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lunedì 30 luglio 2018

Superare con l'amore la "debolezza" dei nostri limiti


"Rilettura", alla fine del mese, della Parola di Vita di luglio.

«Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9).

Dio può operare sulla nostra debolezza. Infatti, "Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti" (cf 1Cor 1,27).
"È quando sono debole che sono forte" afferma san Paolo (cf 2Cor 12,10). La nostra ragione si ribella ad una simile affermazione, perché vi vede una lampante contraddizione o semplicemente un ardito paradosso. Invece essa esprime una delle più alte verità della fede cristiana. Gesù ce la spiega con la sua vita e soprattutto con la sua morte.
Vista così la vita, si comprende che ogni contrarietà è un'occasione per una ulteriore crescita, che ogni ostacolo è una pedana di lancio per un amore più grande, più profondo, più vero. Ogni pregiudizio ed ogni paura vendono superati: con il dialogo possiamo andare incontro a quella speranza che va oltre le paure. I pregiudizi, infatti, nascono dal fatto che ci crediamo migliori degli altri. Pertanto, l'amore che si fa sacrificio, non fa distinzioni: la paura che ci impedisce di andare incontro all'altro può diventare una barriera seria; l'amore, invece, va oltre le apparenze e i sospetti: è una forza che supera pregiudizi e paure.
«Ti basta la mia grazia!». Ogni insicurezza va superata. Sono insicuro quando mi affido solo alle mie capacità. Queste sono sì importanti, ma devo nel contempo saper confidare anche nelle capacità degli altri e, soprattutto, nella fiducia in Dio. È Lui che manifesta la sua luce e ci aiuta a superare tutte le nostre insicurezze: «Coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).
Una delle nostre insicurezze è la paura di perdere la propria identità, per esempio nei confronti degli stranieri… Ma con Dio, che non fa differenza di persone, come non mettersi in cuore la fratellanza universale? Figli dello stesso Padre, possiamo scoprirci fratelli e sorelle di ogni uomo o donna che incontriamo.
Ma sappiamo bene che l'amore si rinnova in ogni momento, non è statico. Per questo, la "debolezza" dei propri limiti può essere superata con l'amore che ci rinnova in ogni momento. Solo perché la carità è partecipazione all'agape di Dio possiamo andare oltre i limiti naturali ed amare anche i nemici e dare la propria vita per i fratelli. Solo l'amore può far nuove tutte le cose: cambia il nostro modo di guardare il mondo per farcelo vedere con gli occhi di Dio: fidiamoci di Dio, Egli opererà sulla nostra debolezza, sul nostro nulla.
In ogni insuccesso, allora, possiamo individuare un possibile lato positivo. Non sempre la nostra razionalità o sensibilità è capace di coglier questa verità, soprattutto nelle difficoltà di dialogo. Nonostante i fallimenti è sempre possibile superare le sconfitte. Anche gli atleti, se si fermassero ai fallimenti e alle sconfitte non vincerebbero mai. Invece si preparano meglio per la gara successiva. Ogni fallimento è come un apprendistato: posso riprovare. Non ho amato o ho amato troppo poco? Posso ricominciare ad amare. Riconoscendo ed accettando la nostra debolezza, possiamo abbandonarci pienamente nelle braccai del Padre, che ci ama come siamo e vuole sostenerci nel nostro cammino.
Allora possiamo sbizzarrire la nostra fantasia nell'amare, come disarmarsi per essere liberi di amare. Quando nutriamo un grande affetto per qualcuno ci piace sorprenderlo con cose nuove… Sbizzarriamo la fantasia, inventiamo mille modi per renderci utili. La strategia migliore è domandarsi ad ogni situazione: cosa farebbe Gesù al mio posto? e Lui sa sorprenderci! E quando è Lui che agisce, possiamo star certi che compie opere che valgono, irradiano un bene durevole e vanno incontro alle vere necessità dei singoli e della collettività.
Nello sforzo di far proprie le necessità del prossimo, dobbiamo iniziare con piccoli gesti nella vita di tutti i giorni: fare attenzione alle piccole cose, piccole gentilezze con l'intenzione di amare il prossimo, salutare sempre, sorridere, far visita a chi è malato, congratularsi per i successi del nostro prossimo. Condividere, nella semplicità, la vita di ogni giorno, protesi nell'amare. In altre parole: accogliere in sé l'altro, a tal punto che le preoccupazioni e i bisogni degli altri diventino nostri, per giungere così ad una vera comunione di vita.
Anche se non sempre è così, saper riconoscere le proprie sconfitte con sano equilibrio. Tutti facciamo continuamente esperienza delle nostre ed altrui fragilità fisiche, psicologiche e spirituali… Ci sentiamo deboli e incapaci di risolvere tali difficoltà, persino di affrontarle, limitandoci al massimo a non far male a nessuno. In queste situazioni di sofferenza, di disagio e di fallimento, dobbiamo metterci davanti a Dio senza maschera, perché Lui conosce il nostro intimo e scruta i pensieri più nascosti. Non è un giudice spietato, ma un padre amorevole che vuole sempre il meglio per i suoi figli. Quando riconosciamo i nostri difetti e le nostre sconfitte con sano equilibrio e senza pretese, sentiremo la voce di Dio nel nostro cuore: «Ti basta la mia grazia: la forza infatti si manifesta nella debolezza».
Non scoraggiarsi quindi per le proprie fragilità, ma confidare prima di tutto in Dio. Egli agisce sempre nella nostra vita. La consapevolezza della nostra fragilità può scoraggiarci, ma la fede di non essere soli ci dà coraggio e forza per andare avanti. Perché con Dio, quando siamo deboli, siamo forti. Anche Gesù è stato più forte proprio quando è stato più debole. Gesù avrebbe potuto dare origine al nuovo popolo di Dio con la sola predicazione o con qualche miracolo… No, perché la Chiesa è opera di Dio ed è nel dolore e solo nel dolore che fioriscono le opere di Dio. Dunque nella nostra debolezza, nell'esperienza della nostra fragilità si cela un'occasione unica: quella di sperimentare la forza di Cristo morto e risorto.
Guardando a Gesù nel momento del suo abbandono, potremmo superare ogni difficoltà e costruire rapporti di reciprocità, di unità con gli altri. E irradiare il bene operando con generosità. Perché chi è generoso irradia il bene, agisce motivato dall'amore, non usando misure umane per valutare la generosità, ma usando la misura dell'amore, anche con piccoli gesti. La generosità non è quantitativa, ma qualitativa: va da cuore a cuore. Perciò, l'irradiazione del bene che ne deriva è silenziosa, ma efficace, frutto del nostro credere nell'aiuto di Dio. Infatti, "anche i capelli del nostro capo sono tutti contati" (cf Lc 12,7).

