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venerdì 29 novembre 2019

Verso l'incontro personale con Gesù


1a domenica di Avvento (A)
Isaia 2,1-5 • Salmo 121 • Romani 13,11-14a • Matteo 24,37-44
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Appunti per l'omelia

Mangiavano e bevevano
Si può correre il rischio di avere una condotta anche buona, ma di vivere il lavoro, il matrimonio, l'uso dei beni come fossero il tutto della vita; e di dimenticare che la vita ha uno sbocco finale. Più che di malvagità, si tratta della ricerca dello "star bene" e dell'incoscienza di fronte all'affare più serio, decisivo e, al tempo stesso, affascinante della vita: l'incontro con Gesù e, in lui, col Padre.
«Uno sarà preso e l'altro lasciato»: la sorte diversa, che riguarda certo l'aldilà, ma segna il cammino della storia personale e sociale, non dipende solo da "cosa" facciamo, ma da "come" lo viviamo. Ha una luce diversa il fatto di pensare la vita tutta racchiusa nell'oggi e il desiderio di un incontro costruito giorno per giorno con Lui. Allora occorre chiederci seriamente se il nostro modo di preparare e vivere il Natale è cercare veramente un incontro più vivo con Gesù. E chiediamoci: il pensiero del cosiddetto "aldilà" ci fa vivere con più radicalità, stupore e libertà gli impegni del cosiddetto "aldiquà"?

State pronti
Chi sospetta la venuta del "ladro" nella notte resta sveglio per difendere i beni. La certezza della "Sua venuta" ci fa scoprire la bellezza di un incontro che si rinnova ogni giorno: Lui non viene come il ladro che ruba gioia e libertà, ma come lo "sposo" che porta la gioia.
Gesù dice: «Chi mi ama, osserva la mia Parola». L'ascolto attento della Parola della domenica, la ripresa quotidiana di ciò che ci ha colpiti, lo sforzo per tradurla in vita ci fanno sperimentare questo "gioco d'amore". Fino all'esito finale: ciò che per anni abbiamo cercato e amato ci farà scoprire il "come in cielo" già vissuto "in terra".

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Anche voi tenetevi pronti (Mt 24,44)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Vegliate dunque! (cf Mt 24,42) - (27/11/2016)
(vai al testo)
 Anche voi tenetevi pronti (Mt 24,44) - (01/12/2013)
( vai al testo…)
 La nostra salvezza è più vicina (Rm 13,11) - (28/11/2010)
( vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Avvento: pronti, senza paura (25/11/2016)
  Il nostro vegliare operoso (29/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 10.2016)
  di Gianni Cavagnoli (VP 10.2013)
  di Marinella Perroni (VP 9.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Bernadette Lopez)

venerdì 22 novembre 2019

Regnare con la "potenza" dell'amore


34a domenica del Tempo ordinario (C)
Solennità di Cristo Re dell'Universo

2 Samuele 5,1-3 • Salmo 121 • Colossesi 1,12-20 • Luca 23,35-43
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Appunti per l'omelia

Salvi se stesso... salva te stesso... salva te stesso
I capi, i soldati, il malfattore sfidano Gesù a dimostrare che è Dio e Salvatore; scenda dalla croce e costringa chi lo rifiuta a riconoscere il suo torto. Ma è da questo che si riconosce Dio? C'è il pericolo di avere un'idea falsa di Dio: «Se Dio c'è, deve vincere sempre, imporsi, liberare dalla sofferenza, dare il bene ai buoni e il male ai cattivi; se non è così, non ci interessa".
Invece Gesù è "re" e manifesta la sua "potenza" proprio perché non scende dalla croce, non salva se stesso e ama anche se deriso. Fa vedere chi è Dio: è Uno che serve e muore per l'uomo, sua creatura e peccatore. La sua "potenza" si dimostra non nell'eliminare il malvagio, ma nel rinnovarlo dal di dentro, nel trasformare il male in bene, nel rispondere all'odio con l'amore, nel soffrire per e con i peccatori.
E noi accettiamo un Dio che non si difende, non castiga chi fa il male e non assicura protezione a chi lo serve? E di conseguenza, la fatica e le difficoltà hanno per me solo un senso negativo o piuttosto anche un valore positivo?

