dei poveri. Le persone più vulnerabili pagano sempre il prezzo più alto della crisi. E quando iniziamo a sentire l'impotenza sterile di non poter "fare" nulla, ci sentiamo interrogati dalle persone che normalmente accompagniamo, in particolare i malati, quelli che vivono soli, i più vulnerabili ed emarginati, che possiamo presentare al Signore nella preghiera. Possiamo anche chiamarli telefonicamente per mantenere un dialogo sereno e rassicurante, che oltre a fornire sicurezza e fiducia, può rilevare possibili esigenze di qualsiasi tipo, di cui potremmo occuparci. Un appello per rendere reale che la Comunità è fatta da persone, non da "templi", da situazioni di vita condivise alla luce della fede, non da strutture, a volte così anti-evangeliche. Questa è una "quarantena" per guardare attraverso le nostre finestre: strade vuote, strade senza automobili, animali che occupano spazi pubblici e che ci ricordano che questi luoghi appartenevano a loro, prima che li invadessimo. Finestre che ci consentono di vedere cieli e acque più trasparenti e puliti e di chiederci cosa stiamo facendo con questa creazione! Finestre che ci ricordano altre finestre del mondo, un mondo interconnesso e interconnesso nel bene e nel male, che ci dice che siamo parte di un singolo pianeta, al di là di paesi, nazioni, confini, lingue e religioni...
Finestre che ci mostrano, in prima persona e in modo eccezionale, ciò che milioni di esseri umani vivono quotidianamente in così tanti posti nel mondo. Finestre che ci parlano di altre epidemie ancora presenti, ma dimenticate oggi. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ci ricorda la situazione nell'Africa occidentale con l'Ebola, presente dal 2014, con oltre 30.000 persone infette e 11.000 morti. O nell'Africa sub-sahariana, la malaria, che nel solo 2018 ha causato 228 milioni di infetti e 405.000 morti. O nel mondo, con la dengue, che causa 390 milioni di infezioni all'anno, o il morbillo, praticamente sradicato nel primo mondo, ma che nel solo 2017 ha causato 110.000 morti. Ma ovviamente, tutto ciò accade in finestre molto lontane da quelle del nostro primo mondo, praticamente non li vediamo e non hanno alcuna incidenza sui nostri giornali o televisioni. Mi chiedo con preoccupazione e sofferenza: dove saranno confinati così tanti milioni di esseri umani senza tetto? Come faranno così tante persone che non hanno l'acqua a lavarsi le mani? Quali effetti avrà il coronavirus in Africa?
Ciò che normalmente passava inosservato, ciò che non veniva valutato, ciò che non contava, ora acquisisce rilevanza, servizio evangelico, diaconia: il lavoro dei dipendenti nei supermercati, i poliziotti, i trasportatori, i tassisti... senza dimenticare il lavoro di tutto il personale sanitario negli ospedali, nelle case di cura, grazie al quale possiamo recuperare e mantenere la vita. L'esempio silenzioso di tanti fratelli e sorelle che stanno rendendo reale la sequela di Gesù in favore dell'ultimo: laici uomini e donne, uomini e donne religiose, persone consacrate, diaconi, sacerdoti e vescovi. Hanno perso la vita più di cento preti e un diacono.
Questo può essere un buon momento per rivedere il nostro diaconato sull'esempio di così tante brave persone, a volte eroi, che non esitano a dare la vita per gli altri. Una "quarantena" in cui vediamo quanti nostri concittadini finiscono sulla strada perché perdono temporaneamente o permanentemente il proprio lavoro. In un momento critico in cui così tanti i governanti pongono la crescita economica davanti alla salute dei cittadini. Dove proiettando la crisi economica che già tocca tanti di noi, è difficile investire oggi e salvare vite umane, perché a tempo debito si preferiva investire di più in altri interessi meschini, come il traffico delle armi, dimenticando la ricerca, la salute, i servizi igienico-sanitari. Una "quarantena" in cui il bene più prezioso è una mascherina o un respiratore. Una situazione di depredazione economica internazionale, laddove nascono interessi nascosti di mercato solo di pochi. Un tempo che fa avverare le parole di Papa Francesco in modo terribile e sanguinoso: "questa economia uccide". Se diciamo di seguire Gesù, una volta superata questa situazione, dovremo stare con gli occhi ben aperti e mantenere alte le nostre voci per difendere la giustizia sociale in difesa di un lavoro dignitoso per tutti. Come diaconi e cristiani, questa "quarantena" può attivare e rafforzare la nostra umiltà e la nostra identità. Umiltà, perché viviamo quanto siamo piccoli e vulnerabili, guardando l'esempio di servizio di così tante donne e uomini nei confronti dei loro simili. E la nostra identità, perché ri-sperimentiamo che prima di "fare" c'è l'"essere", lo sanno innanzitutto i diaconi, i cristiani, i cittadini, gli esseri umani. Speriamo che questa "quarantena" rafforzi criticamente ed evangelicamente ciò che siamo, come seguaci e seguaci di Gesù, servitori. In questi giorni ho letto il numero quattro delle Norme sulla formazione dei diaconi permanenti della Santa Sede. Lì ci viene ricordato che il diacono - come i presbiteri e i vescovi - partecipa in modo specifico a Cristo e al suo ministero, per essere strumento a favore del mondo e della Chiesa. Essere i suoi strumenti, soprattutto nel servizio, nella diaconia. Approfittiamo di questa "quarantena", per combattere il coronavirus, sostenendo le vittime e cercando di trasformarlo in un tempo di grazia, per essere diaconi veri. Vale a dire, per registrare nella parte più intima del nostro cuore e della nostra anima, tutto ciò che oggigiorno stiamo vivendo e sperimentando, dove Dio è presente e ci parla. E "facciamo" ora, con tutti gli impedimenti che percepiamo, ciò che il Signore ci chiede mettendo in campo così tante possibilità, in modo che alla fine di questo momento difficile, il nostro servizio e il nostro ministero diaconale possa essere un mezzo più efficace per divenire strumenti di Gesù servitore oggi e qui, perché nulla sarà come prima. Dobbiamo renderci conto e responsabilmente coscienti che il diaconato è una realtà in rapida evoluzione, il cui numero cresce con forza sia a livello globale che nei diversi continenti, aumentando del 10% nel quinquennio 2013-2017, passando da 44.195 a 47.504 diaconi.