venerdì 27 luglio 2018

Condividere per moltiplicare


17a domenica del Tempo Ordinario (B)
2Re 4,42-44 • Salmo 144 • Efesini 4,1-6 • Giovanni 6,1-15
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Prese i pani … li distribuì
Con questa domenica si interrompe la lettura del vangelo di Marco (anche se continuerebbe con il racconto della moltiplicazione dei pani) e viene proposto il capitolo sesto del vangelo di Giovanni. La moltiplicazione dei pani è qualcosa di così importante da essere l'unico miracolo presente in tutti e quattro i Vangeli. Come mai, tra tutti i segni operati da Gesù, nessuno è raccontato per ben sei volte?
Inoltre, il vangelo non usa il termine "moltiplicazione", ma parla solo di "distribuzione", di pane e pesci messi in comune.
Il messaggio centrale del racconto, infatti, non va cercato nella "moltiplicazione", ma nella "condivisione".
Noi siamo affetti dalla smania di moltiplicare tutto ciò che è materiale: i soldi, la salute, gli anni della vita, le amicizie, i successi e, quando ci sentiamo incapaci di "moltiplicare", chiamiamo in causa Dio affinché lo faccia al nostro posto. Ma la smania di moltiplicare deriva dalla paura della morte e del fallimento; è segno di mancanza di fede.

Era vicina la Pasqua
Il brano evangelico inizia con una indicazione cronologica: "Era vicina la Pasqua". Non si tratta di una semplice informazione. Giovanni vuole che l'episodio venga letto nella prospettiva della grande festa della liberazione di Israele dalla schiavitù d'Egitto.
È evidente il parallelismo tra la moltiplicazione dei pani e gli avvenimenti dell'Esodo.
- Gesù, come Mosè, attraversa il mare: non compare alcuna barca, proprio come durante l'Esodo;
- Come Mosè, Gesù è accompagnato da un popolo numeroso. Durante l'Esodo, Mosè diede la manna e, come lui, Gesù sfama coloro che lo seguono.
Questi richiami hanno lo scopo di presentare Gesù come il nuovo Mosè, che inizia con l'umanità un nuovo Esodo: il passaggio dalla schiavitù alla libertà.
La meta del viaggio di Mosè la terra di Canaan, quella di Gesù è il regno di Dio. Non si tratta tanto del paradiso, dell'aldilà, ma anzitutto dell'aldiquà.

