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venerdì 8 maggio 2020

"Vedere" Dio come Padre


5a domenica di Pasqua (A)
Atti 6,1-7 • Salmo 32 • 1 Pietro 2,4-9 • Giovanni 14,1-12
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Domenica scorsa abbiamo meditato sulla figura del "pastore", e questo ci ha forse fatto scoprire, o per lo meno intuire, che c'è tutto un legame di vita, una sorta di connaturalità tra Gesù e noi, espressa in particolare dal verbo "conoscere": «Il pastore conosce le sue pecore... le chiama una per una… Le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce».
Ora lo stesso verbo è applicato al rapporto con il Padre: «Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Il rapporto d'amore che esiste tra Gesù e il Padre è qualcosa di talmente profondo che Gesù lo esprime come un fatto di "in-abitazione" reciproca: «Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?». E lo ribadisce: «Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me».
Entrare, allora, in rapporto d'amore con Gesù significa entrare all'interno stesso di questa comunione che lui vive col Padre: «… fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Perché, allora, il rapporto col Padre sembra a volte così difficile, perché ci sembra così difficile mettere Dio insieme a quello che capita? Probabilmente perché non è Gesù al centro di questo rapporto: continuiamo a pensare a Dio secondo gli schemi dell'Antico Testamento, secondo i quali Dio è una realtà inattingibile, fino al punto di dire che «non si può vedere Dio e restare in vita». Oppure immaginiamo Dio secondo schemi culturali che niente hanno a che fare con il cristianesimo. Pensare a Dio, ad esempio, come ad un essere solitario, chiuso nella sua beatitudine, non solo ce lo fa sentire estraneo, ma ci porta a guardarlo quasi come un antagonista, ci porta a sentire il rapporto con lui come qualcosa di conflittuale. Oppure, ci induce a credere in un Dio "ragioniere" che misura il conto tra meriti e demeriti.
Se sono vere le parole di Gesù, lo stesso rapporto che lo lega al Padre è il nostro: «Chi ha visto me ha visto il Padre». Gesù ha un unico termine per indicare Dio: Abbà, Padre (Papà, nella sua accezione più familiare). E quando insegna a pregare (e pregare significa mettersi in rapporto con Dio) non trova di meglio che metterci sulla bocca la parola: "Padre", e "Padre nostro".
Allora acquistano significato le parole che introducono il brano di questa Domenica: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me». Sono parole che seguono l'inizio del discorso di addio di Gesù ai discepoli nell'ultima cena: il contesto preannuncia una separazione, che avrà dei risvolti traumatici: ed è proprio in questo contesto che Gesù invita ad aver fiducia non solo in lui, ma anche nel Padre.
Il Padre, per Gesù, non è prima di tutto uno che lo manda a morire, ma è uno che gli prepara un posto: «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto».
Qualunque sia il contesto di separazione, di dramma, di morte (e questo può essere anche altamente istruttivo rispetto ala situazione che stiamo vivendo), l'ultima parola ad avere il sopravvento non è mai ciò che possono operare gli uomini o le circostanze di particolare sofferenza, ma è questo rapporto che lega Gesù al Padre e che, in lui, lega tutti noi al Padre: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io».
Eppure, tutto questo non è un motivo di rassegnazione, come a dire: «Lasciamo andare le cose come vanno, tanto non possiamo farci nulla, poi ci sarà questo bel posto», che chiamiamo il Paradiso. Il Padre non è uno che ci lascia al nostro destino, per poi darci la ricompensa rispetto a quello che non abbiamo avuto prima. È uno che in Gesù ci indica la strada per trasformare il corso delle cose. Proprio all'inizio di quel discorso di addio che Gesù dice: «Dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».
L'intervento di Dio nella storia non è quello di sostituirsi a quanto possiamo e dobbiamo fare noi, ma quello di illuminare il cammino di quella storia che noi stessi siamo chiamati a costruire.
La morte di Gesù ha immesso in questa storia un marchio incancellabile: l'uomo è capace di amare anche nelle situazioni più drammatiche. Occorre, da parte nostra, portare avanti la sua opera: «Chi crede in me, compirà le stesse opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre».
Si tratta di aiutarci tutti insieme a credere che esiste una forza più grande di tutto il resto: che è la forza dell'amore. Ogni gesto di amore vero compiuto, che arriva alla gratuità, al perdono, alla riconciliazione, al superamento di pregiudizi e di condanne, è un tassello per costruire un mondo secondo il sogno di Gesù.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (Gv 14,1) - (14/05/2017)
(vai al testo)
Vado a prepararvi un posto (Gv 14,2) - (18/05/2014)
(vai al testo)
Vado a prepararvi un posto (Gv 14,2) - (22/05/2011)
(vai al testo)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Gesù, la strada che ci porta a Dio: Guardare Gesù è capire Dio! (12/05/2017)
  Gesù, l'unica Via (16/05/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 5.2020)
  di Cettina Militello (VP 4.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 4.2014)
  di Marinella Perroni (VP 4.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Illustrazione di Bernadette Lopez: Gesù la Via)

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