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martedì 12 maggio 2020

Dalla pandemia all'epidemia della paura


Moltissimi cristiani sono tornati a pregare e implorare Dio per la liberazione e la fine del male
di Enzo Bianchi, Vita Pastorale, maggio 2020


Che cos'è successo? Dove siamo precipitati? Sono domande poste da credenti e non credenti, smarriti e a volte angosciati. Siamo stati colpiti dalla pandemia, ma c'è stata anche un'epidemia della paura. Le stesse chiese si sono trovate inizialmente esitanti e poi si sono espresse con voce tenue, consolatoria, sì, ma priva di una capacità di "guidare", discernere i segni dei tempi; senza una parola autorevole e performativa nei confronti dei fedeli e della gente. Ancora una volta, è stato papa Francesco, soprattutto con i suoi gesti, scaturiti dalla sua umanità profonda e dalla sua capacità profetica, a essere un riferimento affidabile, un intercessore presso il Signore, un pastore in mezzo al gregge.
Certamente questa emergenza merita il nome di apocalisse, nel suo autentico significato biblico: s'è alzato un velo ed è avvenuta una rivelazione sulla Chiesa stessa, sulla sua fede, sulla sua liturgia. E quando giungerà la fine della pandemia, occorrerà interrogarsi e fare una grande operazione di discernimento evangelico, senza il quale è inutile invitare alla conversione.
Confesso di aver sofferto molto in questo tempo. Innanzitutto per quelli, tra i quali alcuni amici, che sono stati colpiti dal virus; per quelli che sono morti soli, abbandonati e senza il conforto dei sacramenti. Ma ho sofferto anche per la vita della Chiesa che, insieme ad autentici atti di carità, per l'iniziativa di alcune persone ha assunto forme non adeguate. E, a volte, neppure degne della nostra fede cristiana. Dobbiamo confessarlo: è emerso che la riforma liturgica del Vaticano II ha cambiato i riti, ma non ha mutato le mentalità e, dunque, non ha fatto maturare i cristiani verso un "culto spirituale" secondo la Parola, nel quale si offrono a Dio i propri corpi in sacrificio vivente.
Le numerose celebrazioni tecnologiche e virtuali, celebrazioni eucaristiche in chiese vuote - "messe senza popolo e popolo senza messa"! - non sono state vie offerte con intelligenza. Non s'è detto, con chiarezza, che queste non potevano essere autentiche liturgie dei sacramenti, ma solo strumenti di devozione e aiuto alla preghiera personale. Mi rincresce dirlo: inutile istituire la "Domenica della Parola", se poi non si invitano i cristiani a cibarsi della Parola, anch'essa vero corpo di Cristo, quando diventa necessario il digiuno eucaristico. Inutile parlare di "assemblea celebrante" senza tenere conto della sua presenza nel celebrare, quando il Catechismo giunge a dire con audacia: «Tutta l'assemblea è liturgia» (1144). Perché i pastori non hanno, coralmente e unanimemente, invitato i fedeli a celebrare in famiglia una liturgia domestica della Parola, soprattutto nel triduo pasquale? E perché molte comunità piccole, anche religiose, hanno preferito seguire i riti in streaming piuttosto che celebrare la liturgia della Parola?
La Chiesa di Pio XII - ne sono testimone - non permetteva la celebrazione della messa senza che almeno un laico vi assistesse, a nome del popolo di Dio. Spero vi sarà la possibilità di esprimere queste perplessità e di sollevare queste domande nello spazio ecclesiale, per trovare strade di obbedienza alla Parola e alla grande tradizione. Qui comincio con l'affrontare uno degli aspetti più semplici, più visibili ma anche contestati in questa emergenza: che preghiera fare? E soprattutto: Dio interviene nella nostra vita?
In questo periodo moltissimi cristiani sono tornati a pregare e la Chiesa appare, più che mai, un popolo che implora Dio, chiedendogli la liberazione dal male e la fine della pandemia. Il Papa, i vescovi e i pastori si fanno intercessori e invitano i credenti a pregare nelle diverse forme possibili, in una situazione in cui la liturgia eucaristica comunitaria è diventata impraticabile. Sono riapparse forme di preghiera dimenticate, desuete, e soprattutto il culto mariano si mostra ancora capace di attirare molti fedeli. Di fronte a questo inaspettato impegno nella preghiera - nelle sue forme più devozionali, va riconosciuto - vi è chi grida allo scandalo, chi s'indigna giudicando tale preghiera un'ossessiva invocazione di un Dio ridotto a idolo, una smentita dell'immagine di Dio rivelataci da Gesù.

