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giovedì 1 ottobre 2020

Mettersi al posto che Gesù ha scelto per sé


Parola di Vita - Ottobre 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11).

I Vangeli ci mostrano spesso Gesù che accetta volentieri gli inviti a pranzo: sono momenti di incontro, occasioni per stringere amicizie e consolidare rapporti sociali.
In questo brano del Vangelo di Luca, Gesù osserva il comportamento degli invitati: c'è una corsa ad occupare i primi posti, quelli riservati alle personalità; è palpabile l'ansia di emergere gli uni sugli altri.
Ma Egli ha in mente un altro banchetto: quello che sarà offerto a tutti i figli nella casa del Padre, senza "diritti acquisiti" in nome di una presunta superiorità. Anzi, i primi posti saranno riservati proprio a quelli che scelgono l'ultimo posto, al servizio degli altri. Per questo proclama:

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Mettendo al centro noi stessi, con la nostra avidità, il nostro orgoglio, le nostre pretese, le nostre lamentele, cadiamo nella tentazione dell'idolatria, cioè dell'adorare falsi dei, che non meritano onore e fiducia.
Il primo invito di Gesù sembra quindi quello di scendere dal "piedistallo" del nostro io, per non mettere al centro il nostro egoismo, ma piuttosto Dio stesso. Egli sì che può occupare il posto d'onore nella nostra vita!
È importante farGli spazio, approfondire il nostro rapporto con Lui, imparare da Lui lo stile evangelico dell'abbassamento. Infatti, metterci liberamente all'ultimo posto è scegliere il posto che Dio stesso ha scelto, in Gesù. Egli, pur essendo il Signore, ha scelto di condividere la condizione umana, per annunciare a tutti l'amore del Padre.

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Da questa scuola impariamo anche a costruire la fraternità, cioè la comunità solidale di uomini e donne, adulti e ragazzi, sani e malati, capaci di costruire ponti e servire il bene comune.
Come Gesù, anche noi possiamo avvicinare il nostro prossimo senza paura, metterci al suo fianco per camminare insieme nei momenti difficili e gioiosi, valorizzare le sue qualità, condividere beni materiali e spirituali, incoraggiare, dare speranza, perdonare. Raggiungeremo il primato della carità e della libertà dei figli di Dio.
In un mondo malato di arrivismo, che corrompe la società, è davvero andare controcorrente, è una rivoluzione tutta evangelica. É questa la legge della comunità cristiana, come scrive anche l'apostolo Paolo: «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso» [1].

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Come ha scritto Chiara Lubich: «Osservi? Nel mondo le cose stanno in un ordine completamente diverso. Vige la legge dell'io […] E sappiamo quali sono le dolorose conseguenze: […] ingiustizie e prevaricazioni di ogni genere. Tuttavia, il pensiero di Gesù non va direttamente a tutti questi abusi, ma piuttosto alla radice da cui essi scaturiscono: il cuore umano. […] Occorre, per Lui, trasformare proprio il cuore e di conseguenza assumere un atteggiamento nuovo necessario per stabilire rapporti autentici e giusti. Essere umili non vuol dire soltanto non essere ambiziosi, ma essere consapevoli del proprio nulla, sentirsi piccoli davanti a Dio e mettersi quindi nelle sue mani, come un bambino. […].
Come vivere bene questo abbassamento? Attuandolo, come ha fatto Gesù, per amore dei fratelli e delle sorelle. Dio ritiene fatto a sé quello che fai loro. Dunque, abbassamento: servirli. […] E l'esaltazione avverrà certamente nel mondo nuovo, nell'altra vita. Ma per chi vive nella Chiesa questo rovesciamento di situazioni è già presente. Infatti, chi comanda deve essere come uno che serve. Situazione, dunque, già mutata. E così la Chiesa, ove si vivono le parole che abbiamo approfondito, è già per l'umanità un segno del mondo che verrà»
 [2].