Vorrei chiudere con due notizie tristi che ci toccano da vicino: la morte del primo diacono permanente di coronavirus, il francescano americano John-Sebastian Laird-Hammond e la morte del primo diacono permanente italiano a cui il Covid-19 non ha lasciato scampo, Maurizio Bertaccini, medico che ha lottato con il virus ma la malattia purtroppo non lo ha risparmiato ed è morto all'età di 68 anni.
Mi piace ricordare questo nostro confratello che lascia quattro "famiglie": quella naturale, la comunità di Montetauro, la diocesi e l'ordine dei medici. La moglie nel salutare il marito ha detto: "Maurizio è volato al Padre tra le braccia amorose della mamma del Cielo". Maurizio si era trasferito con la famiglia a Montetauro, per seguire più da vicino la comunità di stile dossettiano, Piccola Famiglia dell'Assunta di Montetauro, nella quale si è formato e nella quale ha fatto la professione insieme alla moglie, poco prima dell'ordinazione diaconale. Dal loro matrimonio sono nati sei figli naturali, più uno adottivo e tre in affido. La figlia maggiore della coppia si è consacrata nella Piccola Famiglia dell'Assunta di Montetauro, realtà che accoglie e accudisce anche bambini e adulti con gravi e gravissime disabilità e patologie, oltre ad occuparsi del recupero e qualificazione umana, culturale e professionale nonché inserimento sociale di persone che si trovano in stato di bisogno, handicap o emarginazione. La Piccola Famiglia ha aperto due Case in Italia, in Cina e nella Diocesi di Rimini. Uomo di grande fede, nel 1997 è stato ordinato diacono permanente dal Vescovo Mariano De Nicolò. Prestava servizio presso la parrocchia Santa Innocenza di Montetauro di Coriano e nella comunità della Piccola Famiglia dell'Assunta. "La morte del diacono Bertaccini è un grande dolore per comunità diocesana e diaconale. – ha scritto il delegato Diocesano per il diaconato, don Maurizio Fabbri – in questi giorni della settimana di Pasqua siamo certi che Maurizio potrà godere, quale 'servo buono e fedele', della pace col suo Signore risorto. Affidiamo al Signore anche Maria e la sua grande famiglia, perché trovino consolazione e fortezza nella fede". La sua scomparsa lascia addolorate migliaia di persone che lo hanno apprezzato come medico, uomo e come diacono.

Preghiamo di lasciarci dietro la quaresima e la quarantena e che durante i cinquanta giorni pasquali il coronavirus possa crollare in tutto il mondo, come un altro frutto della vittoria di Cristo sulla morte. Nel frattempo, preghiamo ed agiamo perché a nessuno manchi ciò che è necessario per affrontare questa pandemia e che presto avremo un vaccino per l'immunizzazione globale.
Oggi tutti noi dovremo fare la nostra parte, i diaconi dovranno continuare a "fare" la loro, rafforzando ora il nostro "essere" servi.
Il Signore è risorto, alziamoci tutti con Lui, Alleluia!

(Immagini del diacono Maurizio Bertaccini, medico, marito e padre)

venerdì 17 aprile 2020

Incontrare il Risorto


2a domenica di Pasqua (A)
Atti 2,42-47 • Salmo 117 • 1 Pietro 1,3-9 • Giovanni 20,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Mostrò loro le mani e il fianco
Il risorto non è altri che Gesù crocifisso. Quelle mani e quel fianco trafitti dicono l'amore vissuto al massimo, capace di vincere la morte: in quell'amore si incontra Dio stesso.
Ogni domenica riviviamo anche noi l'incontro con il Risorto, nel giorno in cui Gesù si è manifestato come tale. Nell'Eucaristia lui ci raduna insieme e ci ripete Pace a voi. Dissolve le nostre paure e i nostri dubbi, mostrandoci le sue ferite e rendendo presente il suo amore "fino alla fine": «Questo è il mio corpo dato per voi, è il mio sangue versato per voi e per l'umanità».
Nella comunione con Lui ci comunica lo Spirito Santo, rendendoci strumenti di unità e di pace: «Per la comunione al corpo e al sangue del Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo», diciamo nella seconda preghiera eucaristica seconda.
Per questo l'Eucaristia domenicale è l'appuntamento per eccellenza di Gesù e, in Lui, del Padre e dello Spirito e può e deve diventare il momento più importante della settimana. Vivere l'Eucaristia, infatti, è imparare da Lui ad amare "fino alla fine" e sperimentare in Lui una nuova vita.

