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mercoledì 12 febbraio 2020

Per un cammino di santità


I numeri dell'annata 2019 della rivista Il Diaconato in Italia avevano come tema di fondo "Diaconato e chiamata alla santità".
Nel dare il mio contributo alla rivista ha cercato di tracciare un percorso per un cammino di vita spirituale diaconale.
I quattro interventi:

Nella kenosi di Cristo il nostro cammino di santità, nel numero monografico dal titolo Il ministero diaconale tra santità e parresia.
«[…] Gesù nel suo grido di abbandono si mostra come la "chiave" del nostro "essere per gli altri", che è il nostro cammino di santità. Questo dono, accolto nella fede, diventa via all'unione con Dio e diventa cammino che ci porta a partecipare della vita stessa di Dio, in Gesù. Ora, per accogliere in sé bisogna essere il "nulla", come Gesù nel suo abbandono. E sul nulla tutti possono scrivere... Questo è il modo genuino di accostarci agli altri, il segreto della nostra carità: essere "nulla" di fronte ad ogni prossimo per stringere a sé in lui Gesù che ha detto: "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). E come scrive san Paolo: "Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Cor 9,22). […]
La nostra santità, dunque, il nostro personale rapporto con il Signore, si realizzerà attraverso questa strada, nell'amore al fratello nel quale vediamo realmente il volto di Cristo, e di Cristo sofferente, cercando di acquisire quelle virtù che sono tipiche di chi "ama Dio, che non vede, nel fratello che vede". […]».

Farsi santi nel nostro servizio al prossimo, in Nella diaconia agli ultimi il ministero di santità dei diaconi.
«[…] Il cammino di santità del diacono passa attraverso l'esercizio di quella carità che lo rende prossimo ad ogni fratello, soprattutto l'ultimo e il più bisognoso. E nel servizio affina le virtù tipiche di ogni cammino di santità: l'umiltà, la povertà, il distacco da sé, la perfezione della carità, l'unione con Dio. L'unione con Dio, alimentata nella preghiera, trova la sua "continuità" nel Dio incontrato ed amato nei prossimi che è chiamato a servire e per i quali vuole donare la propria vita. […]
L'amore al prossimo vissuto nell'imitazione di Cristo, quando è ricambiato, diventa reciproco, attuando così le parole di Gesù: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Ora esiste un luogo privilegiato, oltre alla famiglia, dove poter sperimentare il dono dello Spirito nella reciprocità della carità, per poter poi uscire con maggior frutto a servizio del prossimo: la comunità diaconale. Essa "è un balsamo che sostiene e stimola la generosità nel ministero», dove il diacono può «sperimentare la collaborazione fraterna e la condivisione spirituale" (cf. Ratio 76), il luogo dove poter vivere e rinnovare continuamente la reciproca carità, in un cammino di santità fatto "insieme". […]».