Dove potremo comprare il pane …?
È possibile creare questa nuova umanità? I dubbi, espressi dagli apostoli, rispecchiano le nostre perplessità.
Alcune proposte di soluzione sono molto umane ed arrivano a una conclusione: non è possibile sfamare tante persone. Il massimo che si può ottenere in questo mondo è una buona organizzazione sociale, ma è impensabile che la miseria possa essere sconfitta.
A questo punto Gesù propone la sua soluzione. Prende il pane, che gli è stato offerto, lo distribuisce e il prodigio avviene, realizzato dalla fede nella sua parola che è un invito alla condivisione, alla rinuncia a possedere e a conservare per sé.
Questa è la grande proposta di Gesù. Basta che gli uomini mettano da parte i loro egoismi, vincano la bramosia di possedere, che è la radice di tutti i mali (cf 1Tim 6,10), accolgano la logica del regno e mettano a disposizione dei fratelli ciò che hanno e il prodigio accade: tutti vengono sfamati e ne avanza.
È questo il modo con il quale Giovanni ricorda, alle sue e alle nostre comunità, che il problema del pane materiale è strettamente legato alla celebrazione dell'Eucaristia (il capitolo 6° continua appunto con il discorso sul "pane di vita"). Sarebbe un controsenso spezzare insieme il pane eucaristico e non condividere il pane materiale. "Allora Gesù prese i pani … li diede a quelli che erano seduti".

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede… (Gv 6,11)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo (Gv 6,9) - (26/07/2015)
(vai al testo…)
 Prese i pani e li diede loro (Gv 6,11) - (29/07/2012)
(vai al testo…)
 Gesù prese i pani e li diede a quelli che erano seduti (Gv 6,11) - (24/07/2009)
(vai al post "La soluzione della solidarietà")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Il "vero pane" sta nella condivisione (24/07/2015)
  Un pane condiviso (27/07/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 6.2015)
  di Marinella Perroni (VP 6.2012)
  di Claudio Arletti (VP 6.2009)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 20 luglio 2018

"Riposarsi" con Gesù


16a domenica del Tempo Ordinario (B)
Geremia 23,1-6 • Salmo 22 • Efesini 2,13-18 • Marco 6,30-34
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Venite in disparte e … riposatevi un po'
Dietro a questo "in disparte" ci può essere il senso del brano di oggi. Il servizio alla comunità (gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato), o tanti altri servizi, richiede a volte molto impegno, ma occorre superare il rischio di trasformarlo in attività frenetica, valutata secondo criteri di produttività aziendale.
L'invito al "riposo", da una parte, esprime tutta l'attenzione amorosa di Gesù alla dimensione "umana" del nostro agire, dall'altra è richiamo a scoprire il "come" del nostro fare: non vale anzitutto quanto si fa, ma il come lo si fa.
Prima di mettere in atto progetti, è necessario un confronto sincero con il Maestro: non si possono elaborare programmi senza un costante richiamo al Vangelo. Di qui il senso della preghiera, della meditazione, dalla riflessione comunitaria sulla Parola di Dio, della "pausa" domenicale nell'Eucaristia. Diversamente scelte ed iniziative rischiano di essere dettate da criteri umani: alle volte, dietro il paravento di opere caritative e benefiche, si nascondono obiettivi meno nobili, ambizioni, desideri di potere, vuoti da riempire.
Ciò che vale nel rapporto con Gesù ha un significato profondo anche nel rapporto tra noi: nella vita di coppia, di famiglia, di rapporti lavorativi… sono necessari momenti di "riposo" accompagnati da dialogo e confronto perché ciò che si vive non si trasformi in routine, in un dato scontato, in un riempire col "fare" mancanze di attenzione e di affetto (come dire: "io faccio tanto per te, e tu …!).