C'era con loro anche Tommaso
Tommaso incontra Gesù risorto, perché continua a frequentare il gruppo degli apostoli. Sta con loro anche se non li capisce, prega con loro, dice i suoi dubbi e ascolta la loro esperienza.
Il "vedere" Gesù risorto non è il modo comune per giungere alla fede. Siamo chiamati all'incontro con il Risorto attraverso l'ascolto dei "testimoni" e la vita di comunione: arriviamo a Gesù aiutandoci gli uni gli altri. Questo avviene con la partecipazione "attiva" all'Eucaristia e con le esperienze di incontro sul Vangelo, ascoltando senza giudizio le idee, le riuscite e le difficoltà nella fede di altri, vedendo come altri pregano, vivono la croce, servono con amore. Questo stimola a vivere il Vangelo e può sciogliere i dubbi. Fa sentire la presenza di un Gesù vivo, presenza che possiamo gustare nella serenità, nella consolazione che nasce dalla condivisione della "nuova" vita, nel coraggio che riceviamo nel testimoniare il Vangelo, nella pace che il Risorto ci dona.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
I discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,20)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
Mio Signore e mio Dio (Gv 20,28) - (28/04/2019)
(vai al testo)
Otto giorni dopo venne Gesù (Gv 20,26) - (08/04/2018)
(vai al testo)
I discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,20) - (23/04/2017)
(vai al testo)
Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20,22) - (03/04/2016)
(vai al testo)
Abbiamo visto il Signore! ( Gv 20,25) - (12/04/2015)
(vai al testo)
Mio Signore e mio Dio (Gv 20,28) - (27/04/2014)
(vai al testo)
Abbiamo visto il Signore (Gv 20,25) - (07/04/2013)
(vai al testo)
Beati quelli che hanno visto e hanno creduto (Gv 20,29) - (15/04/2012)
(vai al testo)
Tutti i credenti stavano insieme (At 2,44) - (01/05/2011)
(vai al testo)
Mio Signore e mio Dio (Gv 20,28) - (09/04/2010)
(vai al post "Turbati dall'incredulità")
Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: "Pace a voi" (Gv 20,19) - (17/04/2009)
(vai al post "La nostra pace")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Il "Primo" giorno della settimana (26/04/2019)
  La fede che vince il mondo (06/04/2018)
  Dalle piaghe aperte, non sangue ma luce e misericordia (21/04/2017)
  Tommaso, il nostro compagno dei viaggio (01/04/2016)
  Quelle ferite, il punto più alto dell'amore (11/04/2015)
  Misericordia, secondo nome dell'amore (25/04/2014)
  La comunità vivificata dal Risorto (05/04/2013)
  La nostra vita con il Risorto (13/04/2012)

Commenti alla Parola:

Anno A:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2020)
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 3.2014)
  di Marinella Perroni (VP 4.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

Anno B:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2018)
  di Luigi Vari (VP 3.2015)
  di Marinella Perroni (VP 3.2012)
  di Claudio Arletti (VP 3.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

Anno C:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2019)
  di Luigi Vari (VP 3.2016)
  di Marinella Perroni (VP 3.2013)
  di Claudio Arletti (VP 3.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Immagine: Metti qui il tuo dito, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2015)

sabato 11 aprile 2020

Il Signore Gesù ha vinto la morte!