Reciprocità: beatitudine del servire (Le Beatitudini: tra discernimento e formazione la santità diaconale)
«Il cammino di santità che il diacono è chiamato a percorrere ha nella dimensione del servizio la sua necessaria ed essenziale espressione, la sua icona nella lavanda dei piedi secondo l'esempio di Gesù, "Maestro e Signore". Sappiamo, inoltre, che "Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini. In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita" (GE 63). […]
Matteo e Luca riportano un elenco di beatitudini a cui si fa normalmente riferimento, mentre Giovanni ne elenca soltanto due, quella detta a Tommaso e rivolta ai futuri discepoli ("beati quelli che non hanno visto e hanno creduto", Gv 20,29) e quella che riguarda il servizio, dove Gesù dichiara beati i discepoli che si laveranno i piedi gli uni gli altri sull'esempio del Maestro (cfr. Gv 13,17). […]
Se i cristiani sono quelli che amano il Signore senza averlo visto (cf. 1Pt 1,8), è pur vero che noi desideriamo il suo volto nella speranza di contemplarlo faccia a faccia nel "giorno del Signore". Tuttavia, in questa "assenza del volto" che nessuno può compiutamente riempire, il Signore ci ha lasciato tracce del suo volto, impronte di una presenza impresse ancora e sempre in un volto che, per essere percepito, richiede un itinerario e soprattutto degli occhi capaci di scorgere dietro un volto umano il suo Volto. "Chi accoglie voi accoglie me" (Mt 10,40) ha detto Gesù agli apostoli; e, in altra occasione: "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).
Queste parole ci fanno comprendere che non si può amare Dio che non si vede, se non si ama il fratello che si vede (cf. 1Gv 4,20). Anche da questi pochi accenni è possibile cogliere il legame che intercorre tra le due beatitudini riportate da Giovanni: il prossimo è come il tramite per poter sperimentare ed entrare nella beatitudine offerta da Gesù. […]
La seconda beatitudine, poi, è legata direttamente al servizio, ed in modo speciale al "servizio reciproco" ("…anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri"). […] "…Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica" (cf. Gv 13,1-5.12-17). […] L'imitazione che Gesù ci chiede non consiste nel ripetere pedestremente il suo gesto, anche se è bene averlo sempre presente come esempio a cui continuamente ispirarsi. Consiste, piuttosto, nel comprendere che imitare Gesù significa che noi, come cristiani, abbiamo senso se viviamo "per" gli altri, se comprendiamo la nostra esistenza come un servizio reso ai fratelli. […]
(Questo comporta una spiritualità di comunione, una spiritualità del "noi"). Anzi, la "mistica del noi" di cui parla papa Francesco…. In questa via della comunione si cammina insieme e si raggiunge l'unione con Dio "in cordata", uniti gli uni agli altri come membri di un medesimo corpo, avendo stabilito con i fratelli e le sorelle rapporti improntati alla mutua e continua carità, secondo il monito di san Pietro: "Soprattutto conservate tra voi una fervente carità" (1Pt 4,8). L'incontro con gli altri diventa così un momento di raccoglimento in Dio e il rapporto con loro una fonte di grazia e di unione con il mistero della Trinità. […]
La nostra condivisione, sul modello di quella di Cristo, è data da un reale "portare i pesi gli uni degli altri" (cf. Gal 6,2), condizione essenziale per far sì che il nostro servizio rivolto agli altri diventi, da dimensione unidirezionale, un servizio reciproco, in cui possiamo "lavarci i piedi gli uni gli altri". Non c'è, infatti, comunione vera se non si accetta di entrare nella vita dell'altro e se non si consente all'altro di entrare nella nostra».

Termina questo percorso con un contributo su Maria modello della nostra diaconia (Il ministero diaconale tra santità e missionarietà)
«[…] Se il diacono "è costituito icona vivente di Cristo Servo" (Ratio 11), il suo cammino di santità non può essere disgiunto da un rapporto speciale con Maria, la "Serva del Signore". […]
Nel Direttorio, al n. 57, si legge: "Quest'amore particolare alla Vergine, Serva del Signore, nato dalla Parola e tutto radicato nella Parola, si farà imitazione della sua vita [di Maria]. Sarà questo un modo per introdurre nella Chiesa quella dimensione mariana che molto si addice alla vocazione del diacono". Il diacono è chiamato quindi ad esprimere il suo servizio ecclesiale nella "diaconia della Parola". E ci chiediamo: come Maria può indicarci uno stile originale, alieno da ogni clericalismo, per portare a tutti la Parola, che è Gesù, in uno stile tipicamente diaconale?
Maria non è venuta per predicare, ma per dare Gesù al mondo. Questa è la vera opera di Maria, dare Gesù al mondo. Il Vangelo ci mostra Maria in questo atteggiamento, unico: "Serbava tutte queste cose nel suo cuore" (cf. Lc 2,19; Lc 2,51). Quel "silenzio pieno" emana un fascino speciale per un'anima che guarda a Maria come ad un modello a cui ispirarsi: quel suo "silenzio" così importante per noi che siamo chiamati a parlare per evangelizzare, sempre allo sbaraglio, lanciati fuori nelle periferie… Anche Maria ha parlato. E ha dato Gesù. Nessuno mai al mondo fu evangelizzatore più grande, nessuno ebbe mai parola come lei che diede alla luce il Verbo incarnato! E Lei "tacque" in quel particolare servizio alla Parola, dove sempre la parola deve poggiare su un silenzio, come un dipinto sullo sfondo. Maria tacque perché creatura, perché il "nulla" non parla. Ma su quel "nulla" parlò Gesù e disse: Se stesso!».

(Immagine: Gli si fece vicino, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2010)

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