Ebbe compassione di loro … si mise a insegnare loro molte cose
L'incontro con la folla suscita in Gesù una reazione emotiva così forte che il verbo usato da Marco esprime un sentimento di tenerezza che rivela la profondità dell'amore di Dio verso la sofferenza e la povertà dell'uomo. Nell'emozione di Gesù, la comunità cristiana coglie l'unico sentimento che anche lei deve lasciar trasparire: sempre e solo misericordia.
L'episodio si chiude con un'immagine stupenda: "… ebbe compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore". Riprendendo l'immagine del pastore, Marco indica in Gesù la guida inviata da Dio, non quindi gli scribi, i farisei, i rabbini, i capi politici … perché costoro pascevano se stessi e non il popolo. Gesù è il vero pastore (modello di ogni autorità) perché rivela un cuore sensibile ai bisogni della gente, un cuore che subito percepisce di quale cibo hanno fame e di quale acqua hanno sete.
Per questo, è oltremodo interessante che la prima conseguenza della "compassione" non è il "fare" (cioè, dare da mangiare), anche se poi Gesù moltiplica i pani (cfr. domenica prossima), ma è l' "insegnare molte cose": aiutare a scoprire il senso di ciò che si è e si fa.
Il modo in cui si prendono decisioni, in cui si elaborano progetti, in cui si gestiscono crisi sociali e politiche nasce dalla visione con cui guardiamo alla "persona umana", alla convivenza dei popoli, alla storia.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù… ebbe compassione di loro (Mc 6,34)
(vai al testo…)

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Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Venite in disparte... e riposatevi un po' (Mc 6,31) - (19/07/2015)
(vai al testo…)
 Venite in disparte in un luogo deserto (Mc 6,31) - (22/07/2012)
(vai al testo…)
 Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù (Mc 6,30) - (17/07/2009)
(vai al post "Stare insieme a Lui")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Nella consapevolezza del nostro limite (17/07/2015)
  La vita con Gesù (16/07/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 6.2015)
  di Marinella Perroni (VP 6.2012)
  di Claudio Arletti (VP 6.2009)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)


venerdì 13 luglio 2018

"Trasmettere" il Vangelo


15a domenica del Tempo Ordinario (B)
Amos 7,12-15 • Salmo 84 • Efesini 1,3-14 • Marco 6,7-13
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Appunti per l'omelia

Chiamò i Dodici e prese a mandarli a due a due
Gesù chiama i discepoli a continuare la sua missione di portare il Vangelo a tutti.
Il cristiano è maturo e completo, quando ama Gesù e sente il bisogno di farlo conoscere a tutti: comunione e missione sono indivisibili.
Le nostre parrocchie sono missionarie? Si preoccupano di annunciare a tutti il Vangelo?
C'è un pericolo: dedicare la maggior parte del tempo e delle iniziative per chi è già cristiano senza uscire dal cerchio e senza preoccuparsi di chi è fuori o ai margini.
I Consigli Pastorali Parrocchiali hanno il compito di manifestare e far crescere la fedeltà al Vangelo e l'unità della parrocchia, che si esprime pure nell'attenzione a chi non viene in chiesa, alle famiglie in difficoltà o divise, alle famiglie giovani che chiedono i sacramenti per i figli, ai giovani che non credono più e che si preparano al matrimonio, a chi segue altre religioni.
Chiediamoci: Ci preoccupiamo di chi non crede, della formazione alla fede dei ragazzi e dei giovani, dei matrimoni che falliscono?
Siamo pronti non solo a metterci in lista per il Consiglio Parrocchiale, ma a cooperare perché svolga il suo servizio?


Entrati in una casa, rimanetevi
Gesù avverte di non correre in fretta dappertutto, ma di far maturare la fede dove si va, anche se sono pochi, un piccolo gruppo, una famiglia.
La famiglia è il luogo dove si inizia a trasmettere la fede alle nuove generazioni. Se i genitori non si fermano alle sole pratiche o tradizioni religiose, ma vivono il Vangelo in casa, la fede si trasmette ai figli prima e più di tante prediche.
Gesù chiede ai "missionari" di andare senza niente, perché il Vangelo annunciato e vissuto è la via per eccellenza per trasmettere la fede.
Se poi i genitori partecipano, si "coalizzano" per aiutarsi a trasmettere il Vangelo, i figli potranno trovare un ambiente che ancora di più li aiuta a incontrare Gesù.
In famiglia preghiamo insieme, leggiamo e parliamo del Vangelo della domenica?
Nel dare consigli o rimproveri in famiglia, facciamo riferimento a Gesù e al Vangelo?