Gesù ricordati di me nel tuo regno
Il secondo malfattore riconosce Gesù come "re" a cui raccomandarsi. Vede che crede all'amore di Dio, che pur non interviene a salvarlo e lo ascolta dire: «Padre, perdonali perché non sanno ciò che fanno».
Capisce che in quell'uomo crocifisso si manifesta la potenza di Dio: solo Dio può amare così, solo chi è Figlio unico del Padre può avere una fiducia così.
E non chiede di essere liberato dalla croce, ma di "regnare" con Gesù e vivere come Lui. La salvezza non è non soffrire e avere benessere, ma amare sempre e sentirsi amati dal Padre. Essere compagni di croce con Gesù, vivere la Parola di Dio, soffrire per servire gli altri, sembra la via meno adatta a essere felici e invece porta "nel paradiso". Quando uno vive il Vangelo è con Gesù ed è questo stare con Gesù il "paradiso".

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù, ricordati di me... (Lc 23,42)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Gesù, ricordati di me... (cf Lc 23,42) - (20/11/2016)
(vai al testo)
 Oggi con me sarai nel paradiso (Lc 23,43) - (24/11/2013)
( vai al testo…)
 Benedetto colui che viene nel nome del Signore (Mt 11,9) - (19/11/2010)
(vai al post "Il nostro Re, lo riconosce chi ama")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Un Re che muore amando, che dona tutto se stesso (11/11/2016)
  Il Re che offre la sua vita (22/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2019)
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 9.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Illustrazione: Tiziano Vecellio, Gesù Cristo e il buon ladrone, (1565), Pinacoteca Nazionale di Bologna)

venerdì 15 novembre 2019

La storia nelle mani del Padre


33a domenica del Tempo ordinario (C)
Malachia 3,19-20a • Salmo 97 • 2 Tessalonicesi 3,7-12 • Luca 21,5-19
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Appunti per l'omelia

Badate di non lasciarvi ingannare
Luca scrive il suo vangelo verso l'anno 85 d.C. Dopo la morte di Gesù sono successi fatti tremendi: guerre, pestilenze, catastrofi. Come leggere questi segni? Alcuni dicevano: sono segni che dicono che la fine del mondo è vicina. Il Vangelo di oggi risponde a queste false attese e corregge l'interpretazione errata che veniva data alle parole di Gesù. Luca invita i cristiani a smettere di inseguire favole e a seguire, invece, l'unica cosa che deve interessare: Che cosa fare per collaborare alla venuta del nuovo mondo? È facile, di fronte alle situazioni di disagio, fare previsioni e stabilire date sugli ultimi tempi. Ma questa lettura non è da Dio.
Non seguiteli: è l'invito di Gesù a non seguire i falsi profeti (Testimoni di Geova, New Age, Avventisti…). Per descrivere il tempo che intercorre tra la sua venuta e la fine del mondo, Gesù usa un linguaggio apocalittico: terremoti, pestilenze, carestie, guerre… per dire ai discepoli che è imminente il passaggio fra due epoche della storia. Il suo è un annuncio di speranza… sta per spuntare l'aurora di un mondo nuovo. Ecco perché esorta i discepoli a non spaventarsi: "Non vi terrorizzate", "Quando incominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina". Apocalisse non significa "catastrofe", ma "rivelazione", svelamento (letteralmente "togliere il coperchio"). La Parola di Dio ci illumina e ci permette di leggere la storia, gli avvenimenti con gli occhi di Dio.

Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto
Quale sarà il segno che il Regno di Dio sta nascendo? Non i trionfi, non gli applausi, ma le persecuzioni. In queste situazioni difficili i discepoli potranno essere tentati di scoraggiarsi, penseranno di aver sbagliato tutto.
Mettetevi bene in testa di non preparare prima la vostra difesa: Gesù mette in guardia i discepoli dal pericolo di fidarsi dei ragionamenti e dei calcoli solo umani. La loro forza sta in ciò che gli uomini considerano fragilità e debolezza. Gesù, il buon pastore, darà loro una forza alla quale nessuno potrà resistere: la forza della verità, dell'amore, del perdono.
Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto: nonostante le apparenze contrarie, il Regno di Dio continuerà ad avanzare.
Quanto ascoltiamo oggi non si riferisce tanto a la fine del mondo, ma ci porta a scoprire "il fine" della storia umana. In questo tempo della Chiesa, siamo chiamati a vivere tre atteggiamenti:
- la testimonianza serena e coraggiosa;
- la perseveranza, l'amore vissuto di fronte agli ostacoli, alle difficoltà e alle prove della vita;
- l'impegno di ogni giorno, l'amore concreto nella quotidianità.
Tre stelle che illuminano il nostro cammino, per realizzare e raggiungere il fine della vita.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Avrete allora occasione di dare testimonianza (Lc 21,13)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita (cf Lc 21,19) - (13/11/2016)
(vai al testo)
 Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita (Lc 21,19) - (17/11/2013)
( vai al testo…)
 Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto (Lc 21,18) - (12/11/2010)
(vai al post "Oltre ogni paura")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Il male si vince con la perseveranza (11/11/2016)
  Nell'attesa di quel giorno (15/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2019)
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 9.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Illustrazione di Bernadette Lopez)

domenica 10 novembre 2019

Aldilà, il caso dell'«anima» fra immortalità e/o risurrezione


Nella domenica in cui la liturgia ci parla della morte e dell'aldilà, riporto un articolo di Gianfranco Ravasi del 23 settembre 2013 (tratto da Avvenire.it).
È interessante sottolineare che nel «Credo» noi professiamo la risurrezione della carne, non l'immortalità dell'anima.


