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venerdì 1 marzo 2013

Frutti di conversione


3a domenica di Quaresima (C)

Appunti per l'omelia

Nel brano dell'Esodo (Es 3,1-8.13-15) dove si narra della vocazione di Mosè, troviamo la manifestazione di Dio che lo chiama e gli affida la missione di essere suo strumento per la liberazione del suo popolo. E si presenta: Egli è Colui che è. È il "Vivente" e fonte della vita, l'unico che può salvare, in contrapposizione a quanti, ieri e oggi, sono ritenuti "dei", ma sono "idoli", cioè apparenza. Egli è per il suo popolo, è con lui, in una compagnia eternamente fedele.
A un Dio così i credenti sanno di potersi "convertire" e affidare con totale sicurezza.
Ma la conversione deve essere sincera. San Paolo ricorda (1Cor 10,1-12) l'esperienza degli Israeliti nel deserto sotto la guida di Mosè. Nonostante i doni abbondanti di cui beneficiarono, essi non rimasero fedeli a Dio. Il richiamo per noi cristiani è evidente. L'appartenenza ufficiale al popolo di Dio e i Sacramenti non ci "assicurano" magicamente per la salvezza. Occorrono fedeltà e vigilanza costante: "Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere".
Nel brano del vangelo di Luca (Lc 13,1-9), l'appello alla conversione che Gesù rivolge è forte e perentorio, non dà adito a scappatoie. Gesù pende spunto da due fatti di cronaca nera, da due tragedie, per contestare la concezione che la disgrazia è castigo per il peccato. È un modo di pensare che in un certo senso può far comodo e tranquillizzare la coscienza: questo male a me non è accaduto; quindi sono a posto. Una sua versione più moderna, un tentativo di trovare una spiegazione razionale dei fatti tragici e dolorosi consiste nell'interpretarli come frutto del caso o come effetto di meccanismi naturali o sociali, evitando di leggere tali fatti in profondità e di lasciarsi interpellare da essi. Per Gesù, invece, la disgrazia non è il segno del peccato, perché molte persone, non meno peccatrici delle vittime, non ne sono state colpite.
Tutti sono peccatori. Ma le disgrazie, di cui alcuni sono vittime, devono servire da avvertimento provvidenziale. Sono un richiamo a cambiare modo di pensare e di vivere, scuotendosi dalle illusioni e dalle false sicurezze.
Gesù rafforza il suo appello alla conversione con la parabola del fico sterile, ricco di fogliame ma senza frutti, che occupa inutilmente il terreno. Gli viene concesso un ultimo lasso di tempo: "Finché sei in tempo, convertiti!", smettila di voltare le spalle a Dio, ma volgi a Lui il tuo cuore.
La parabola sottolinea la pazienza del "padrone" che concede ancora tempo perché il fico produca frutti. È la pazienza del Padre che non si stanca di aspettare il ritorno dei figli e offre ancora l'opportunità per convertirsi. Ciò però non per giustificare il disimpegno, ma piuttosto per spingerci ad approfittare della sua misericordia.
Nell'intercessione del vignaiolo intravediamo Gesù che intercede in nostro favore e gioca interamente se stesso per portare il popolo a quella fedeltà operosa che Dio attende da lui. Dio infatti è interessato alla fecondità spirituale dei suoi fedeli, viene ogni anno a cercare i frutti, ma non ne trova. Cerca i "frutti" che sono la conversione concreta, la "fede che opera per mezzo della carità" (Gal 5,6). È il rapporto filiale con Dio che si traduce in una preghiera sempre più centrata su di Lui e nell'attenzione a compiere gesti d'amore sempre più perfetti.
È appunto l'amore, in tutta la ricchezza delle sue forme, il "frutto" per eccellenza dello Spirito (cf Gal 5,22).



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Venne nella sua vigna a cercarvi frutti (Lc 13,6)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


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