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mercoledì 28 marzo 2018

Partecipi della Sponsalità di Cristo


All'inizio di questo Triduo Santo vorrei riprendere alcuni pensieri dalle meditazioni che mons. Paolo Ricciardi, neo vescovo ausiliare di Roma (vedi il post "Servire, Rischiare, Scomparire") ha offerto al ritiro del clero della diocesi di Frascati, a cui ho partecipato. Filo conduttore il racconto evangelico delle Nozze di Cana, quale "luogo" privilegiato, in questo Triduo santo, per esprimere il rapporto sponsale di Cristo-Sposo con la Chiesa-Sposa e del sacerdote/diacono con la comunità che gli è stata affidata.

Giovedì Santo
La gioia del nostro essere sacerdoti/diaconi

Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli (Gv 2,1-2).

La nostra chiamata è una festa di nozze. Nello sfondo il racconto evangelico della lavanda dei piedi (cf Gv 13,1-15), Cristo-Sposo esprime, lavando, purificando nello Spirito i piedi della comunità/Sposa, la sua disponibilità al dono totale di sé fino alla fine. Egli congiunge a sé la comunità/sposa che il Padre gli ha dato, realizzando così "l'unica carne" nello Spirito.
Anche il sacerdote/diacono manifesta la propria sponsalità nella disponibilità al dono di sé, lavando i piedi come prova di amore e di perdono, determinato ad amare fino alla fine: "l'unica carne" come dono di sé.
Nella memoria del nostro "sì": felici di essere preti/diaconi così, in questo nostro stare con Gesù, nel nostro stare con la gente.


Venerdì Santo
La croce del nostro essere sacerdoti/diaconi

Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,3-4).

Nel nostro ministero la croce è sempre presente, con il suo percorso secondo le varie stazioni della Via Crucis, assieme a Cristo-Sposo. «Non hanno vino!»: Cristo-Sposo sperimenta la lontananza dell'umanità/sposa… Gli apostoli dormono, fuggono…
Sola sta la Donna/Madre insieme ad alcune donne e al discepolo.
È il momento culmine della fecondità di Cristo e della Donna, una fecondità universale. Cristo trafitto genera la nuova, definitiva, Chiesa-Sposa nel Sangue e nello Spirito.
Anche il sacerdote/diacono sperimenta solitudini e abbandoni, ritardi e stanchezze, dimenticanze e trascuratezze, nella fuga e nel tradimento…
Ma nel dono di un amore "testardo" e tenace sperimenta che c'è qualcosa di più forte della morte dentro la morte. Riscopre così una nuova fecondità nei sacramenti come dono del sacerdozio/diaconato e non come funzioni da svolgere: un amore nuziale dove i partners si generano a vicenda, dove Cristo ha bisogno di noi e viceversa, in questo nostro stare con le persone, peccatori come tutti.


Sabato Santo
Il silenzio del nostro ministero

Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo (Gv 2,5-7).

Siamo nel giorno santo del silenzio, "nell'attesa dell'evento", nell'attesa che quell'acqua (ma nessuno lo sa, forse la Madre ne intuisce la portata di ciò che il Figlio sta per compiere) diventi vino.
Cristo-Sposo nel "suo Silenzio", negli Inferi, va in cerca di Adamo ed Eva, la prima coppia umana, immagine della Sposa-umanità.
Anche il sacerdote/diacono sperimenta la sua notte. È la notte oscura in uno strano silenzio, nel disincanto, nelle crisi di rigetto. È una notte abitata dalla nostalgia e dal ricordo dell'amore della giovinezza. È la notte occupata dall'ansiosa attesa e nella ricerca affannata di Dio.
Nell'accettazione del nostro sabato santo, nell'attesa della Pasqua, crediamo che la "fatica" di riempire quelle anfore di seicento litri sarà alla fine ripagata. E nell'attesa facciamo visita a qualcuno che è nella notte oscura.



Notte di Pasqua
La pienezza nuziale del nostro essere sacerdoti/diaconi

Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora» (Gv 2,8-10).

È la notte nuziale della Chiesa, che si abbevera alle lettura dei testi liturgici della Veglia, benedicendo quel fuoco da cui prende luce il cero; quel cero che rende sacre le acque del fonte battesimale.
Cristo-Sposo, il Risorto, chiama ciascuno per nome, come ha fatto con Maria. In questo reciproco riconoscersi, in questo abbraccio, ritroviamo l'amore originario, nel nuovo giardino dell'Eden.
Anche il sacerdote/diacono si "ritrova" e si "ri-incontra". Anche noi, chiamati per nome, come il Risorto chiamiamo le persone a noi affidate per nome, nel loro vero nome, quello che Gesù stesso pronuncia. Allora, nel nuovo giardino dell'Eden, vediamo le ferite come spazio e amore rinnovato più grande.
È la notte luminosa, pienezza di Grazia per il giorno più bello che ci apre all'eternità.


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Vedi anche altri post a suo tempo pubblicati:
  Gesù abbandonato: mistero di Dolore e di Amore (12/04/2017)
  Il dolore e la sofferenza sono "solo" germogli di rinascita (23/03/2016)
  Pasqua, passaggio di Dio e passaggio dell'uomo (01/04/2015)
  Il mistero di quei tre giorni (18/04/2014)
  Il Servo di Jahwè (15/04/2014)
  Nati da quel Sangue (6/04/2012)
  Li amò sino alla fine (2/04/2010)
  Il nostro modello (30/03/2010)
  Nel deserto del mondo… (9/04/2009)
  Quel seme che muore per dar vita (6/04/2009)
  Il sepolcro vuoto (19/03/2008)


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