Aldilà, il caso dell'«anima» fra immortalità e/o risurrezione

«Tra voi e il cielo non vedete altro che la pala del becchino». Così polemizzava il filosofo russo Piotr J. Caadaev (1794-1856) nei confronti del materialismo ottocentesco. Il guardare oltre la tomba è, invece, insito nel messaggio pasquale cristiano fin da quella significativa interpellanza rivolta dal messaggero divino alle donne nell'alba di Pasqua: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Luca 24,5). Da secoli la teologia cristiana cerca di andare oltre quella pala che seppellisce un cadavere e ha adottato sia la categoria biblica della «risurrezione» sia quella apparentemente alternativa della «immortalità» classica greca. Proprio per la sterminata complessità e articolazione di questa riflessione, ora ci accontentiamo solo di una sorta di nota interpretativa generale. Infatti, affacciarsi sull'aldilà è possibile, in sede teologica cristiana, solo a patto di «un energico sforzo intellettuale per non mummificare il pensiero in sepolcri concettuali e per cogliere della verità non le morte spoglie, ma la scintilla perennemente vivente», come suggeriva in modo un po' sontuoso ma efficace Andrea Vaccaro, uno studioso di filosofia e teologia nel suo bel volumetto Perché rinunziare all'anima? (Edb). Sicuramente è necessario e corretto operare una certa "deplatonizzazione" della visione cristiana tradizionale, operazione di pulizia condotta con vigore soprattutto da vari teologi protestanti tra i quali spiccano Karl Barth e Oscar Cullmann. Di quest'ultimo è significativo il breve saggio, pubblicato nel 1956 e accolto con successo, Immortalità dell'anima o risurrezione dei morti? (Paideia). Un interrogativo a dilemma, di cui è facile intuire la scelta compiuta dal teologo di Basilea. Tuttavia, non si può dimenticare neppure quello che osservava l'allora teologo Joseph Ratzinger nella sua Escatologia. Morte e vita eterna (Cittadella): «Il concetto di anima, quale è stato usato nella liturgia e nella teologia fino al Vaticano II, ha in comune con l'antichità altrettanto poco quanto il concetto di risurrezione. Esso è un concetto specificamente cristiano» e, proprio per questo, non può facilmente essere abbandonato o espunto dalla riflessione teologica. Tirando, allora, le fila del lungo itinerario teologico sull'oltrevita cristiano, riconoscendo le difficoltà di una sintesi che riesca a far combaciare prospettive differenti, potremmo tentare un bilancio molto essenziale. L'anima, nella tradizione cristiana, è stata sempre concepita come una realtà personale distinta, ma intimamente vincolata alla corporeità con la quale dà origine alla creatura umana. Neanche nella morte si assiste a una totale cancellazione di questo rapporto con la materia corporale, ma a una sua trasformazione, di difficile determinazione e descrizione. Il nesso è, infatti, trasferito su un nuovo piano ove cadono spazio e tempo e ci si inoltra nell'oltrevita, nell'eternità e nell'infinito, ove non c'è più né "prima" né "poi". Certo, noi che siamo ancora nell'aldiquà misuriamo tutto secondo queste scansioni successive. Abbiamo, perciò, bisogno di parlare di un giudizio particolare personale e individuale – ove si vagliano le scelte di ogni persona, dotata da Dio della qualità della libertà e, quindi, della responsabilità – al quale segue in molti casi un "tempo" di purificazione ed espiazione (purgatorio) per "poi" accedere al giudizio finale quando tutta l'umanità entrerà nel nuovo ordine delle cose. In realtà, questa trama successiva è frutto del nostro computo temporale, ed è per questo che il Catechismo della Chiesa Cattolica preferisce parlare di "stati" più che di luoghi o tempi, quando affronta l'escatologia. Oltre la vita terrena, infatti, c'è l'istante eterno e infinito in cui tutta la creazione è accolta e trasfigurata, giudicata e salvata, purificata e liberata. È ciò che con linguaggio poetico e simbolico descrive l'Apocalisse nella sua struttura generale o la Seconda Lettera di Pietro in questo paragrafo di taglio apocalittico: «Attendiamo e affrettiamo la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno. Poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pietro 3,12-13). Come si diceva, questo grembo che è l'eternità pervade e supera il tempo e il spazio, in attesa che la storia sviluppi il suo corso temporale e lo porti a compimento. L'anima si apre già all'eternità, il corpo ha già in sé il seme dell'eternità; entrambi, quindi, in forma diversa partecipano di quell'orizzonte luminoso, di quell'istante perfetto, di quel centro che tutto in sé assume e trasfigura. In questa luce potremmo dire che immortalità e risurrezione si compongono e non si contraddicono, corpo e anima si placano secondo il loro ordine e i loro gradi nell'armonia trascendente della nuova creazione, libera dal limite del tempo e dello spazio e, quindi, anche dalla morte. In quell'armonia, l'immersione nella storia e l'appartenenza alla materia, da un lato, e la vicinanza e la partecipazione a Dio e all'eterno, dall'altro, non si oppongono né si respingono, ma si coordinano e si placano. Ciò che è fondamentale nella visione cristiana è, dunque, la trascendenza a cui è destinata la persona, anima e corpo. Una trascendenza che è un eterno presente in cui noi, legati al tempo, abbiamo l'impressione di entrare quasi per gradi e stadi successivi. Andare oltre nella precisazione di questa realtà è rischioso ed è necessario conservare la cautela e l'umiltà della mente. Come scriveva il famoso teologo Karl Rahner nel suo saggio Sulla teologia della morte (Morcelliana): «Espressioni come "l'anima continua a vivere dopo la morte", "dopo la sua separazione dal corpo" e quelle che parlano della "risurrezione del corpo" non indicano necessariamente realtà diverse, ma sono soltanto modelli di rappresentazione diversi per indicare la medesima cosa, e cioè la definitività della storia dell'uomo portata a termine». A questa concordanza ci conduce non solo la visione del rapporto tra tempo ed eternità che abbiamo prima abbozzato, ma lo stesso linguaggio biblico, fondamentale per la fede cristiana. Anche se esso può essere illuminato e interpretato attraverso il contributo della cultura greca, la sua realtà rimane autonoma e specifica, come ad esempio ha sottolineato un importante esegeta dell'École Biblique di Gerusalemme, Marie-Émile Boismard nel suo studio La nostra vittoria sulla morte: «risurrezione»? (Cittadella): la vittoria sulla morte avviene in Cristo con un corpo di natura trasfigurata, come suggerisce san Paolo. Interessante a questo punto sarebbe proporre proprio la riflessione paolina la quale supera l'antitesi psyché-sarx, «anima-carne», variante di quella greca psyché e sôma, ossia tra anima e corpo, introducendo la categoria pneuma, «spirito», che è però da intendere in maniera nuova: si tratta, infatti, dello Spirito di Dio effuso nella creatura umana e, quindi, destinato a trasfigurare la realtà umana. Ma su questo tema è necessaria un'analisi specifica.

