"Gli uomini hanno preferito le tenebre" (Gv 3,19) Queste parole della conversazione di Gesù con Nicodemo (il quale raggiunge il Maestro di notte) sono sintomatiche di una situazione comune. Rileggo a questo proposito il commento di Caudio Arletti sulla Parola di domenica scorsa, 22 marzo.
"Nicodemo sceglie l'oscurità perché ha paura di rivelarsi come simpatizzante di Gesù davanti agli altri giudei. Dunque, la tenebra in quell'uomo non è solo esterna. La sua paura è il suo buio. Per questo Gesù esorta Nicodemo e ogni lettore del quarto vangelo a venire alla luce, sottraendosi alla tenebra. Si tratta di rinascere…, come il feto che quando esce dal grembo materno, viene alla luce". È un processo "tutt'altro che indolore", che esige riscoprire il proprio limite e la sua accettazione.
"Fare la verità comporta innanzitutto riconoscere e non rinnegare la propria ombra" e vivere l'esperienza del parto nuovo, sapendo che quando si viene alla luce si piange, come il bambino appena nato…
Se il processo non è indolore, tuttavia il suo evolversi, il nostro "fare la verità", ci apre una strada nuova.
"Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio" (Is 58, 9-10).
L'amore fa vedere; anzi io, perché amo, sarò luce che brilla nel buio. Anche ciò che in me non è luce si rischiarirà: la carità, infatti, "copre la moltitudine di peccati" (1Pt 4,8).
E sarò rinnovato e rinnoverò l'ambiente che mi circonda, pure esso avvolto dall'oscurità.
Se questo è per uno solo, cosa accadrà se questo UNO è formato dai "molti", resi "uno" dal Risorto presente ed operante in mezzo a loro? Così è di una comunità in cui la Parola ha preso forma umana.
Veramente la comunità diventa il vero soggetto di evangelizzazione, fermento di vita in un mondo che ama le tenebre.
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