Il 10 maggio scorso è partito per il Cielo don Mario Bodega, della chiesa ambrosiana, di Lecco, da 10 anni parroco di San Vito a Loppiano (Incisa Valdarno, Firenze), la cittadella dei Focolari. Ho avuto la fortuna, anzi la grazia, di poter collaborare con lui per più di dieci anni, prima del suo trasferimento a Loppiano, nel "servire" i moltissimi sacerdoti e diaconi permanenti che nei vari continenti seguono la spiritualità di Chiara Lubich. È una di quelle grazie che lasciano un'impronta indelebile nell'anima. Perché la sua anima era un'anima accogliente, come Maria, dove ognuno si sentiva compreso, amato, e potevi sperimentare quella pace dentro che è dono dello Spirito. Ogni volta che gli si chiedeva come stesse, rispondeva semplicemente: «Sono contento!».
Il suo funerale è stato celebrato il 13 maggio, giorno della Madonna di Fatima, nel Santuario Maria Theotokos a Loppiano (vedi il video…).
Don Piero Coda, preside dell'Istituto Universitario Sophia a Loppiano, ha scritto questo articolo (che riporto di seguito) nel periodico Città Nuova: L' "Inno alla gioia" con l'armonica a bocca.
Non è facile, oggi, fare il prete. Di prestigio non ce n'è più neanche l'ombra, anzi! Quello che prevale, spesso, è piuttosto il sospetto, quando non la commiserazione. Eppure, di preti in gamba che non salgono agli onori della cronaca ma fanno il loro dovere con rigore testimoniando la gratuità e la bellezza del Vangelo, non di rado sino in fondo senza risparmiarsi, ce ne sono. E non pochi.
E quando li conosci da vicino, almeno un po', respiri un profumo evangelico genuino che tocca il cuore e lascia il segno. Qualcosa che ti dice: «Guarda che la cosa che vale e resta – l'unica vera e bella – è l'amore che metti dentro tutto quanto fai e vivi, soprattutto nelle relazioni con gli altri quando hanno più bisogno, l'amore che viene da Dio. L'Amore che è Dio».
Don Mario Bodega – per 10 anni parroco di San Vito a Loppiano – è uno di questi. "È" – mi viene spontaneo dire – perché lo sentiamo vicinissimo, anche se ci ha lasciato il 10 maggio scorso, a un anno preciso dalla visita di papa Francesco alla prima tra le cittadelle dei Focolari.
Don Mario aveva da poco festeggiato i 50 anni della sua ordinazione presbiterale ricevuta a Milano, lui nato a Lecco, «su quel ramo del lago di Como…», come amava ripetere citando il Manzoni. Il Parkinson che da qualche anno lo affliggeva senza minimamente piegarlo, gli stava impedendo via via di camminare e di parlare. E il papa – a cui era stato presentato con affetto da mons. Mario Meini, vescovo della diocesi di Fiesole, cui appartiene Loppiano –, abbracciandolo con trasporto, lo ha incoraggiato: «Continua a lavorare da seduto!».
Sì, don Mario ha continuato a lavorare "da seduto", ma con indomita energia spirituale. Sino al suo ultimo respiro, spendendo le risorse del suo cuore e della sua intelligenza, tutta intrisa ormai di sapienza nella quotidianità della vita e del ministero, per la sua gente, vicina o lontana che fosse. Negli ultimi tempi, non potendo più parlare, ma già prima – chissà da quando: si può pensare, suppongo, dalle sue scampagnate di giovane prete coi ragazzi dell'oratorio –, per dare espressione a quel qualcosa che, quando ha preso l'anima, si vorrebbe comunicare a tutti ma non si riesce, aveva trovato un modo tutto suo: tirava fuori dalla tasca l'armonica a bocca e suonava l'Inno alla gioia di Beethoven. Così fino all'ultimo. La sua vita di prete è stata questo: una sinfonia di gioia semplice e profonda, vera e bella, perché sempre pagata a caro prezzo con discrezione, una sinfonia ricca d'innumerevoli armoniche e condivisa con ognuno che ha incontrato e con cui ha percorso un tratto di cammino, soprattutto quando c'era di mezzo qualche lacrima, qualche prova, qualche sofferenza, qualche sospensione.
Quando s'è sparsa la notizia della sua morte, tra le tante spontanee attestazioni di affetto e gratitudine ne sono arrivate alcune dai giovani musulmani che, negli anni passati, hanno soggiornato a Loppiano per condividere la propria esperienza con giovani cristiani nel progetto Wings of Unity dell'Istituto Universitario Sophia. Uno scrive: «È stato abbracciato dalla Misericordia di Dio – l'amante si unisce infine al suo Amato. Possa Egli annoverarlo tra i Suoi servi più benedetti e concederGli la Sua vicinanza». Un altro: «Sarà sempre molto ricordato! Con l'aiuto di Dio voglio parlare di lui ai miei figli». E un altro ancora, rivolgendosi direttamente a lui: «Caro don Mario, in te abbiamo incontrato un volto della Misericordia di Dio. Che Dio benedica la tua splendida anima». Vien da pensare che la crisi che oggi investe la figura del prete è, forse, una purificazione. Un ritorno all'essenziale. Un riportare il servizio del prete, in mezzo alla gente, alla sorgente. Che è Gesù. Gesù con Maria. Perché torni a zampillare, come diceva papa Giovanni, anche nel tumulto della città, la fontana del villaggio che a tutti dispensa, gratuita e generosa, acqua limpida e fresca. Misericordia, luce, conforto, speranza.
Grazie, don Mario!
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