(Illustrazione di Bernadette Lopez)

venerdì 8 novembre 2019

Figli di un Dio vivente


32a domenica del Tempo ordinario (C)
2 Maccabei 7,1-2.9-14 • Salmo 16 • 2 Tessalonicesi 2,6-3,5 • Luca 20,27-38
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Appunti per l'omelia

… sono figli della risurrezione …
C'erano risposte diverse, al tempo di Gesù, riguardo la risurrezione dei morti:
i farisei credevano ed erano convinti che le gioie di questa vita venissero accresciute a dismisura nell'altra vita; in cielo non ci sono la fame, le malattie, le disgrazie…;
i sadducei sostenevano che nella Torah (gli unici libri che riconoscevano sacri) non ci fosse alcun accenno a questo argomento. Per questo si dichiaravano scettici (avevano talmente tanti soldi che il "paradiso" potevano già goderselo su questa terra!).
Che cosa risponde Gesù? «I figli di questo mondo prendono moglie … ma quelli giudicati degni della vita sono uguali agli angeli». Gesù non predica un risveglio dal sepolcro per riprendere la vita di prima: non avrebbe alcun senso morire, per poi riprendere lo stesso corpo. La persona umana mantiene la propria identità, in una condizione totalmente nuova. Non esistono due vite, la presente e la futura, ma un'unica vita che continua in forma completamente diversa.
La morte, intesa come annientamento della persona, non esiste; è stata distrutta dalla morte-risurrezione di Cristo.
Come sarà la vita con il Padre, il Verbo, lo Spirito?
Va evitato il rischio di proiettare nell'aldilà ciò che di positivo sperimentiamo nel cammino storico, moltiplicato all'infinito. Anche dietro a certe affermazioni, a certe preghiere di molti cristiani, si nasconde un'immagine di risurrezione simile a quella dei farisei.
Qualche mistico moderno si azzarda a descrivere l'aldilà dicendo che «noi in Cielo saremo Parola di Dio e nell'unità fra le nostre anime sarà l'armonia del Cantico nuovo che è il Vangelo formato dal Corpo Mistico di Cristo».

Dio non è Dio dei morti ma dei vivi
Come si può immaginare un Dio che crea gli uomini, stabilisce un'alleanza con loro, fa tante promesse, li difende dai loro avversari, si considera loro amico e poi un giorno li abbandona, lascia che scompaiano nella polvere, che ritornino nel nulla? Se Egli si comportasse in questo modo sarebbe autore di progetti di morte. Egli invece – dice Gesù – "non è il Dio dei morti ma dei vivi" perché da Lui tutti ricevono la vita. Egli è "l'amante della vita" (Sap 11,26), "non ha creato la morte e non gode la rovina dei viventi" (Sap 1,13).
Quante cose succedono nel corso dell'esistenza: nasciamo, cresciamo, ci innamoriamo, formiamo una famiglia, educhiamo dei figli; proviamo gioie e dolori, coltiviamo sogni e speranze… Poi un giorno tutto sembra concludersi nel nulla della morte, s'interrompono i dialoghi d'amore, gli affetti, i rapporti con le persone care. Davvero Dio ha creato l'uomo per un destino così crudele? Che cosa c'è rimasto di Abramo, Isacco e Giacobbe, soltanto il loro nome?
«La speranza cristiana - affermava Tertulliano - è la risurrezione dei morti; tutto ciò che noi siamo, lo siamo in quanto crediamo nella risurrezione».
E questo dà un volto nuovo ai rapporti tra noi: in Paradiso ci guarderemo tutti come "figli" e "figlie" dello stesso Padre, perché tutti creati ad immagine del Figlio, "per mezzo del quale tutto è stato creato". Per questo possiamo dire "come in cielo così in terra".