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù chiamò a sé i dodici e prese a mandarli… (Mc 6,7)
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Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Gesù chiamò a sé i Dodici (Mc 6,7) - (12/07/2015)
(vai al testo…)
 Prese a mandarli a due a due (Mc 6,7) - (15/07/2012)
(vai al testo…)
 Chiamò a sé i Dodici (Mc 6,7) - (10/07/2009)
(vai al post "Continuare la sua missione")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Non annunciatori solitari (10/07/2015)
  Chiamati e inviati (13/07/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 6.2015)
  di Marinella Perroni (VP 6.2012)
  di Claudio Arletti (VP 6.2009)
  di Enzo Bianchi


(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 6 luglio 2018

Gesù, uno di "casa"


14a domenica del Tempo Ordinario (B)
Ezechiele 2,2-5 • Salmo 122 • 2Corinzi 12,7-10 • Marco 6,1-6
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Appunti per l'omelia

Mentre il vangelo della scorsa domenica era un inno alla fede, quello di oggi è segnato, invece, dalla "non-fede".

E si meravigliava della loro non fede
I suoi si meravigliano di Gesù, e si scandalizzano che la sapienza e l'azione di Dio siano presenti e attive in "questo" uomo, che ben conoscono.
Anche lui, a sua volta, si stupisce: venuto tra i suoi, non è accolto!
Con Gesù ci troviamo davanti allo scandalo di un "Dio fatto carne", che sottostà alla legge della fatica umana e del bisogno, del lavoro e del cibo, della veglia e del sonno, della vita e della morte. Lo vorremmo diverso. Ci piace condividere le prerogative che pensiamo sue; meno gradiamo che lui condivida le nostre, delle quali volentieri faremmo a meno.
Diciamo, a volte: "Se lo vedessi, se lo toccassi, gli crederei!". Eppure, i suoi l'hanno rifiutato proprio perché l'hanno visto e toccato - anzi, schiacciato. Noi abbiamo sempre la possibilità di inventarcene uno a misura delle nostre fantasie.

E che sapienza è mai questa?
La sapienza, attributo più alto di Dio, come può dimorare in "costui" che ben conosciamo? È lo scandalo della fede cristiana: nell'uomo Gesù, in tutto simile a noi, abita la pienezza della divinità. È la storia d'amore di Dio che ha voluto condividere la nostra debolezza e la nostra morte.
Le mani, che operano la stessa forza di Dio, hanno prima lavorato, hanno faticato per tutta la vita fino a quando sono state inchiodate sul legno della Croce.
La parola "falegname" sintetizza 30 anni di Nazareth, di quotidianità insignificante, di esistenza anonima. Non è forse così anche per tante persone che vivono nelle nostre case, nella normalità quotidiana?
La fede non è accettare che Gesù è Dio - il Dio che pensiamo noi! - ma accettare che Dio, il Dio che noi non pensavamo, è quest'uomo, Gesù. Quel Dio che nessuno mai ha visto, lui ce l'ha rivelato (Gv 1,18).
Lo scandalo della fede, uguale per tutti, è costituito dal fatto che la sapienza e la potenza di Dio parli e operi nella follia e nell'impotenza di un amore fatto carne, che sposa tutti i nostri limiti, fino alla debolezza estrema della croce. Infatti "fu crocifisso per la sua debolezza"(2Cor 13,4).
Nel brano di domenica scorsa abbiamo visto che la fede è "toccare". Ora vediamo "chi" tocchiamo. Tocchiamo Gesù, il falegname che finirà sul legno della croce, segno di contraddizione per tutti (Lc 2,34), ma potenza e sapienza di Dio che salva tutti. La fede è accettare proprio lui come "mio Dio e mio Signore".

Un profeta non è disprezzato se non…
Constatazione amara del rifiuto di Israele dietro il quale si profila quello dell'umanità.
A tutti può capitare di inciampare e cadere di fronte alla grandezza di un Dio che si fa piccolo e insignificante, di rifiutare un Dio la cui sapienza è la follia della Croce, che è la follia dell'amore.
Eppure, Lui può entrare nel "concreto" della nostra esistenza, perché si è fatto "carne", "storia" nella nostra storia, e farsi "luce" e vita della nostra "casa".

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria (Mc 6,4)
(vai al testo…)

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Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Impose le mani a pochi malati e li guarì (Mc 6,5) - (05/07/2015)
(vai al testo…)
 Si meravigliava della loro incredulità (Mc 6,6) - (08/07/2012)
(vai al testo…)
 Molto volentieri mi vanterò delle mie debolezze (2Cor 12,9) - (03/07/2009)
(vai al post "Nella debolezza, la forza")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  È nella vita ordinaria che Dio si manifesta (03/07/2015)
  La nostra incredulità (06/07/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 6.2015)
  di Marinella Perroni (VP 6.2012)
  di Claudio Arletti (VP 6.2009)
  di Enzo Bianchi


(Illustrazione di Stefano Pachì)

domenica 1 luglio 2018

Nella nostra debolezza la sua Grazia


Parola di vita – Luglio 2018
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9).