Pasqua di Risurrezione
Atti 10,34a.37-43 • Sal 117 • Colossesi 3,1-4 [1Corinzi 5,6-8] • Giovanni 20,1-9
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Pasqua è l'annuncio della Risurrezione, della vittoria sulla morte, della vita che non sarà distrutta. Fu questa la realtà testimoniata dagli apostoli; ma l'annuncio che Cristo è vivo deve risuonare continuamente. La Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo, custodisce questo annuncio e lo trasmette in vari modi ad ogni generazione: nei sacramenti lo rende attuale e contemporaneo ad ogni comunità riunita nel nome dei Signore; con la propria vita di comunione e di servizio si sforza di testimoniarlo davanti al mondo.
Questa è ancora la grande lezione della Pasqua che quest'anno celebreremo ritualmente in modo assai povero, ma che, in realtà, potrebbe essere l'occasione di vivere in modo esistenzialmente più ricco a livello spirituale.
Mentre il digiuno dai riti per alcuni e la rinuncia alle vacanze per altri renderanno questa Pasqua diversa, siamo chiamati - tutti indistintamente - ad assumere la logica pasquale. In una parola, attraverso gli Evangeli, possiamo imparare dal Signore Gesù a vivere fino in fondo il fallimento, l'angoscia e persino la morte senza inutili scorciatoie. Mentre si preparava alla sua Passione, il Signore Gesù preparò i suoi discepoli al "dopo", aiutandoli a vivere fino in fondo il dramma che stavano per vivere, con chiarezza lucida e luminosa, fino a dire: «Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me» (Gv 16,33). Nel suo mistero pasquale il Signore Gesù ha vinto la morte attraversandola interamente e, con il suo mite patire, ha messo persino la morte al suo posto. Noi in questa Pasqua, dopo essere stati costretti a fermarci e a cancellare buona parte dei nostri programmi, da quelli personali, familiari e professionali a quelli economici ed internazionali, possiamo scegliere di fermarci tutti insieme. Fermarci per pensare e decidere con libera volontà per entrare, tutti insieme, in un processo di sapienza.
Sarebbe augurabile decidere di fermarci spontaneamente per fare Pasqua tutti insieme prima che sia troppo tardi. Sarebbe auspicabile usare questo tempo per una seria riflessione ed onesta rilettura della nostra recente storia di globalizzazione, non per riparare i danni semplicemente, ma per sperare insieme in modo nuovo di vita.
Un Giubileo dell'umanità potrebbe essere il modo adeguato di imparare da quello che stiamo patendo e di rinnovare quei vincoli tra persone e con la Creazione senza i quali saremo inevitabilmente «perduti»
In un tempo della storia forse questa è l'occasione per gli uomini e le donne di fede di diventare profeti di un'umanità possibile e desiderabile. Se, come credenti, sapremo unirci per servire alla causa comune dell'umanità, persino le religioni e gli uomini e le donne che le rappresentano diventerebbero più affidabili, come più credibili diventerebbero le nostre pratiche religiose plurimillenarie.
Sofferenza e violenza sono intimamente legate nel nostro umano sentire e reagire. Solo una sofferenza riconosciuta e assunta può creare un incremento di compassione. Al contrario, una sofferenza negata o semplicemente sopportata, per essere dimenticata non appena possibile, non può che creare un vortice di violenza che crea altra sofferenza.
Mentre, per esorcizzare le comprensibili paure e confortare i più deboli, da più parti si parla, con toni quasi euforici, del "dopo", come discepoli di Cristo saldamente ancorati all'ottimismo tragico dell'evangelo, vogliamo prendere tutto il tempo per leggere fino in fondo quello che sta succedendo. Solo il discernimento umile e coraggioso del presente, così drammatico, che viviamo potrà permetterci di pensare al "dopo".

Con la risurrezione di Cristo, celebrata nella veglia pasquale, entriamo nel giorno assolutamente nuovo per l'umanità; il giorno che domina tutta la storia del mondo; il giorno che inaugura la nuova creazione; il giorno soprannaturale della vita eterna, in cui Dio tutto illumina e feconda; è il giorno che non conosce tramonto. La pasqua è la «solennità della solennità».
I padri della chiesa hanno chiamato «ottavo» questo giorno, perché in esso confluiscono e trovano il loro compimento i sette giorni della prima creazione deturpata dal peccato. Questo è veramente il giorno che ha fatto il Signore. Tutta la storia umana gravita attorno a questo punto focale e il corpo del Cristo risorto è la cellula del rinnovamento universale di tutte le cose secondo il disegno di Dio.
Il Padre, per mezzo del suo unico Figlio, ha vinto la morte e ci ha aperto il passaggio alla vita eterna (cfr Colletta). La liturgia è tutta pervasa dalla gioia che scaturisce dalla fede nel Cristo risorto e dalla consapevolezza che noi siamo partecipi, in forza del battesimo, della nuova vita del Signore.
Rendere grazie al Padre, allora, in questo giorno nel quale Cristo nostra pasqua si è immolato, non significa tanto dire grazie a Dio, ma agire in atteggiamento di grazie, accettando la responsabilità di condividere la morte di Gesù, rinnegando ogni compromesso col peccato e lasciando agire in noi la potenza della sua risurrezione. Attraverso una continua conversione noi entriamo nella morte del Signore e per mezzo della nuova qualità dei nostri atti entriamo nella sua risurrezione. Se viviamo autenticamente il dinamismo del mistero pasquale nella vita quotidiana, diventa vera la nostra azione di grazie anche nel momento sacramentale.
Annunciare sempre e instancabilmente Cristo Risorto e la sua gioia, a un mondo triste come è ancor più oggi il nostro, che ancora «gioca molto ma non si diverte affatto», è offrire nella suprema carità, per il bene esclusivo degli uomini fratelli nostri, i contenuti veri, autentici, reali, specifici della vita cristiana. Degna quindi di essere vissuta. Nella Parola della gioia trasformante.

(da "Lectio divina" della Domenica di Risurrezione, Abbazia Santa Maria di Pulsano, FG)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Entrò nel sepolcro e vide e credette (Gv 24,6)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
Non è qui, è risorto (Lc 24,6) - (21/04/2019)
(vai al testo)
Egli doveva risorgere dai morti (Gv 20,9) - (01/04/2018)
(vai al testo)
Entrò nel sepolcro... e vide e credette (Gv 20,8) - (16/04/2017)
(vai al testo)
Non è qui, è risorto (Lc 24,6) - (27/03/2016)
(vai al testo)
E vide e credette (Gv 20,8) - (05/04/2015)
(vai al testo)
Andate a dire: È risorto dai morti (Mt 28,7) - (20/04/2014)
(vai al testo)
Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù (Col 3,1) - (31/03/2013)
(vai al testo)
È risorto! (Mc 16,6) - (08/04/2012)
(vai al testo)
Andate a dire ai suoi discepoli: "È risorto dai morti" (Mt 28,7) - (24/04/2011)
(vai al testo)
Cristo, mia speranza, è risorto, alleluia(Sequenza) - (03/04/2010)
(vai al post "La nostra speranza")
Noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute(At 10,39) - (11/04/2009)
(vai al post "Noi siamo testimoni")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  La memoria delle Scritture (20/04/2019)
  Dalla risurrezione di Gesù è possible un nuovo inizio per ciascuno (30/03/2018)
  L'ultima parola della vita umana è soltanto e sempre l'amore (15/04/2017)
  L'amore che non può essere annullato dalla morte (26/03/2016)
  "Doveva" risolrgere (04/04/2015)
  La gioia piena che il Risorto ci dona (19/04/2014)
  È vivo, Lui la nostra speranza! (30/03/2013)
  È risorto! (07/04/2012)

