Continuo le riflessioni sull'omelia che Benedetto XVI ha pronunciato Giovedì Santo (20 marzo 2008) in occasione della Messa in Coena Domini.
Gesù non ha solo parlato, non ci ha lasciato solo parole. Egli dona se stesso. Ci lava con la potenza sacra del suo sangue, cioè con il suo donarsi "sino alla fine", sino alla Croce. La sua parola è più di un semplice parlare; è carne e sangue "per la vita del mondo" (Gv 6, 51).
Abbassarsi a lavare i piedi sporchi degli altri con l’acqua purificatrice della Parola è donare se stessi, “carne e sangue”: in altre parole è “farsi uno”, farsi prossimo, essere l'altro... Se sono l’altro, ho dato me stesso, non sono. Questa è la radice della diaconia: non essere, per essere (essere amore).
Il diacono, quale “ministro del calice”, incarna nella sua vita questo dono di sé “per la vita del mondo2, perché tutti siano l’un per l’altro dono di sé, contribuendo così, quale sacramento di Cristo, alla fraternità universale.
Possiamo scorgere nell'avvenimento della lavanda dei piedi due aspetti. I Padri hanno qualificato questa duplicità di aspetti della lavanda dei piedi con le parole “sacramentum” ed “exemplum”. “Sacramentum”: il mistero di Cristo nel suo insieme, dall'incarnazione fino alla croce e alla risurrezione: questo insieme diventa la forza risanatrice e santificatrice, la forza trasformatrice per gli uomini, diventa la nostra “metabasis”, la nostra trasformazione in una nuova forma di essere, nell'apertura per Dio e nella comunione con Lui. Questo nuovo essere deve poi trasformarsi in noi nella dinamica di una nuova vita.
Questo “essere” di Cristo, rappresentato nell’abbassamento della lavanda dei piedi, è la mia nuova forma di “essere”; il modo di vivere di Dio.
È Dio che si abbassa, che si “svuota”, donando tutto Sé: Dio si dona, non dà qualcosa. In questo donarsi di Dio noi non restiamo destinatari passivi. Egli ci gratifica come “partner” personali e vivi.
L'amore donato è la dinamica dell'"amare insieme", vuol essere in noi vita nuova a partire da Dio.
"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13, 34). Il "comandamento nuovo" consiste nell'amare insieme con Colui che ci ha amati per primo.
La grandezza di Dio consiste nel discendere, nell'umiltà del servizio, nella radicalità dell'amore fino alla totale auto-spoliazione.
La cosa nuova è il dono che ci introduce nella mentalità di Cristo.
Avere "gli stessi sentimenti di Cristo" che svuotò se stesso fino alla natura di servo (cf. Fil 2,5).
Questo "essere" di Cristo, questo suo annullarsi per amore, è diventato, per il dono di Dio, il mio "nuovo essere": essere per gli altri. Come Gesù; essere "preso dentro", incorporato a Lui, essere Lui, per essere dono agli altri; e fare il dono di sé agli altri, affinché anch'essi siano "uno" in noi; e Dio sia tutto in tutti, già fin d'ora. Questo è essere diacono!
Man mano che nasce e si sviluppa questa fisionomia nuova nel prossimo, nella comunità, io scompaio: io sono gli altri, perso negli altri, anima della "nuova relazionalità" all'interno della comunità, segno sacramentale di Colui che è venuto per servire.
Il sacramento, pur essendo una realtà oggettiva, che ha valore in sé, rimanda sempre ad una realtà più grande, che lo fonda ed è la sua ragion d'essere.
Esso è mezzo, via, per raggiungere il fine: la mediazione, raggiunto il fine, scompare. E la realtà è l'incontro col Padre, nell'unità con i fratelli, fatti "figli", anzi fatti "figlio" (perché "uno"), nel Figlio.
La lavanda dei piedi. Il Signore lava a noi sempre di nuovo i piedi sporchi per poter sederci a tavola con Lui.
Tutto questo diventa "exemplum": "Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri" (Gv 13, 14).
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