Letizia Magri

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[1] Cf. Fil 2,3.
[2] C. Lubich, Parola di Vita ottobre 1995, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) pp. 564-565.

Fonte: Città Nuova n. 9/Settembre 2020

venerdì 25 settembre 2020

Lavorare nella vigna di "famiglia"



26a domenica del Tempo ordinario (A)
Ezechiele 18,25-28 • Salmo 24 • Filippesi 2, 1-11 • Matteo 21,28-32
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

I responsabili di Israele, sacerdoti e anziani del popolo, rifiutano Gesù e il suo messaggio, appellandosi alla fedeltà verso la Legge. Invece, i "trasgressori" della Legge, pubblicani e peccatori, ascoltano il suo annuncio e si convertono.
I primi, persuasi di essere fedeli alla volontà di Dio manifestata dalla Legge, in realtà rifiutano il suo disegno, che si sta attuando in Gesù: in nome dell'attaccamento alla Legge, tradiscono Dio. Prigionieri della loro falsa sicurezza, i maestri e le guide in Israele si rifiutano di convertirsi: sono il figlio maggiore della parabola.
È un'adesione formale, piena di rispetto, quella del secondo figlio, ma che "tradisce" la volontà del padre: si può professare la fede, recitare il Credo, sapere a memoria le verità rivelate e i Comandamenti, ma sul piano delle scelte concrete non attuare le opere che la fede richiede.
Nel figlio minore sono rappresentati gli uomini e le donne che non osservano la Legge, ladri, pubblicani, prostitute, ma hanno la fortuna di incontrare Gesù o, meglio, di lasciarsi "trovare" da Lui. Il suo messaggio è certamente più esigente della Legge, perché chiede un radicale cambiamento di vita, ma è incentrato sull'annuncio di un Dio che è Padre e attende e desidera abbracciare i figli perduti. Scoprendosi amati, essi accolgono ciò che Gesù rivela. Spesso chi sperimenta il freddo e il vuoto lontano da casa, scopre e gusta la gioia del rientro in famiglia più di chi ci vive dentro in modo abitudinario e superficiale. Se prima hanno detto "no", ora dicono un sì pieno alla volontà del Padre.
È la "conversione": «Ma poi si pentì e vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» (Mt 21,30a.31).
Il Vangelo e la storia della Chiesa sono pieni di questi personaggi che si sono "pentiti" e hanno assaporato la gioia del perdono e della vita nuova: Matteo, Zaccheo, Maria Maddalena…: "Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà" (Ez 18,28: cf. I lettura). I "giusti", invece, osservanti meticolosi della Legge, ritengono di non aver bisogno di conversione.
Allora, coloro che secondo la valutazione corrente sono i primi, possono diventare gli ultimi nel Regno di Dio che si fa presente in Gesù: «In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt21,31).

«Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna» (Mt 21,28): non è un padrone, ma un padre che si rivolge al figlio. Si tratta di lavorare nella vigna del padre, di famiglia: non è "la mia vigna", ma semplicemente "la vigna". Il campo, che è la Chiesa e il mondo, ci appartiene: in esso possiamo spendere il particolare "disegno" del Padre su di noi. La luce per scoprirlo la troviamo nel Vangelo, nei segni che provengono dai fratelli e dalle situazioni incontrate, nel vivere il "momento presente".
In definitiva, si tratta di essere addirittura come il Figlio: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù…» (Fil 2,5: cf. II lettura).
Il lavoro prioritario, in cui impegnarsi senza tregua, è la carità fraterna: l'accordo, la sintonia, l'unità in tutti i rapporti. Due vizi mortali la insidiano: "lo spirito di rivalità" e la "vanagloria". Si supera la vanagloria e lo spirito di parte "considerando gli altri superiori a se stessi" (cf. Fil 2,2-3: II lettura).