Commenti alla Parola:
Anno A:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2020)
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 3.2014)
  di Marinella Perroni (VP 3.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

Anno B:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2018)
  di Luigi Vari (VP 3.2015)
  di Marinella Perroni (VP 3.2012)
  di Claudio Arletti (VP 3.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

Anno C:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2019)
  di Luigi Vari (VP 2.2016)
  di Marinella Perroni (VP 2.2013)
  di Claudio Arletti (VP 3.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica


giovedì 9 aprile 2020

«Famiglia, sii te stessa!»


La condizione di isolamento a cui siamo costretti a causa della pandemia ci fa riscoprire, in assenza di celebrazioni pubbliche per i riti di questa Settimana Santa, che ogni famiglia è chiamata ad inventarsi uno spazio con dei segni che richiamino la nostra fede: un cero, un crocifisso, una tovaglia particolare che viene messa sulla tavola nei momenti celebrativi.
Possiamo davvero celebrare la fede nelle case, nella vita quotidiana, in ogni giorno. Le relazioni più intime, se vere, se vissute in Cristo, diventano «tempio dello Spirito» (1Cor 6,19-20: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!»). Il luogo dell'incontro con Dio è Gesù Cristo e con lui ogni uomo che lo accoglie: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23). L'uomo è l'unico vero santuario dal quale si manifesta e irradia l'amore del Padre per le sue creature. È questa la fede del credente. "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1Cor 3,16) scrive Paolo, talmente convinto di questa realtà da affermare "Cristo vive in me" (Gal 2,20). Nella certezza che non manchino al popolo di Dio, ai vescovi, ai presbiteri, ai diaconi la creatività per sostenere tutti i credenti nel vivere in modo «eccezionale» questa Pasqua 2020 raccolti attorno a un tavolo di casa per pregare, celebriamo la Pasqua nell'emergenza, lì dove siamo, ma anche in comunione con tutta la Chiesa particolare di cui siamo parte.

Ed allora qualche suggerimento minimo per celebrare il triduo pasquale:

Giovedì Santo
L'evangelista Giovanni nel suo evangelo non riporta l'ultima cena ma la lavanda dei piedi. Le disposizioni stabilite dalla Congregazione per il Culto Divino hanno tolto il gesto liturgico, comprendiamo ed accettiamo. Si potrebbero rileggere i testi che istituiscono il memoriale (dal libro dell'Esodo 12,1-14, il Sal 115 (116), dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi 11,23-26, dall'evangelista Giovanni 13,1-15 e dall'evangelista Matteo 26,17-29). Non possiamo celebrare l'Eucaristia in casa, ma spezzare un pane e condividerlo può rimandare al senso di quello che ogni domenica viviamo con tutti i credenti, per ricordare che l'eucaristia è celebrata quando ci mettiamo a servizio gli uni degli altri.

Venerdì Santo
Al centro del Venerdì Santo c'è la croce di Gesù e il racconto della sua morte. Diventa importante scegliere una croce da mettere al centro, che sia quella che poi ogni volta ci invita a pregare. Davanti alla croce leggere il racconto della passione e morte del Signore (Gv 18,1-19,42) e poi una preghiera universale, perché la croce ci raccoglie tutti (e in questi momenti con particolare riferimento a chi soffre per il contagio e a chi opera per la cura dei malati).

Sabato Santo
Questo è un giorno particolare dove regnano il silenzio e l'assenza di celebrazioni. Abbiamo vissuto quasi tutta la quaresima come un lungo Sabato Santo di silenzio e senza riti. Allora questo giorno lo si potrebbe consacrare al silenzio. Si pongono i segni: una candela spenta, un crocifisso coperto, una tavola spoglia.

Domenica di Pasqua
La domenica di Pasqua la si vive come ogni domenica senza la celebrazione dell'eucarestia in chiesa. Una celebrazione della Parola - non mancano i sussidi che possiamo trovare in abbondanza in rete - che si conclude con una festa, un pranzo condiviso, un momento di gioia. Senza dimenticare chi è solo, oltre che a parenti ed amici, annunciare la Resurrezione di Cristo per dare una parola di vicinanza e di speranza. Anche i più restii hanno usato il telefono in questi giorni e spesso, ma forse ancor più in un giorno come questo.

«Famiglia, sii te stessa!» (san Giovanni Paolo II).

