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mercoledì 26 gennaio 2011

Diaconia politica, un miraggio?


Ho ripreso in mano il numero di luglio/agosto 2010 della rivista Il diaconato in Italia, dal tema Servire nel sociale e nel politico: una diaconia per l'uomo. Cercherò di riportarne gli articoli nella sezione Diaconato del mio sito di testi e documenti.
L'argomento è di estrema attualità. Ciò acuisce la sensibilità di chi è chiamato ad essere animatore della diaconia nella comunità cristiana ed oltre.

Giuseppe Bellia, direttore della Rivista, nell'Editoriale, dal titolo Diaconia politica, un miraggio? , scrive tra l'altro: «La diaconia politica è oggi una rara avis che volteggia molto in alto e assai lontano dai nostri luoghi che, per inerte convinzione, sono dichiarati liberali e culla della democrazia. Fino ad ora non si era mai assistito a un degrado della vita pubblica così accentuato, generalizzato e deprimente, accompagnato da un silenzio imbarazzato e persistente di chi in passato del servizio politico dei cattolici aveva fatto un impegno primario e quasi una bandiera. La confusione e lo sbandamento dei nostri cristiani sono evidenti e qui e là, con disagio e con profondo senso di amarezza, qualche lamento o qualche richiesta di lumi affiora anche nel prudente giornale cattolico, attento a non scontentare i potenti di turno, come si legge in una garbata e misurata lettera di un cristiano che in passato aveva fatto esperienza politica. (…)
Una presa d'atto della situazione politica difficilmente eludibile che spinge lo scrivente ad auspicare il "lancio di una campagna" per far maturare l'elaborazione di una "proposta culturale del laicato cattolico al servizio del Paese", ma non per creare o rilanciare una nuova organizzazione partitica d'ispirazione cristiana e nemmeno per fare approvare singole leggi vicine alla sensibilità morale dei cattolici e agli interessi clericali, ma "come una coscienza civile che si attiva", perché "c'è una politica della società che precede e motiva l'impegno nei partiti e nelle istituzioni". (…)
Il cristiano non è chiamato ad annunciare solo ciò che vive ma la verità di Dio nell'impotenza del crocifisso. Non dei supereroi sono stati i primi araldi del vangelo e confessori della fede ma dei deboli e inermi coscienti della loro fragilità e del loro peccato: gli apostoli erano quelli che lo avevano tradito e rinnegato. Per quanto paradossale è questa la base più solida di ogni vera evangelizzazione: anche la consapevolezza lucida e inescusabile della nostra fragilità non è d'ostacolo alla testimonianza profetica, perché la potenza è più nella natura della Parola che nell'attendibilità e affidabilità dei servi inutili. Certo la santità di vita dei testimoni favorisce l'accoglimento dell'evangelo, ma è la fede nella parola che trasforma i servi inetti in strumenti privilegiati della grazia. (…)».

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