Mi vengono in mente, tra l'altro, i vari interventi fatti sull'argomento (per esempio: "Far vedere la novità del diaconato", 11/10/2008; "Vino nuovo in otri nuovi", 6/9/2008; o comunque i vari interventi segnati dall'etichetta "diaconato") in cui emerge la ricerca di farsi in qualche modo una ragione del proprio operato, ragioni che possono illuminare l'esercizio del mio ministero diaconale, che è spesso – come direbbe Giuseppe Bellia – obliato e povero di quello spirito profetico che lo rende attuale.
Le esperienze che si tentano di porre in atto nelle varie diocesi, lodevoli per molti versi perché si cerca di valorizzare il ruolo del diacono affidandogli incarichi di responsabilità e a volte di prestigio, sia a livello diocesano che parrocchiale, tuttavia non soddisfano, a mio parere, la spinta profonda e profetica che il ministero diaconale è chiamato a portare nella chiesa oggi.
Non è quindi una spartizione ed organizzazione di incarichi pastorali o una emergenza di supplenza per la mancanza di preti (che si deve anche fare), ma un vivere, assieme ai preti ed a tutta la comunità, una comunione che renda visibile al mondo, non una struttura ben organizzata, ma la possibilità dell'esperienza della presenza del Signore Risorto vivo ed operante nella comunità.
Ho scritto in un commento dell'11/10/2008 citato sopra ("Far vedere la novità del diaconato"): «La comunione si vive (e quindi crea una mentalità), non viene data a priori...
Il diaconato troverà una attenzione ed una attuazione consone solamente in una vita di chiesa in cui prima del dato istituzionale viene la vita di comunione, anche all'interno dell'istituzione.
Io sono convinto che le "novità" evangeliche non cadono mai dall'alto... nascono dalla base, creano un consenso, una stima, una vita... L'autorità poi, secondo il suo carisma, "ordina" questa vita esistente, dà indirizzi specifici... taglia, "pota perché frutti di più"... la fa propria... e diventa di tutti».
Nessun commento:
Posta un commento