Forse anche noi ci lusinghiamo con le belle parole, le cerimonie riuscite, i programmi pastorali ben elaborati, ma lasciando mancare una ricerca seria, non priva d'inquietudine, di ciò che Dio vuole oggi da noi e dalla nostra comunità.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ma poi si pentì e vi andò (Mt 21,41)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 …ma poi si pentì e vi andò (Mt 21,41) - (01/10/2017)
(vai al testo)
 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? (Mt 21,31) - (28/09/2014)
(vai al testo…)
 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? (Mt 21,31) - (25/09/2011)
(vai al testo…)
 Ciascuno consideri gli altri superiori a se stesso (Fil 2,3) - (26/09/2008)
(vai al post "L'umiltà del servizio")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Dio crede in noi, sempre (29/09/2017)
  Fare la volontà del Padre, sull'esempio di Gesù (26/09/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Il figlio che pentitosi va nella vigna, di Bernadette Lopez)

venerdì 18 settembre 2020

L'invidia non coglie la gratuità


25a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 55,6-9 • Salmo 144 • Filippesi 1,20c-24.27a • Matteo 20,1-16
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Tu sei invidioso perché io sono buono?
La giornata lavorativa era di dodici ore: dall'alba, circa le sei del mattino, al tramonto, verso le sei di sera. Con gli operai incontrati all'alba, il padrone si accorda per la paga "giusta", oggi diremmo "sindacale". Al termine della giornata si verifica qualcosa di strano: gli operai che hanno lavorato un'ora soltanto ricevono la stessa paga dei primi. Sembrerebbe naturale il disappunto e l'accusa di "ingiustizia" rivolta al padrone.
Ma è sorprendente la risposta: «tu sei invidioso - letteralmente: il tuo occhio è cattivo - perché io sono buono?». È il messaggio centrale della parabola.
Le scelte di Gesù in favore di quanti non contano provocano le critiche aspre degli osservanti, farisei e scribi: Gesù mette sullo stesso piano peccatori e giusti, ecco l'ingiustizia! Ma il Padre ha un modo di agire imprevedibile, fuori schema, che non può essere giudicato secondo i criteri umani («I miei pensieri non sono i vostri pensieri», cfr. I lettura). La condotta di Dio rivela una "giustizia" superiore. Se dà un salario uguale per un lavoro disuguale, ciò non significa che gradisce meno l'impegno di chi lavora tutto il giorno.
La ragione ultima del suo modo di agire? «Io sono buono». La bontà di Dio supera i parametri della retribuzione "dovuta": questo non vìola la giustizia, ma la realizza in modo più pieno. In altri termini, la "ricompensa" divina non è qualcosa che mi spetta per diritto, ma è un dono totalmente gratuito: in definitiva, è "Dio che si dona", chi può meritarlo? Di fronte a questo amore, che è totale gratuità, non ha senso essere "invidiosi".
Allora, a Dio poco importa se uno lavora e si impegna? Basta pensare alla parabola dei talenti (Mt 25, 14-30), per capire che non è così: ogni minimo gesto d'amore lo incanta. Il Padre però ama tutti, guarda a ciò che ciascuno è capace di dare, e vuole che i suoi condividano la sua benevolenza.

Li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata…
Ciò che Gesù smaschera è l'egoismo e l'orgoglio che si nascondono dietro l'apparente esigenza di giustizia: «li hai trattati come noi». È la posizione di privilegio che si rivendica e non tollera che altri la condividano: quasi che il valore e il prestigio personale risaltino meglio finché gli altri rimangono un gradino sotto. È la mentalità che capovolge l' "ama il prossimo tuo come te stesso" e nega praticamente il legame fraterno che unisce i membri della comunità cristiana ed umana.
Il principio della "gratuità" contesta una concezione di Dio e del mondo propria dei farisei di tutti i tempi: un sistema di relazioni fondato sul "merito", in cui il favore di Dio si compra e ogni uomo vale quanto valgono le sue prestazioni. Un mondo in cui chi sbaglia deve "pagare" duramente, altrimenti non vale la pena fare tanti sforzi per essere "giusti". In realtà, tale mondo, che non dà spazio alla misericordia e alla gratuità, si rivela "dis-umano".
Non possiamo fare calcoli con Dio, insegnandogli che cosa deve dare a noi e agli altri: d'altra parte, chi è in grado di misurarlo? Piuttosto, sapremo riconoscere con stupore e gratitudine tutto ciò che ci dona, mentre ci rallegreremo di ogni gesto della sua bontà, anche quando non riguarda direttamente noi, ma i fratelli.

