Riprendo le interviste ai vescovi delle diocesi italiane sul diaconato permanente e i diaconi delle loro diocesi, pubblicate nella rivista L'Amico del Clero della F.A.C.I. (Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia).
Le interviste sono curate da Michele Bennardo.
Michele Bennardo, diacono permanente della diocesi di Susa, ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense. È professore di religione cattolica nella scuola pubblica e docente di Didattica delle competenze e di Didattica dell'Insegnamento della Religione Cattolica e Legislazione scolastica all'ISSR della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Sezione parallela di Torino. È autore di numerosi testi e articoli e dal 2005 collabora con L'Amico del Clero.
Ho riportato le varie interviste nel mio sito di testi e documenti.
Nel numero 5 (maggio 2016) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Mauro Parmeggiani, Vescovo di Tivoli.
Alla domanda: "Come giudica per la Chiesa in generale, e per la diocesi di Tivoli in particolare, il ripristino del diaconato permanente?", Mons. Parmeggiani ha risposto: «Una grande grazia. Provengo da una parrocchia di Reggio Emilia nella quale, nel 1978, furono ordinati due tra i primi diaconi permanenti della mia Diocesi di origine. Per me, insieme al mio Parroco, furono di grande aiuto a scoprire la mia vocazione al sacerdozio e veri esempi di donazione totale a Dio e ai fratelli rimanendo con i piedi per terra, ancorati alla realtà della famiglia, del lavoro, per uno di loro anche della sofferenza che ha vissuto con fede esemplare.
Divenuto Vescovo di Tivoli, nel 2008, sono stato contento di aver trovato una comunità diaconale con quattro diaconi permanenti ed aver avuto la grazia – in questi anni – di averne potuto ordinare altri otto.
Ritengo che quella del diacono sia una figura di collegamento tra famiglia, mondo del lavoro, e pastorale – ossia l'azione che la Chiesa fa per annunciare a tutti la gioia del Vangelo – assai utile e preziosa e a Tivoli risulta essere molto positiva per la comunità dei fedeli ed anche per i presbiteri che ammirano molto questi uomini esemplari sempre disponibili per aiutare il Vescovo ed i sacerdoti a dedicarsi maggiormente a quanto loro compete dedicandosi maggiormente alla carità, quasi fossero il braccio del Vescovo e del parroco là dove egli non arriva. Un braccio con una sensibilità particolare che gli deriva dall'essere sposo, padre, lavoratore e, potremmo aggiungere, punto di incontro vivente tra vita e liturgia: aiuto per la Chiesa nella sua opera di santificazione».
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Nel numero 6 (giugno 2016) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla.
Alla domanda: "Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?", Mons. Camisasca ha risposto: «Innanzitutto che egli abbia coscienza di essere una persona chiamata da Dio – e non semplicemente da una comunità – a quel compito così importante nella vita della Chiesa locale. È chiamato perciò a prendere coscienza di questa vocazione e ad alimentarla.
Il diacono deve essere un uomo di preghiera, di meditazione della Sacra Scrittura. Un uomo che ha consapevolezza delle verità fondamentali della fede e della vita cristiana attraverso lo studio, meno esigente di quello richiesto per il cammino verso il presbiterato, ma pur sempre capace di portare la mente del diacono a una sintesi chiara, come quella che ci è offerta nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Deve essere un uomo che sa parlare, forse e più ancora che con le parole, con la propria vita. Deve essere un uomo appassionato degli uomini, soprattutto dei piccoli, dei bisognosi, di coloro che sono feriti, che hanno necessità di essere incontrati. Deve essere veramente colui che va in cerca di chi è perduto.
In lui convivono diverse vocazioni: talvolta quella matrimoniale, poi la vocazione a una professione, la vocazione genitoriale se è sposato. Quindi deve essere anche un uomo dotato di buon equilibrio, di grande umiltà, serenità, capacità di perdono e ripresa continua».
E alla domanda: "Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?", ha risposto: «Penso che la strada migliore sia quella di una vita, da parte dei diaconi, piena di umiltà, di collaborazione, di disponibilità vera al servizio e anche di comunione vissuta con i laici e con il clero».
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Nel numero 7-8 (luglio-agosto 2016) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Lino Fumagalli, Vescovo di Viterbo.
Alla domanda: "Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?", Mons. Fumagalli ha risposto: «Oggi più che mai, in un mondo diviso e frammentato, dove aumentano conflitti e incomprensioni, il diacono deve essere l'uomo della comunione. Anche la comunità ecclesiale non è esente da divisioni e contrapposizioni, da relazioni difficili, non sempre animate da autentico spirito evangelico. In questo contesto il diacono è chiamato ad esercitare la "diaconia della comunione". La capacità di "fare comunione" è requisito indispensabile per un candidato al diaconato permanente».
E alla domanda: "Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti?", ha risposto: «Non dobbiamo mai dimenticare quanto affermava Benedetto XVI: "… non possiamo "produrre" vocazioni, esse devono venire da Dio. Non possiamo, come forse in altre professioni, per mezzo di una propaganda ben mirata, mediante, per così dire, strategie adeguate, semplicemente reclutare delle persone. La chiamata, partendo dal cuore di Dio, deve sempre trovare la via al cuore dell'uomo. E tuttavia: proprio perché arrivi nei cuori degli uomini è necessaria anche la nostra collaborazione " (Discorso ai sacerdoti e ai diaconi permanenti della Baviera, 14 settembre 2016).
Ecco, quindi, la preghiera al Padrone della messe. Sì, intensificare prima di tutto la preghiera e poi, certamente, pensare e trovare occasioni e modalità con cui presentare e far conoscere di più e meglio nelle comunità parrocchiale la bellezza di questa specifica vocazione».
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