(Riflessione tratta da Lectio divina, Abbazia Santa Maria di Pulsano, FG)


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Vedi anche altri post a suo tempo pubblicati sul Triduo Santo:
  La beatitudine del servire (19/04/2019)
  Partecipi della Sponsalità di Cristo (28/03/2018)
  Gesù abbandonato: mistero di Dolore e di Amore (12/04/2017)
  Il dolore e la sofferenza sono "solo" germogli di rinascita (23/03/2016)
  Pasqua, passaggio di Dio e passaggio dell'uomo (01/04/2015)
  Il mistero di quei tre giorni (18/04/2014)
  Il Servo di Jahwè (15/04/2014)
  Nati da quel Sangue (6/04/2012)
  Li amò sino alla fine (2/04/2010)
  Il nostro modello (30/03/2010)
  Nel deserto del mondo… (9/04/2009)
  Quel seme che muore per dar vita (6/04/2009)
  Il sepolcro vuoto (19/03/2008)


mercoledì 8 aprile 2020

Via Crucis al tempo del Coronavirus [7]


Tredicesima Stazione: Gesù deposto dalla croce
Assieme all'Annunciazione, la deposizione è la scena in cui Maria è maggiormente raffigurata dagli artisti. È bella la Madre silenziosa con il figlio morto adagiato in grembo. All'Annunciazione aveva ingaggiato un vivace dialogo con l'angelo, ora tace. La spada profetizzata da Simeone le ha trapassato l'anima. Ha condiviso appieno il dramma del figlio. Nella sua impotenza accoglie in sé tutte le morti, come Gesù ha preso su di sé tutti i mali del mondo.

Quando depongono dal letto i morti del Coronavirus, fuori c'è un camion ad attendere. Una lunga fila di camion militari si avvia verso gli inceneritori. Quanta desolazione. Lo stesso silenzio del Golgota.

Come Maria apriamo braccia e cuore per accogliere ogni dolore, ogni sofferenza, ogni morte.
Neppure una lacrima cada per terra invano.
È un bene prezioso che va condiviso e vissuto.
Forse non sapremo dire parola, ma stiamo lì, per farci sentire presenti. E che nessuno resti mai solo.


Quattordicesima Stazione: Gesù è deposto nel sepolcro
Aveva detto d'essere la Vita, ora la Vita è stata inghiottita dalla Morte.
Ora è tutto decisamente finito. Mettiamoci una pietra sopra.
Quella pietra rotolata davanti al sepolcro è come un macigno che seppellisce ogni speranza.
Comincia il grande silenzio del sabato, quando tutto si ferma. È la solitudine.

Che silenzio nelle nostre città. Tutto s'è fermato. Chiuse le saracinesche dei negozi, i cancelli delle fabbriche, le porte di casa. Sembra che solo la morte regni, sovrana. Siamo impotenti.

In questo silenzio risuona ancora la tua voce: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24).
Non sei stato sepolto, sei stato semplicemente seminato.
Devono passare mesi, lì sotto terra, per vedere spuntare di nuovo la vita che, nascosta, sta germinando, lentamente.
Rinascerà e sarò messa abbondante e tutti saremo quella spiga piena.

(Fonte: http://fabiociardi.blogspot.com)

lunedì 6 aprile 2020

Via Crucis al tempo del Coronavirus [6]


Undicesima Stazione: Gesù è inchiodato in croce
"Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io sono" (Gv 8,28).
A Mosè, sul monte Sinai, Dio si rivelò come "Io sono".
Soltanto Dio veramente è e può dire in tutta verità: "Io sono". Nessuno "è" come lui "è".
Gesù, al culmine della sua umiliazione, quando, inchiodato sulla croce come un malfattore e un maledetto da Dio (perché la Scrittura dichiara maledetto chi è appeso al legno: Dt 21,22-23), sembra ormai una nullità, mostra il suo vero essere: "Io sono".
Muore per amore e svela il vero volto di Dio: Amore. È questa l'identità di Gesù, il suo vero essere.

Il virus ci inchioda nelle case, negli ospedali, ci innalza sulla croce, ci umilia, riduce al nulla la nostra potenza e prepotenza. Che sia un appello a trovare il nostro vero io? La realtà più profonda del nostro essere: l'amore?

"Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32).
Proprio perché tu "sei" e sei "Amore", innalzato in cielo - perché la tua crocifissione è la tua gloria - apri il cielo per noi, come lo apri per il buon ladrone, e ci porti con te.
Ci sollevi dal nostro niente, ci attiri a te, alla vita divina, tutti insieme, fatti una famiglia con te, con il Padre, con la Madre che ci dai dalla croce.


Dodicesima Stazione: Gesù muore in croce
Gesù, la Vita, muore.
La morte è entrata nel mondo a causa del peccato. Gesù si è fatto peccato per essere accanto a noi peccatori, e farci buoni e santi. Ha condiviso la nostra morte, perché possiamo condividere la sua risurrezione.
"Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8-10).
Dalla croce si dona e dona tutto: il perdono, il Padre, la Madre, il Paradiso, lo Spirito.
All'ultimo lo trafiggono con una lancia e dona l'ultimo sangue, che lava i nostri peccati.
Che altro poteva fare per dirci che ci ama e che gli siamo preziosi?

Quanti morti in questi giorni! Molti ci lasciano da soli, senza nessuno che li stringa la loro mano, che chiuda loro gli occhi. E quanto pianto lasciano nelle case che si svuotano d'improvviso…

Gesù è morto attorniato da molte persone, ma ha provato la solitudine - "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" - perché noi non fossimo più soli e mai abbandonati.
Chi sarà contro di noi? Dio, "che non ha risparmiato i proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi?". "Chi ci condannerà? Cristo Gesù, che è morto… per noi?" (Rm 9,32.34).
Gesù è morto perché noi non moriamo. "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me… non morrà in eterno" (Gv 11,25-26).