"Padre, apri il nostro cuore… perché comprendiamo l'impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino" (II Colletta).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Andate anche voi nella mia vigna (Mt 20,7) - (24/09/2017)
(vai al testo)
 Sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15) - (21/09/2014)
(vai al testo…)
 Sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15) - (18/09/2011)
(vai al testo…)
 Andate anche voi nella vigna (Mt 20,7) - (19/09/2008)
(vai al post "Anche noi chiamati")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Il Dio che viene a cercarmi anche quando si sarà fatto molto tardi (22/09/2017)
  La gratuità di Dio (19/09/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
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(Immagine: Andate anche voi nella vigna, di Bernadette Lopez)

domenica 13 settembre 2020

Percorsi diaconali per una conversione pastorale






Il diaconato in Italia n° 221
(marzo/aprile 2020)

Percorsi diaconali per una conversione pastorale
«Una Chiesa missionaria in uscita richiede una conversione pastorale… basata sulla sinodalità, e una rete al servizio dell'evangelizzazione» (Documento finale del Sinodo sull'Amazzonia, 20)





ARTICOLI
Verso la città santa (Enzo Petrolino)
La conversione pastorale cuore del rinnovamento voluto dal Concilio (Gualtiero Bassetti)
La parola di Dio in tempo di epidemia (Giulio Michelini)
La pandemia e il cambio d'epoca (Massimo Naro)
Vino nuovo in otri nuovi (Luigi Vidoni)
Gesù ci chiama alla conversione (Lorenzo Zani)
Sul sagrato di piazza San Pietro, il 27 Marzo 2020 (Papa Francesco)
Percorsi diaconali per una conversione pastorale (Enzo Petrolino)
Essere cristiani oggi: se il cristianesimo fa la differenza (Timothy Radcliffe)
Una verifica del percorso fatto (Andrea Spinelli)
Dal servizio ministeriale a quello pastorale (Francesco Giglio)
Spiritualità nuziale per il ministero diaconale (Luca Garbinetto)

Il momento favorevole (Omelia: Mario Delpini)
Fermatevi e sappiate che io sono Dio (Lettera: Mauro Giuseppe Lepori)


(Vai ai testi…)

venerdì 11 settembre 2020

Perdonare: debolezza o sapienza?


24a domenica del Tempo ordinario (A)
Siracide 27,30-28,7 • Salmo 102 • Romani 14,7-9 • Matteo 18,21-35
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Appunti per l'omelia

Quante volte dovrò perdonare … fino a sette volte?
Pietro ha capito che è necessario perdonare, ma pensa che tale obbligo abbia un limite. "Sette" indica pienezza, perfezione: in pratica, devo perdonare proprio tante volte? Non tante volte, precisa Gesù, ma ... fino a settanta volte sette, un numero illimitato di volte.
Finché l'attenzione si concentra sul rapporto tra uomo e uomo, può apparire senza senso perdonare il torto ricevuto. Gesù, invece, sposta l'attenzione sulla relazione tra Dio e l'uomo.

