Questo Blog continua nella nuova versione
venuto per servire
(clicca qui per entrare)


venerdì 8 novembre 2013

Figli della risurrezione


32a domenica del T.O. (C)


Appunti per l'omelia

Tra le domande più inquietanti che gli uomini portano nel cuore c'è la domanda sull'aldilà, sul dopo la morte, con gli interrogativi strettamente connessi: che senso ha la nostra esistenza sulla terra? La nostra vita avrà un futuro? Vale la pena fare il bene?
Al tempo di Gesù i farisei, seguiti dalla maggioranza del popolo, insegnavano che i morti risorgeranno. Concepivano, però, tale risurrezione in modo piuttosto grossolano come la ripresa e la continuazione della vita presente, con l'appagamento di ogni desiderio anche sul piano fisico. Ai farisei si opponevano accanitamente i sadducei, che negavano la risurrezione perché la Legge non ne parla, dato che accettavano solo i primi cinque libri della Bibbia. Partendo, appunto, da una prescrizione della Legge, che obbligava il fratello non sposato a prendere in moglie la cognata, qualora il primo marito fosse morto senza averle dato figli, questi sadducei propongono a Gesù il caso di una donna che ha avuto successivamente sette mariti... A chi di loro apparterrà nel mondo della risurrezione? Prospettando una situazione grottesca, mettono in ridicolo la fede nella risurrezione (cf Lc 20,27-38).
Gesù anzitutto smaschera e rifiuta la raffigurazione dell'aldilà quasi fosse un prolungamento, sia pure in meglio, dell'attuale condizione terrena, perché il futuro che Dio prepara al di là della morte sarà una realtà radicalmente nuova, una sorpresa assoluta del suo amore. Gesù infatti distingue «questo mondo» dall'«altro mondo». Sono due mondi successivi, l'uno diverso dall'altro. I «figli di questo mondo», cioè coloro che vivono nella situazione concreta e con tutti i condizionamenti di questa vita terrena, «prendono moglie e prendono marito», perché sanno di dover morire e quindi devono assicurarsi una discendenza. «Ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dei morti non prendono né moglie né marito», perché «non possono più morire».
I risorti «sono uguali agli angeli», i quali vivono al cospetto di Dio, totalmente persi in Lui, immersi nella sua felicità, e quindi liberi da ogni preoccupazione di vincere la morte. Così sarà dei risorti: parteciperanno pienamente alla vita di Dio, nella perfetta comunione fraterna. «Poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio»: con la risurrezione saremo manifestati pienamente quali figli di Dio, figli che partecipano della sua stessa vita con tutto il proprio essere anche corporeo.
La nostra realtà filiale, che ha la sua origine nel Battesimo, raggiungerà la sua perfezione con la risurrezione, in una vita di "risorti" già iniziata e poi proseguita lungo l'esistenza terrena. Solo chi ha incominciato a fare esperienza di "vita nuova in Cristo" può credere e aspirare alla risurrezione finale, che è essere con Lui e con Dio, nella famiglia di Dio, la Trinità. È questa una delle ragioni per cui oggi ci sono cristiani i quali, come i sadducei, non credono o dubitano che dopo la morte ci sia ancora la vita e vita piena. La risurrezione, infatti, come puro fatto "fisico" non ha senso. Solo intesa come esperienza di rapporto con Cristo e con Dio che, già vissuta ora imperfettamente, raggiungerà un giorno la sua perfezione beatificante, diventa immensamente desiderabile e fonte di speranza gioiosa per il credente.
Inoltre, se Dio si presenta a Mosè come il «Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe», è segno che mentre parla si sente in rapporto vitale con i padri morti ormai da centinaia di anni. Ciò significa che essi devono continuare a vivere misteriosamente in comunione con Lui. E sarebbe davvero strano che il Dio di Israele, "l'eterno Vivente", si associ a dei morti, quando Egli è la sorgente di ogni vita: «Dio non è dei morti, ma dei viventi»!
La risurrezione appare così non tanto come semplice fatto fisico e biologico, ma come la "vita di comunione" con Dio, al di là della nostra breve esistenza storica, che già ci ha permesso di incontrarci con Lui. Nella misura in cui ora viviamo una relazione profonda col Padre e tra fratelli, siamo in grado di intuire che cosa intende dirci Gesù quando ci parla della vita futura.
Inoltre, interpretando falsamente la frase di Gesù "Non prendono moglie né marito", c'è la tentazione di credere che nell'aldilà tutti i rapporti saranno livellati e appiattiti, come se le relazioni profonde che abbiamo intrecciato e consolidato tra amici e persone care fossero destinate a scomparire. In realtà nel Paradiso tutti i legami affettivi autentici, che hanno segnato l'esistenza in questo mondo, non soltanto rimarranno, ma saranno liberati da ogni condizionamento e limite: saranno vissuti nel massimo grado di perfezione e godimento. Se così non fosse, allora neppure Maria, la Madre del Salvatore, potrebbe avere quel rapporto tutto speciale che invece conserva ancora col proprio Figlio. Anche chi è morto, infatti, continua ad amare i suoi molto più di quanto li amasse durante la vita terrena.
È tonificante sapere che Gesù, durante la sua esistenza terrena, vedeva e sperava così il futuro suo e nostro. Ora che è risorto, ci assicura che il futuro, verso il quale camminiamo, porta il suo volto, è Lui nella sua gloria di risorto. Lui vivo in mezzo a noi, perché nel rapporto vissuto con Lui attraverso l'amore ci prepariamo a condividere con Lui la vita eterna.



-------------
Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Dio non è dei morti, ma dei viventi (Lc 20,38)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Vedi anche il post:
Dio dei vivi (7 novembre 2010)


Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


Nessun commento:

Posta un commento