(Fonte: http://fabiociardi.blogspot.com)

domenica 5 aprile 2020

Dove cercare il Figlio di Dio?


Dall'amico diacono Luciano T., della vicina diocesi di Velletri-Segni, ricevo questa sua testimonianza, in occasione della domenica delle Palme e della Passione del Signore.


Dopo la lettura del brano della Passione dal vangelo di Matteo, siamo chiamati a meditare interiormente la nostra vita, le nostre giornate, il nostro essere seguaci di Cristo…
Quante domande dovremmo porci, quanti dubbi dovremmo avere… Eppure, appena usciremo da questa meditazione, tutto tornerà come prima?
Vorrei condividere con voi un piccolo pensiero.

Prima però premetto una esperienza, che ho vissuto tempo fa, che possa far comprendere il perché di tale pensiero.
Prima di diventare diacono (parliamo degli anni che vanno dal 2010 al 2014) svolgevo il servizio di volontariato presso la Croce Rossa. Ma avendo poco tempo a disposizione, dedicavo solo il sabato o la domenica ai vari servizi richiesti. In quegli anni la ASL di competenza aprì una postazione del soccorso 118 a Lariano, la sede era situata nella piazza principale, al piano superiore della palazzina dove erano allocati i Vigili Urbani.
Dal lunedì al venerdì, tale servizio di soccorso era svolto dalle persone in forza stabile presso la Croce Rossa. Il sabato e la domenica era svolto da noi volontari, un barelliere e un autista, mentre il paramedico era in forza presso cooperative private. Il servizio era svolto con un orario ridotto, dalle ore 08,00 alle ore 20,00. Io ero autista dell'ambulanza.
Un sabato pomeriggio, terminato un trasporto al pronto soccorso dell'Ospedale Civile di Velletri (incidente stradale), venivo chiamato dal primario del Pronto Soccorso, il quale mi rappresentava di aver ricevuto direttamente una chiamata dal Commissariato di P.S. di Velletri: un uomo si era accasciato sulla scalinata del commissariato e non rispondeva ad alcuna sollecitazione (quel signore era stato convocato al commissariato in quanto il suo vicinato aveva sporto denuncia per ripetuti rumori molesti che tale individuo metteva in atto soprattutto nella ore notturne. Era un uomo di mezza età, bracciante agricolo, senza famiglia né amici, proveniva forse dal nord Italia ed era avvezzo ad ubriacarsi. Queste notizie ci furono riferite in seguito). Il medico mi chiese di accompagnarlo con urgenza sul posto, chiamai la nostra centrale operativa e chiese l'assenso per l'intervento. In pochissimi minuti eravamo sul posto.
Il signore non rispondeva alle sollecitazione del medico, lo caricammo sulla barella e di corsa partimmo; purtroppo durante il pur breve tragitto per raggiungere l'ospedale il paziente spirò.

Ecco la mia riflessione dopo quel fatto…
La scena: il Calvario. Siamo davanti ad un essere umano torturato, escluso dalla società, completamente isolato, condannato come eretico e sovversivo dal tribunale militare e religioso.
Ai piedi della croce, i religiosi, i pensatori, le persone che il popola crede e rispetta come autorevoli, confermano per l'ultima volta che si tratta di un ribelle fallito e lo rinnegano pubblicamente.
È da questa morte che nasce un significato nuovo di vivere la fede.
L'identità di Gesù viene rivelata da un pagano: «Veramente costui era Figlio di Dio!».
D'ora in poi, se tu vuoi incontrare veramente il Figlio di Dio non cercarlo in alto, nel cielo azzurro e pieno di sole, né nel Tempio il cui velo si squarciò in due, ma cercalo accanto a te, nell'essere umano escluso, sfigurato, abbandonato da tutti, senza bellezza…
Cercalo in coloro che, come Gesù, danno la loro vita per i fratelli attraverso una sofferenza non cercata, non voluta, spesso imposta da altri.
È lì che Dio si nasconde, si rivela. È lì che possiamo incontrarlo!
Lì troveremo l'immagine del Figlio di Dio, dei figli di Dio.
«Non c'è prova d'amore più grande che dare la vita per i fratelli!».

sabato 4 aprile 2020

Via Crucis al tempo del Coronavirus [5]


Nona stazione: Gesù cade la terza volta
La pietà popolare ha immaginato tre cadute lungo il cammino verso il Calvario. Chissà, forse saranno state anche di più… Ma quel numero tre sta a significare il peso di un'oppressione enorme che lo schiaccia a terra.
"Egli portò i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce" (1Pt 2, 24).
"Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore" (2Cor 5, 21).

Che pesi enormi sta caricando l'epidemia, specialmente sui più poveri, su quelli che vivono del lavoro giornaliero e che d'improvviso si trovano senza di che poter vivere. E quante cadute in depressione…

"In tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi sentieri" (Pro 3, 6).
Ci sei accanto, in ogni nostra caduta:
"mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra" (Sal 39,10);
"tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai con il tuo consiglio
e poi mi accoglierai nella tua gloria" (Sal 73,23-24).


