Parlando ieri, 10 novembre, ai rappresentanti del V Convegno ecclesiale nazionale (In Gesù Cristo il nuovo umanesimo), nel Duomo di Firenze, il Papa chiede alla Chiesa di uscire e dialogare anche "sporcandosi".
Nel suo discorso traccia una linea non solo operativa, ma soprattutto "spirituale", di conversione, del nostro essere Chiesa.
Parole che danno luce e spessore alla "diaconia" a cui sono chiamato.
Papa Francesco esprime tre sentimenti, "umiltà, disinteresse, beatitudini", contro due tentazioni, "pelagianesimo e gnosticismo", per una Chiesa "inquieta", in uscita a costo anche di essere "ferita e sporca", però dal "volto di mamma", sempre più vicina "agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti", in dialogo con il mondo politico e civile.
Proprio il tema dell'evento, "In Gesù Cristo nuovo umanesimo", è la traccia su cui si snoda il lungo e corposo discorso del Papa. Egli tratteggia questo umanesimo a piccole pennellate, offrendo una idea precisa di quello che la Chiesa in generale - quella italiana in particolare - deve essere e fare. "Non voglio qui disegnare – dice il Papa - in astratto un 'nuovo umanesimo', una certa idea dell'uomo ma presentare con semplicità alcuni tratti dell'umanesimo cristiano che è quello dei 'sentimenti di Cristo Gesù'". E mette in guardia dalla tendenza ad "addomesticare" la potenza del volto di Cristo, perché si rischierebbe di "non capire nulla dell'umanesimo cristiano" e "le nostre parole saranno belle, colte, raffinate", ma risuoneranno "a vuoto".
Il primo sentimento che chiede il Papa è quindi l'umiltà: "L'ossessione di preservare la propria gloria, la propria 'dignità', la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti". Al contrario deve farne parte il disinteresse, nel senso di "cercare la felicità di chi ci sta accanto", perché "l'umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio". "Evitiamo, per favore, di rinchiuderci nelle strutture", soggiunge Francesco, "il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare". E farlo con lo spirito delle beatitudini, attraverso cui "il Signore ci indica il cammino" che porta "alla felicità più autenticamente umana e divina".
Quindi, umiltà, disinteresse, beatitudine: questi tre tratti, afferma il Santo Padre, "dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana", dicono, cioè, "che non dobbiamo essere ossessionati dal 'potere', anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all'immagine sociale della Chiesa". "Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d'immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza".
"Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù", se "pensa solo a se stessa e ai propri interessi" essa "si disorienta, perde il senso", diventa "triste". Al contrario, una Chiesa umile, disinteressata, beata, "è una Chiesa che sa riconoscere l'azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente". Dunque meglio una Chiesa "accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade", che non una Chiesa "malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze".
"Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti".
Tuttavia le tentazioni da affrontare sono tante. Il Papa ne evidenzia "solo due", la tentazione "pelagiana" e quella dello "gnosticismo".
Il pelagianesimo "porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte" e "ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività". "La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso"."Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative". La dottrina cristiana non è infatti "un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, inquieta, anima".
Sulla stessa scia lo gnosticismo,"porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello". Il suo "fascino" è quello di "una fede rinchiusa nel soggettivismo", dove interessa unicamente "una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell'immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti". Tutto ciò significa "costruire sulla sabbia", significa "rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo".
Francesco domanda ai vescovi di essere "pastori... non di più... pastori", nella certezza che "sarà la gente, il vostro gregge a sostenervi". Allo stesso tempo - aggiunge - siate predicatori non "di complesse dottrine", ma dell'annuncio "essenziale" che è il kerygma. E preoccupatevi pure della "inclusione sociale dei poveri", che hanno un posto "privilegiato" nel popolo di Dio. L'opzione per i poveri è "forma speciale di primazia nell'esercizio della carità cristiana".
Ultima raccomandazione è quella al dialogo, che non significa "negoziare", nel senso di "cercare di ricavare la propria 'fetta' della torta comune". Dialogare "è cercare il bene comune per tutti", discutendo insieme e pensando "alle soluzioni migliori per tutti". Anche a costo di scivolare in un "conflitto" che "è logico e prevedibile". "Il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà", raccomanda il Papa, esortando la Chiesa a "dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all'interno del dibattito pubblico". "Non dobbiamo aver paura del dialogo", aggiunge, "anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia".
"I credenti sono infatti cittadini" e "la nazione non è un museo", bensì "un'opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose".
L'appello è soprattutto rivolto ai giovani, a cui il Successore di Pietro chiede di essere "forti" e superare "l'apatia". Siate "costruttori dell'Italia" - incoraggia -, mettetevi al lavoro "per una Italia migliore", e "non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell'ampio dialogo sociale e politico".
"Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà", insiste Francesco. E domanda di avviare nei prossimi anni - "in modo sinodale" - un approfondimento della Evangelii gaudium in ogni comunità, parrocchia, diocesi e Istituzione. Poi conclude con un nuovo invito alla creatività: "Siate creativi nell'esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese".
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