Diecimila talenti sono una somma da capogiro, oggi diversi milioni di euro. Ma il re «si è impietosito» del servo debitore: un verbo ricorrente nel Vangelo, che esprime una compassione viscerale, profonda.
Sarebbe spontaneo immaginarsi non solo lo stupore e la gratitudine verso il padrone, ma anche la disponibilità ad esprimere pari generosità. Chi ha fatto e continua a fare l'esperienza della misericordia inaudita di Dio, come può non usare misericordia a chi è in debito con lui? Un debito che è sempre qualcosa di non paragonabile a ciò viene condonato: la sproporzione è abissale. Cento denari sono la cinquecentomillesima parte di ciò che il padrone ha condonato.

I nostri comportamenti e le nostre reazioni interiori non sono forse tante volte "fotocopia" dell'atteggiamento del servo "spietato"?

Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?
All'interno di una breve frase il verbo "aver pietà" ricorre per caratterizzare sia l'agire di Dio che l'agire dell'uomo. La misericordia di Dio diventa la fonte, il modello e il motivo del perdono che siamo chiamati ad offrire al fratello. È la stessa logica del "Padre nostro": «perdona a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Il perdono, come l'amore, è una corrente che, quando investe, non può essere arginata dalla nostra grettezza e meschinità.

La parabola è come un grande commento alla quinta domanda del Padre nostro.
Non nel senso che Dio ci perdona tanto quanto noi sappiamo perdonare al fratello: il nostro "debito" verso Dio è immensamente più grande.
Neanche nel senso che Dio sia tenuto a perdonarci: il perdono di Dio rimane assolutamente gratuito. Nel senso, invece, che poniamo le condizioni perché il perdono di Dio ci possa raggiungere: se perdoniamo, è segno che ci sentiamo peccatori riconciliati, che il perdono del Padre ci ha rinnovato il cuore e ci ha resi capaci di perdonare a nostra volta.

La comunità cristiana è il luogo dove i rapporti tra fratelli sono permeati e trasfigurati dalla misericordia. Non c'è nessuno che sia soltanto creditore o soltanto debitore.
Ogni volta che volere il bene dell'altro appare impossibile o costa troppo ristabilire il rapporto, il pensiero della misericordia del Padre è l'unico che può aiutarci a dare una "svolta" al nostro cuore.
Questo ha un valore che va al di là della comunità cristiana: questa è segno e simbolo di ciò che è chiamata ad essere l'umanità. Nel proliferare attuale di guerre e conflitti, come può risuonare la parola del Vangelo?

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Vedi anche: Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,22)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Il padrone ebbe compassione di quel servo (Mt 18,27) - (17/09/2017)
(vai al testo)
 Quante volte dovrò perdonargli? (Mt 18,21) - (11/09/2011)
(vai al testo…)


Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Perdonare: acquisire il cuore di Dio, fare ciò che Dio fa (15/09/2017)

Vedi anche il post:
  Il perdono, ricchezza di Dio (10/09/2011)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 8.2020)
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Perdonare sempre, di Bernadette Lopez)

venerdì 4 settembre 2020

La potenza dell'unità


23a domenica del Tempo ordinario (A)
Ezechiele 33,1.7-9 • Salmo 94 • Romani 13,8-10 • Matteo 18,15-20
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Oggi e domenica prossima il Vangelo propone alcune regole di vita comunitaria: Gesù indica come si vive all'interno della famiglia, che fa riferimento al Padre.
Ogni membro è prezioso agli occhi del Padre, in particolare i "piccoli", i cristiani più fragili, a rischio di venir meno nella fede. Tutti devono sentirsi responsabili che nessuno si perda. Non possiamo mai dire di un fratello: "Si arrangi!".
Se la Chiesa è una famiglia, dove si è legati l'uno all'altro, quando «tuo fratello commette una colpa», scatta l'operazione "ricupero", che non tralascia nessun tentativo.
Anzitutto il dialogo personale: «ammoniscilo fra te e lui solo». Una "correzione", motivata dall'amore e fatta con amore, può avere un risultato positivo: «egli ti ascolterà» e allora «avrai guadagnato tuo fratello».
Ma se l'iniziativa personale fallisce, non è una ragione per fermarsi: si possono coinvolgere altre persone e, se non basta, «dillo all'assemblea», alla Chiesa, perché l'intera comunità, in una "congiura" d'amore, si impegni per lui.
Tutto esaurito? Sembrerebbe di sì, ad una lettura immediata delle parole di Gesù: «Se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano», escluso dalla comunità.
I pubblicani e i pagani non si sottomettono alle regole in vigore nella comunità giudaica, per questo sono esclusi: tuttavia, Gesù li cercava e aveva molteplici relazioni con loro.