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Dio non è dei morti, ma dei viventi (Lc 20,38)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Tutti vivono per lui (cf Lc 20,38) - (06/11/2016)
(vai al testo)
 Dio non è dei morti, ma dei viventi (Lc 20,38) - (10/11/2013)
( vai al testo…)
 Dio non è dei morti, ma dei viventi (Lc 20,38) - (05/11/2010)
(vai al post "Dio dei vivi")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  È l'amore che vince la morte (04/11/2016)
  Figli della risurrezione (08/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2019)
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 9.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Bernadette Lopez)

sabato 2 novembre 2019

Gesù e il senso di noi stessi


31a domenica del Tempo ordinario (C)
Sapienza 11,22-12,2 • Salmo 144 • 2 Tessalonicesi 1,11-2,2 • Luca 19,1-10
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Cercava di vedere chi era Gesù
Nel Vangelo di Luca il "chi" non è soltanto indicativo, ma rappresenta la "qualità" della persona. Si potrebbe tradurre meglio "quale", come a dire: "Che cos'ha Gesù in più degli altri? Ha una risposta alla mia inquietudine?".
Le insoddisfazioni che ci portiamo dentro possono essere una base di partenza per incontrare Gesù. Cercare una felicità più grande, in definitiva, è cercare Dio: le creature, le cose non bastano!
Zaccheo traduce in concreto il suo desiderio: fa un gesto che gli costa fatica, supera il giudizio della gente,rischiando il ridicolo.
Ogni gesto, anche piccolo, che va controcorrente, che ci apre all'ascolto della Parola, al dialogo e al servizio, approfondisce l'incontro con Gesù e, in lui, con la verità: «Chi ascolta le mie parole, conoscerà la verità, e la verità vi farà liberi!» (cf Gv 8,31).

Io do la metà di ciò che possiedo ai poveri
È l'incontro con Gesù che cambia Zaccheo: scopre di essere amato, di essere "unico" agli occhi di Dio. Per questo si apre a un nuovo modo di usare i beni e alla gioia di condividerli. Il pentimento è conseguenza dell'incontro con Gesù. Gesù si propone come "senso" del nostro essere persone.
È un incontro personale e comunitario allo stesso tempo: ogni incontro con Lui trova pienezza nel «Dove due o più sono uniti nel mio nome» (cf Mt 18,20).
Qui è la bellezza della Chiesa: come un"grembo materno" dove nasce la vita e si capovolge il modo di vivere e di pensare, dove si ascolta e si vive insieme il Vangelo e ci si tratta come fratelli e sorelle.
La prova più sicura che abbiamo incontrato Gesù è l'instaurarsi di rapporti nuovi, la condivisione di ciò che siamo, spiritualmente e materialmente.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Zaccheo,… oggi devo fermarmi a casa tua (Lc 19,5)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua (cf Lc 19,5) - (30/10/2016)
(vai al testo)
 Oggi devo fermarmi a casa tua (Lc 19,5) - (03/11/2013)
( vai al testo…)
 Il Figlio è venuto a salvare ciò che era perduto (Lc 19,10) - (29/10/2010)
(vai al post "Vita che Dio non spegne")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Quello sguardo di Gesù che ci dona libertà (28/10/2016)
  L'incontro sorprendente con Gesù (02/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2019)
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

venerdì 1 novembre 2019

Condividere difficoltà e momenti di speranza


Parola di Vita - Novembre 2019
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12,15).

