Giornata di ritiro della comunità del diaconato della diocesi di Velletri-Segni (Roma) a S. Maria dell’Acero (Velletri).
Da qualche anno partecipo alla vita della comunità dei diaconi di Velletri, diocesi dei Castelli Romani, limitrofa (pochi chilometri) a quella dove risiedo, dato che in questa non c’è una comunità del diaconato; e desideravamo, Chiara ed io, incontraci con altri diaconi e partecipare, per quanto ci era possibile, alla loro vita.
Devo dire con sincerità e gratitudine che fin dall’inizio l’accoglienza è sempre stata calorosa: ci siamo subito sentiti a casa nostra, presi dentro da loro e fatti partecipi della loro vita. Quello che vorrei qui comunicare è la "gioia" che abbiamo sempre sperimentato nel trovarci assieme a quel gruppo di famiglie diaconali, non eccessivamente numeroso in verità (ci richiamava il più piccolo gruppo dei diaconi di Trieste), ma fatto di persone con le quali si instaura subito un rapporto fraterno.
Oggi ci siamo ritrovati per una giornata di ritiro. L’esperienza è sempre quella di una condivisione di vita che ti ritempra, ti fa puntare in Dio e ti riporta all’essenziale.
Il tema della giornata è ruotato attorno all’episodio di Atti 6, la scelta dei sette. E’ stato un andare alle origini, un respirare quella che è stata la vita della prima comunità, e di conseguenza chiederci quale deve essere ora il nostro respiro.
Veniva in risalto come i problemi (allora erano le mormorazioni per la distribuzione delle mense) esistono per “essere risolti”, non per arrenderci, non per lamentarci soltanto, non per spegnere la vita della comunità, ma per farla crescere: Quanta attualità! Quanta tentazione nel farci perdere di vista le priorità della vita, anche del ministero! Quanto urgente invece è guardare alle priorità della mia chiamata. E’ un andare al di là delle cose da fare, che spesso possono far perdere lo splendore della chiamata, la bellezza e la gioia di rispondere alla chiamata.
Gli Apostoli chiedono di “cercare” nella comunità le persone per una risposta al problema (“Cercate piuttosto in mezzo a voi”), non di cercare “fuori” o “scaricare” su altri il problema, sull’autorità per esempio. L’autorità (gli Apostoli) confermano la scelta della comunità.
Ci veniva in risalto il rapporto, molto attuale, che deve intercorrere tra la comunità e la gerarchia. C’è molta strada ancora da fare, ma risultava urgente una conversione comune, affinché la comunità sia veramente “soggetto” di evangelizzazione e non solamente “oggetto” delle cure pastorali.
Ci vuole un salto di qualità: urge nella nostra vita rivitalizzare “rapporti trinitari” a tutti i livelli; fare realmente l’esperienza di una Chiesa in cui le sue note coessenziali di carisma e istituzione la fanno essere più viva e vera, e la sua testimonianza più credibile.
Nella condivisione comune ci si chiedeva quale potevano essere le priorità del diacono, di una persona che tra l’altro lavora ed ha famiglia. Le risposte sono state varie, ma emergeva l’esigenza di rispondere primariamente, prima delle cose da fare, con un atteggiamento interiore di servizio, in cui saper equilibrare vita privata e vita di ministero. Importantissima è la “condivisione di vita” della moglie al ministero del marito, indipendentemente dal suo impegno concreto in parrocchia (che può anche non essere o essere relativo): la vera ricchezza viene dal rapporto di coppia e dalla vita familiare. Il diacono non è per risolvere i problemi pastorali di una comunità, ma piuttosto per essere segno di un atteggiamento interiore che ci fa crescere tutti nel servizio reciproco.
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