Secondo questi pareri, ciò che avviene nella liturgia della Chiesa di fronte al male sofferto sarebbe un abuso, un ritorno alla ripetizione pagana di parole che, in realtà, affaticano Dio. Non mancano quanti pongono nuovamente la sterile e stolta domanda: «Dov'è Dio?», nella loro incapacità di chiedere a sé stessi innanzitutto: «Dov'è l'umanità?». Molti tentano risposte intellettuali, astratte, e finiscono per giudicare l'invocazione della povera gente come fede infantile, più superstiziosa che fede autentica, pensata e adulta.
Diventa, dunque, urgente metterci in ascolto della Parola contenuta nelle Scritture e accettare di esserne illuminati. È, infatti, la parola di Dio che giudica ogni nostra preghiera, ogni nostra parola di risposta al Dio che per primo ci ha parlato e ci chiede di ascoltare la sua voce. Dimentichiamo facilmente che la preghiera cristiana è prima di tutto ascolto. Ma cosa ci dice questa Parola? Innanzitutto, che il nostro Dio s'è rivelato perché ha ascoltato il grido che saliva a lui dai figli di Israele oppressi in Egitto. Ha ascoltato il grido degli umani ed è entrato nella nostra storia; non è restato lontano, nel cielo, ma s'è fatto presente in mezzo a noi.
Ecco, dunque, che il Signore agisce, ma non senza di noi e con un'azione onnipotente che s'impone, modificando il funzionamento normale delle cose. No, agisce in noi affinché possiamo operare nella storia conformemente alla sua volontà. Per questo il Signore nostro è da sempre il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mosè, dei profeti: perché è in essi e attraverso di essi che egli è stato ed è l'Emmanue1e, il Dio-con-noi, colui che agisce nella storia. Il nostro Dio non si presenta come una forza esteriore che noi dobbiamo invocare per compiere ciò che non possiamo fare.
Che ne è allora della preghiera di domanda? Sappiamo bene che non possiamo domandare miracoli né segni, ma possiamo, anzi dobbiamo chiedere ciò che ci consente di vivere la nostra fiducia in Dio. Senza questa fiducia le nostre preghiere sarebbero superstizione. In verità - come avverte Paolo - noi non sappiamo cosa domandare al Signore, non sappiamo come pregare, ma lo Spirito santo, che è all'origine della nostra preghiera, con gemiti inesprimibili fa giungere il nostro grido a Dio, il quale guarda più al nostro cuore che alle nostre parole. Per questo Gesù ci ha invitato a pregare, a domandare, assicurandoci di essere esauditi attraverso il dono dello Spirito santo che agisce in noi con efficacia. L'angoscia che noi viviamo in certe situazioni ci fa innalzare preghiere che non sono illegittime, ma sono parole e gesti di fiducia nel Signore.
Dio è onnipotente nell'amore, perché non può mai intervenire se non attraverso un amore gratuito per tutti, buoni e malvagi, credenti e non credenti. I "fedeli credenti" nell'Evangelo possono pregare chiedendo a Dio di dare loro il pane quotidiano e di liberarli dal male. Dio ispirerà vie per procurare il pane quotidiano, per noi e per gli altri che sono nel bisogno, e ci spingerà a combattere contro il male per vincerlo. Così Dio agisce nelle nostre vite, perché è lui la sorgente della nostra resistenza al male. Sì, il nostro Dio non è un Dio cieco al quale aprire gli occhi; non è un Dio sordo al quale ridare l'udito. E il Dio che apre i nostri occhi e orecchi e ci rende capaci di amare come lui "è amore", nella cura e nel servizio dell'umanità, nella lotta contro il male.

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