Dopo aver illustrato ai cristiani di Roma i grandi doni che Dio ha fatto all'umanità in Gesù e con il dono dello Spirito, l'apostolo Paolo indica come rispondere alla grazia ricevuta, soprattutto nelle relazioni tra loro e con tutti.
Paolo invita a passare dall'amore verso quelli che condividono la stessa fede a quello evangelico, verso tutti gli esseri umani, poiché per i credenti l'amore non ha confini, né può essere limitato ad alcuni.
Un particolare interessante: troviamo al primo posto la condivisione della gioia con i fratelli. Infatti, secondo il grande padre della Chiesa Giovanni Crisostomo, l'invidia rende molto più difficile condividere la gioia degli altri che non le loro pene.
Vivere così potrebbe sembrare una montagna troppo impervia da scalare, una vetta impossibile da raggiungere. Eppure, questo diventa possibile perché i credenti sono sostenuti dall'amore di Cristo, dal quale nulla e nessuna creatura potrà mai separarli (cf. Rm 8,35).

«Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto».

Commentando questa frase di Paolo, Chiara Lubich ha scritto: «Per amare cristianamente occorre "farsi uno" con ogni fratello […]: entrare il più profondamente possibile nell'animo dell'altro; capire veramente i suoi problemi, le sue esigenze; condividere le sue sofferenze, le sue gioie; chinarsi sul fratello; farsi in certo modo lui, farsi l'altro. Questo è il cristianesimo, Gesù si è fatto uomo, si è fatto noi per far noi Dio; in tale maniera il prossimo si sente compreso, sollevato» [1].
È l'invito a mettersi "nella pelle dell'altro", come espressione concreta di una carità vera. Forse l'amore di una madre è il miglior esempio per illustrare questa Parola messa in pratica: la madre sa condividere la gioia con il figlio che gioisce e il pianto con quello che soffre, senza giudizi e pregiudizi.

«Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto».

Per vivere l'amore in questa dimensione, senza chiudersi nelle proprie preoccupazioni, nei propri interessi, nel proprio mondo, c'è un segreto: rafforzare l'unione con Dio, il rapporto con Colui che è la fonte stessa dell'Amore. Si dice infatti che la chioma di un albero corrisponda spesso al diametro delle sue radici.
Così succederà anche a noi: se faremo crescere in profondità, giorno per giorno, il nostro rapporto con Dio, crescerà in noi anche il desiderio di condividere la gioia e portare i pesi di quanti ci stanno accanto; il nostro cuore si aprirà e diventerà sempre più capace di contenere quanto il fratello che ci sta vicino vive nel momento presente. A sua volta, l'amore al fratello ci farà entrare ancor di più nell'intimità con Dio.
Vivendo così vedremo un cambiamento negli ambienti dove siamo, iniziando dalle relazioni nelle nostre famiglie, scuole, posti di lavori, comunità, e sperimenteremo con gratitudine che l'amore sincero e gratuito, presto o tardi, ritorna e diventa reciproco.
È l'esperienza forte di due famiglie: una cristiana ed una musulmana, che hanno condiviso difficoltà e momenti di speranza. Quando Ben si ammala gravemente, Tatiana e Paolo sono in ospedale con sua moglie Basma e i due figli, fino alla fine. Anche se nel dolore per la perdita del marito, Basma è con i suoi amici cristiani a pregare per un'altra persona gravemente ammalata, con il suo tappeto rivolto verso la Mecca. Basma confida: «La gioia più grande è sentirsi parte di un solo corpo in cui ognuno ha a cuore il bene dell'altro».

Letizia Magri

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[1] C. Lubich, L'amore reciproco: nucleo fondamentale della spiritualità dell'unità, convegno degli ortodossi, Castel Gandolfo, 30 marzo 1989, p. 4


Fonte: Città Nuova n. 10/Ottobre 2019
(Immagine: Basma e Tatiana, da: https://www.focolare.org)