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venerdì 1 agosto 2014

Il poco condiviso sfama una moltitudine


18a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Avuta la notizia che Giovanni Battista è stato ucciso da Erode, «Gesù parti di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte». Desidera cautelarsi, ma soprattutto riflettere nella calma per capire quanto la volontà del Padre esige da Lui in questa nuova situazione. Sente anche il bisogno di un po' di riposo nella quiete e nella compagnia dei suoi amici, i discepoli.
Nel'episodio evangelico odierno, però, il programma salta a causa della folla, di fronte alla quale e a contatto con essa Gesù si lascia "giocare" dalla "compassione" (cf Mt 14,13-21).
È una «grande folla», allora, come anche oggi. È una società non soltanto divisa, ma anche malata. Una umanità affamata, di una fame molteplice; fame di cibo, ma anche e soprattutto di valori, di affetto, di libertà, di felicità. Fame di Dio.
Nel suo sguardo attento Gesù non rimane neutrale, insensibile, "sente compassione", sente "fremere e sconvolgere le viscere". È una compassione non emotiva e superficiale, ma reale partecipazione e coinvolgimento. È un immedesimarsi nella situazione dell'altro, un "patire-sentire insieme con l'altro". Una "compassione" che è attiva, che spinge Gesù a guarire i malati e poi a saziare la folla affamata.
Stupisce l'insistenza con cui Matteo presenta Gesù come il medico che risana i malati. Sta in questa attività una delle caratteristiche inconfondibili del Messia. A Lui sta a cuore tutto l'uomo, l'integrità totale della persona. Egli sa che la malattia tende a isolare le persone dalla vita sociale. Guarendo i malati intende reintegrarli pienamente nella società.
Gesù vuole innescare negli interlocutori una reazione a catena. Vuole contagiarci il suo sguardo di "compassione" coinvolgendoci: «Voi stessi date loro da mangiare». Come i discepoli, anche noi faremmo notare la sproporzione tra l'insufficienza e la scarsità dei mezzi a nostra disposizione e le necessità smisurate a cui occorre fare fronte: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci», non possiamo farci nulla.
Il seguito del racconto mostra che Gesù non opera magicamente, non parte da zero. Ha bisogno che qualcuno metta a disposizione quel poco che ha. Ha bisogno che qualcuno quel giorno rischi di saltare il pranzo perché condivide. Il primo miracolo, appunto, sta proprio nel sapere condividere. È un gesto che dà il via libera a Gesù: quel "poco" condiviso gli consente di sfamare una moltitudine.
Gesù, però, compiendo questo miracolo non intende soltanto sfamare la folla, ma anche e soprattutto creare e consolidare la comunione. In effetti, Egli non vuole che la gente si disperda. Così proponevano i discepoli, nel loro tentativo di disimpegno: «congeda la folla». Ma vuole mantenerla unita, mostrando con questo di essere il pastore di questo gregge, il pastore vero che raccoglie nell'unità una folla dispersa. Le prepara un banchetto, la riunisce intorno a sé trasformandola in una grande comunità conviviale, dove tutti, senza discriminazioni e differenze sociali, godono la libertà di stare insieme, di far festa, di vivere nella comunione con Dio e tra di loro.
È il significato ecclesiale del miracolo. Un'immagine viva della Chiesa, che Gesù vuole raccolta insieme come una sola famiglia. La Chiesa dove i Dodici - e i loro successori - continuano a distribuire la Parola e l'Eucaristia.
La "compassione" di Gesù, riflesso della misericordia del Padre, non verrà mai meno. La speranza cristiana, che attende la salvezza definitiva, ha il suo fondamento solidissimo nell'amore di Dio che si è fatto visibile in Gesù: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo?... Nessuna creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (cf Rm 8,35-39).



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Voi stessi date loro da mangiare (Mt 14,16)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


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