Nella sua seconda lettera alla comunità di Corinto, l'apostolo Paolo si confronta con alcuni che mettono in discussione la legittimità della sua attività apostolica, ma non si difende elencando i propri meriti e successi. Al contrario, mette in evidenza l'opera che Dio ha compiuto, in lui e tramite lui.
Paolo accenna ad una sua esperienza mistica, di profondo rapporto con Dio [1], ma per condividere subito dopo la sua sofferenza per una "spina" che lo tormenta. Non spiega di cosa si tratti esattamente, ma si capisce che è una difficoltà grande, che potrebbe limitarlo nel suo impegno di evangelizzatore. Per questo, confida di aver chiesto a Dio di liberarlo da questo impedimento, ma la risposta che riceve da Dio stesso è sconvolgente:

«Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».

Tutti facciamo continuamente esperienza delle nostre e altrui fragilità fisiche, psicologiche e spirituali, e vediamo intorno un'umanità spesso sofferente e smarrita. Ci sentiamo deboli e incapaci di risolvere tali difficoltà, persino di affrontarle, limitandoci al massimo a non fare male a nessuno.
Questa esperienza di Paolo, invece, ci apre un orizzonte nuovo: riconoscendo ed accettando la nostra debolezza, possiamo abbandonarci pienamente nelle braccia del Padre, che ci ama come siamo e vuole sostenerci nel nostro cammino. Proseguendo questa lettera, infatti afferma ancora: "È quando sono debole che sono forte" [2].
A questo proposito, Chiara Lubich ha scritto: "[…] La nostra ragione si ribella ad una simile affermazione, perché vi vede una lampante contraddizione o semplicemente un ardito paradosso. Invece essa esprime una delle più alte verità della fede cristiana. Gesù ce la spiega con la sua vita e soprattutto con la sua morte. Quando ha compiuto l'Opera che il Padre gli ha affidato? Quando ha redento l'umanità? Quando ha vinto sul peccato? Quando è morto in croce, annientato, dopo aver gridato: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato'.Gesù è stato più forte proprio quando è stato più debole. Gesù avrebbe potuto dare origine al nuovo popolo di Dio con la sua sola predicazione o con qualche miracolo in più o qualche gesto straordinario. Invece no. No, perché la Chiesa è opera di Dio ed è nel dolore e solo nel dolore che fioriscono le opere di Dio. Dunque nella nostra debolezza, nell'esperienza della nostra fragilità si cela un'occasione unica: quella di sperimentare la forza del Cristo morto e risorto […]" [3].

«Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».

È il paradosso del Vangelo: ai miti è promessa in eredità la terra [4]; Maria, nel Magnificat [5], esalta la potenza del Signore, che può esprimersi totalmente e definitivamente, nella storia personale e nella storia dell'umanità, proprio nello spazio della piccolezza e della totale fiducia nell'azione di Dio.
Commentando questa esperienza di Paolo, Chiara così suggeriva ancora: "[…] la scelta che noi cristiani dobbiamo fare è assolutamente in senso contrario a quella che si fa ordinariamente. Qui si va, veramente, controcorrente. L'ideale di vita del mondo in genere consiste nel successo, nel potere, nel prestigio… Paolo al contrario ci dice che occorre gloriarsi delle debolezze […] Fidiamoci di Dio. Egli opererà sulla nostra debolezza, sul nostro nulla. E quando è Lui che agisce, possiamo star certi che compie opere che valgono, irradiano un bene durevole e vanno incontro alle vere necessità dei singoli e della collettività" [6].

Letizia Magri

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[1] Cfr. 2Cor 11,1-7a
[2] Cfr. 2Cor 12,10
[3] Cfr. C. Lubich, La forza del dolore, Città Nuova, 44, [2000], 12, p.7
[4] Cfr. Mt 5,5
[5] Cfr. Lc 1,46-55
[6] Cfr. C. Lubich, Dio opera sulla nostra debolezza, Città Nuova, 26, [1982], 11/12, p.59.


Fonte: Città Nuova n. 6/Giugno 2018