Al di là di ogni procedura ufficiale, vale qualunque altro tipo di approccio: l'amore sa inventare tentativi illimitati ed efficaci, pur di far breccia sul fratello colpevole.
Anche il "legare e sciogliere", tipico della comunità guidata dai suoi responsabili, il dichiarare un membro colpevole o il riammetterlo col perdono, rientra nelle attività volte a ricuperare i fratelli, coinvolgendo l'intervento di Dio stesso.
La qualità di vita di una comunità cristiana e l'efficacia della sua testimonianza dipendono dalla qualità dei rapporti fraterni e dall'attenzione reciproca. La fraternità non tollera che si lasci andare il fratello per la sua strada, ma porta a compiere ogni sforzo per "salvarlo".
Anche la preghiera rientra in questa logica: «Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà». Il verbo "accordarsi" propriamente significa "realizzare una sinfonia": è un termine musicale e richiama l'essere intonati, privi delle dissonanze che nascono dalla discordia. Si tratta di essere profondamente armonizzati e uniti nella carità. Non è la pluralità delle voci che assicura l'efficacia della preghiera, ma l' "accordo": bastano "due".
La preghiera, allora, ottiene: perché? Quando c'è tale "sinfonia", è presente Gesù stesso: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». Uniti dalla medesima fede, dall'impegno di attuare la sua volontà, che è in definitiva il suo "comandamento nuovo". L'essere "riuniti nel suo nome" realizza in pienezza "l'accordarsi tra loro".
Matteo sottolinea con forza la "presenza" di Gesù nella Chiesa: l'identità del figlio di Maria è "Emmanuele", "Dio con noi"; il Risorto dichiara solennemente: «Io sono con voi tutti i giorni»; Gesù assicura la sua presenza all'interno della più piccola comunità, dove i rapporti sono rinnovati dall'amore.
L'affermazione di Gesù dice anche che l'unità nel suo nome è frutto della sua presenza, dono suo: dono ed impegno allo stesso tempo. È questa presenza che fa la Chiesa: "Dove due o tre sono uniti nel nome di Gesù, lì è la Chiesa" (san Bonaventura); "Quando due o tre sono uniti nella fede nel suo nome, Gesù viene in mezzo a loro, sedotto e attratto dal loro accordo" (Origene).

Prima di porre in atto qualunque strategia pastorale, prima di qualunque incontro, occorre assicurare quel presupposto indispensabile che è la presenza di Gesù fra i suoi: presenza non automatica, ma legata alla "sinfonia" dell'amore evangelico.

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Vedi anche: Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza): Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20) (vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata  Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20) - (10/09/2017) (vai al testo)
 Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20) - (07/09/2014) (vai al testo…)
 Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20) - (04/09/2011) (vai al testo…)
 Pienezza della legge è la carità (Rm 13,10) - (05/09/2008) (vai al post "L'unico debito")


Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Cristo tra noi, generatore di vita e di fraternità: anima di ciò che esiste (08/09/2017)
  La fraternità, frutto della presenza di Gesù tra i suoi (05/09/2014)

Vedi anche il post:
  Uomini di comunione (04/09/2011)

Commenti alla Parola:
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(Immagine: Uniti nel suo nome, di Bernadette Lopez)

martedì 1 settembre 2020

L'amore senza misura di Dio per noi


Parola di Vita - Settembre 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo» (Lc 6,38).