Decima stazione: Gesù spogliato delle vesti
Tutti e quattro i Vangeli dicono che i soldati si divisero le vesti. Non dicono che furono i soldati a spogliare Gesù.
Si spogliò da solo. Fu l'ultimo gesto, uguale al primo: "Pur essendo nella condizione di Dio… spogliò se stesso assumendo la condizione di servo" (Fil 2,6-7).
L'aveva fatto anche la sera prima, nel cenacolo, quando "depose le vesti" per lavare i piedi di discepoli (Gv 13, 4).
Si spoglia, dà la vita, come buon Pastore.

La piccola e povera Albania questi giorni si è spogliata di un manipolo di medici e infermieri per rivestire l'Italia. C'è ancora chi è pronto a rinunciare a se stesso, sull'esempio di Gesù, e servire e dare la vita per l'altro.

Di quante cose dobbiamo ancora spogliarci per ritrovare la nudità di Adamo e di Eva, la semplicità di vita.
Liberarci del superfluo, da tante sovrastrutture, inutili, che ci siamo messi addosso e appesantiscono il nostro cammino.
Liberarsi donando, come Gesù.

(Fonte: http://fabiociardi.blogspot.com)

venerdì 3 aprile 2020

Per dirgli il nostro grazie


Domenica delle Palme e della Passione del Signore (A)
Isaia 50,4-7 • Salmo 21 • Filippesi 2,6-11 • Matteo 26,14 - 27,66
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

È un dono, e un grande gesto di sapienza, sostare in ascolto e in contemplazione davanti alla Passione di Gesù. Il cuore si riempie di gratitudine.
Siamo stati introdotti attraverso la processione delle palme al vero significato di questo rito: all'entrata di Cristo nella Gerusalemme definitiva attraverso il trionfo della sua morte, un cammino che porta dalla croce fino alla gloria.
Ed in questo "passaggio" noi contempliamo il segno concreto ed estremo dell'amore di Dio per noi.

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Queste parole, le uniche che Matteo pone sulle labbra di Gesù morente, esprimono una desolazione estrema: è una solitudine senza misura. Anche il Padre sembra abbandonarlo completamente, come già nel Getsemani sembrava non rispondere all'invocazione «Se è possibile, passi da me questo calice».
Il Padre non interviene e sembra smentire, anzi condannare, tutto l'impegno di Gesù per i "poveri", quasi dando ragione ai capi del popolo. Di più: Gesù vive il dramma unico del "figlio" che si sente abbandonato da colui che egli considerava e chiamava il suo "Abbà". La morte, allora, appare come la rovina e il fallimento della "causa" stessa di Dio.
Più profondamente ancora, potremmo ricercare la ragione ultima del grido di Gesù nella scelta di "solidarietà" con gli uomini fino alle estreme conseguenze, fino al punto di sperimentare l'abisso della lontananza da Dio, in cui fa precipitare il peccato. Gesù lo condivide con tragica lucidità, trasformandolo però in amore: «Mentre si identifica col nostro peccato, "abbandonato" dal Padre, Egli "si abbandona" nelle mani del Padre» (san Giovanni Paolo II, NMI 26). Gesù fa suo il grido di tutti i poveri, i sofferenti, gli oppressi della storia. Fa suo il grido dell'umanità infelice e lo lancia verso Dio: non un grido di disperazione, ma di fiducia senza confini: «Il grido di Gesù sulla croce ... non tradisce l'angoscia di un disperato, ma la preghiera del Figlio che offre la sua vita al Padre nell'amore, per la salvezza di tutti».

Sulla croce c'è il dolore (ecco perché ogni uomo che soffre richiama quasi naturalmente il Crocifisso), ma - ed è paradossalmente l'altra faccia della stessa realtà - sulla croce c'è l'Amore: «Non i chiodi tennero Gesù sulla croce, ma l'amore» (Santa Caterina da Siena).
Gesù "agonizza sino alla fine del mondo", scrive Pascal. L'agonia di Gesù continua nella storia di ogni persona provata nel corpo e nello spirito, con una grande inattesa possibilità: di poter dare un volto "nuovo" anche a ciò che umanamente appare assurdo, di poter scoprire gli abissi sempre inesplorati dell'amore.

Siamo invitati anche noi a trovare il tempo per sostare ancora davanti alla sequenza che il Vangelo oggi ci presenta e, contemplando, sentirsi coinvolti ci porti con Paolo ad esclamare: «Egli mi ha amato e ha dato la sua vita per me!». Che cosa si aspetta da noi come risposta al suo amore?
«Ascolta chi è stato crocifisso! Ascoltalo parlare al tuo cuore! Ascoltalo, Lui che ti dice: "Tu vali molto per me!"» (san Giovanni Paolo II).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Davvero costui era Figlio di Dio (Mt 27,54)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Sei tu il re dei Giudei? (Mt 27,11) - (09/04/2017)
(vai al testo…)
 Padre, si compia la tua volontà (Mt 26,42) - (13/04/2014)
(vai al testo…)
 Obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2,8) - (17/04/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Morire d'amore è cosa da Dio (07/04/2017)
  Vegliare e soffrire con Lui (11/04/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2020)
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 3.2014)
  di Marinella Perroni (VP 3.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano