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mercoledì 27 gennaio 2010

Essere servo, essere sacerdote


«Il Figlio pur restando uguale al Padre, si è reso inferiore, perché si degnò di diventare simile all'uomo. Egli stesso poi si rese inferiore, quando spogliò se stesso prendendo la condizione di servo (Cfr Fil 2,6-8).
L'umiliazione di Cristo dunque è il suo stesso annientamento; e tuttavia il suo annientamento null'altro è se non il rivestirsi della sua condizione di servo. Cristo dunque, pur rimanendo Dio, Unigenito di Dio, al quale offriamo sacrifici come al Padre, diventando servo si è fatto sacerdote e così per mezzo suo possiamo offrire una vittima viva, santa, gradita a Dio. Tuttavia Cristo non avrebbe potuto essere offerto da noi come vittima, se non fosse diventato vittima per noi» (San Fulgenzio di Ruspe, Lettera 14).

«Diventando servo si è fatto sacerdote».
Ma al diacono sono poste le mani "non per il sacerdozio, ma per il ministero". Ne consegue che c'è una unità profonda tra questi due modi distinti di "essere" nel ministero ordinato: è lo stesso Gesù che opera in modo sacramentale nella chiesa e nell'umanità; quasi due facce di una stessa medaglia, l'unico Cristo che muore per l'umanità.
Io penso che è in Gesù abbandonato il punto di incontro tra sacerdote e diacono. È in questo mistero di Gesù che prende forma distintamente il ministero ordinato, che si incarna nella realtà del prete e del diacono, due modi di essere dello stesso Gesù: servo e, perché tale, vittima.
La collaborazione, nel ministero, tra preti e diaconi non è solo funzionale: è una comunione d'essere che nasce dal rapporto reciproco ed ha la sua origine nella morte di Cristo, nel suo abbandono, culmine di ogni dolore, quasi "doglie di un parto divino" che genera la nuova umanità.


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