"C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo…": [1] così l'evangelista Luca introduce il lungo discorso di Gesù, che si snoda attraverso l'annuncio delle beatitudini, delle esigenze del Regno di Dio e delle promesse del Padre ai suoi figli.
Gesù annuncia liberamente il suo messaggio a uomini e donne, di diversi popoli e culture, accorsi per ascoltarlo; è un messaggio universale, rivolto a tutti e che tutti possono accogliere per realizzarsi come persone, create da Dio Amore a Sua immagine.

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo»

Gesù rivela la novità del Vangelo: il Padre ama ogni suo figlio personalmente di amore "traboccante" e gli dona la capacità di allargare il cuore ai fratelli con sempre maggiore generosità. Sono parole pressanti ed esigenti: dare del nostro; beni materiali, ma anche accoglienza, misericordia, perdono, con larghezza, ad imitazione di Dio.
L'immagine della ricompensa abbondante versata nella veste ripiegata, ci fa comprendere che la misura dell'amore di Dio per noi è senza misura e che le sue promesse si realizzano oltre le nostre aspettative, mentre ci libera dall'ansia dei nostri calcoli e dei nostri calendari, dalla delusione di non ricevere dagli altri secondo la nostra misura.

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo»

A proposito di questo invito di Gesù, Chiara Lubich ha scritto: «Ti è mai capitato di ricevere da un amico un dono e di sentire la necessità di contraccambiare? […] Se succede a te così, puoi immaginare a Dio, a Dio che è Amore. Egli ricambia sempre ogni dono che noi facciamo ai nostri prossimi in nome suo […] Dio non si comporta così per arricchirti o per arricchirci. Lo fa perché […] più abbiamo, più possiamo dare; perché – da veri amministratori dei beni di Dio – facciamo circolare ogni cosa nella comunità che ci circonda […]. Certamente Gesù pensava in primo luogo alla ricompensa che avremo in Paradiso, ma quanto avviene su questa terra ne è già il preludio e la garanzia» [2].

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo»

Ma cosa potrebbe accadere se ci impegnassimo a praticare questo amore insieme, con tanti altri uomini e donne? Sarebbe certamente il germe per una rivoluzione sociale.
Racconta Jesùs, dalla Spagna: «Mia moglie ed io lavoriamo nella consulenza e nella formazione. Ci siamo appassionati ai principi dell'Economia di comunione [3] e abbiamo voluto imparare a guardare l'altro: i dipendenti, con la valutazione dei salari e le alternative a ovvi licenziamenti; i fornitori, rispettando i prezzi, i pagamenti, i rapporti a lungo termine; la concorrenza, con corsi congiunti e offrendo il nostro Know How, i clienti, con consigli dati in coscienza, anche rinunciando al nostro tornaconto. La fiducia che si è generata ci ha salvato poi nella crisi del 2008.
Successivamente, attraverso la ONG "Levántate y Anda" (Alzati e cammina), abbiamo incontrato un insegnante di spagnolo in Costa d'Avorio. Voleva migliorare le condizioni di vita del suo villaggio con una sala parto. Abbiamo studiato il progetto e offerto la somma necessaria. Non ci credeva. Ho dovuto spiegargli che erano gli utili dell'azienda. Oggi la sala di parto "Fraternità", costruita da musulmani e cristiani, è il simbolo della convivenza. Negli ultimi anni i profitti della azienda si sono moltiplicati per dieci. Con altre aziende EdC abbiamo creato il Commercio Internazionale di Comunione e insieme a imprenditori congolesi abbiamo investito in una nuova società che trasporta cibo da Kinshasa a villaggi lontani
».

Letizia Magri

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[1] Cf Lc 6,17-18.
[2] C. Lubich, Parola di Vita giugno 1978, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) pp. 108-110.
[3] https://www.edc-online.org/


Fonte: Città Nuova n. 8/Agosto 2020