Articolo di Enzo Bianchi, tratto da www.monasterdibose.it
I cristiani che vogliono vivere quotidianamente e concretamente il Vangelo di Gesù sanno che una delle difficoltà più grandi che incontrano è la pratica del perdono. Gesù è stato molto chiaro al riguardo: "Amate i vostri nemici, perdonate a chi vi ha fatto del male, pregate per i vostri persecutori" (cf. Mc 11,25; Mt 5,44-45; Lc 6,27-28.35-37).
Il perdono richiesto da Gesù settanta volte sette (cf. Mt 18,22), cioè sempre rinnovato nei confronti di chi fa il male, è l'apice della legge dell'amore del prossimo, e dobbiamo essere grati agli ebrei i quali, fondandosi sulle Scritture dell'Antico Testamento, giudicano questo perdono a volte impossibile per noi uomini e donne, impossibile come l'amore verso il nemico. Oggi assistiamo addirittura a una mancanza di rispetto e di pudore, quando soprattutto i giornalisti chiedono alle vittime se perdonano quanti hanno fatto loro del male. Come se il perdono coincidesse con una dichiarazione verbale fatta pubblicamente e carpita come una confessione di bontà o una risposta dura, in entrambi i casi a favore di telecamera…
Mi pare però che i cristiani non sempre comprendano cosa sia il vero perdono umano, conforme alla richiesta di Gesù. Innanzitutto il perdono non può essere dimenticanza del male che ci è stato fatto, perché il male è male, va riconosciuto e giudicato come tale, quindi non va rimosso. Ma il perdono non significa neanche scusare chi ha compiuto il male: la scusa è richiesta quando il male è involontario; quando invece il male scaturisce da atti responsabili, da parole pronunciate da parte di chi è pienamente padrone della propria lingua, allora le scuse non valgono. Scusare significherebbe in questo caso fare del malfattore un irresponsabile, uno che ha compiuto il male senza saperlo. No, ci sono atti malvagi che sono inescusabili e non devono essere coperti con spiegazioni psicologiche o con parole che non riconoscono l'altro quale soggetto responsabile. Agendo in questo modo, si coprirebbe il male, lo si manipolerebbe, rendendo la vittima addirittura complice. Questa dunque non è la via del perdono, anche se appare come la via più facile e breve. Vladimir Jankélévitch ha scritto pagine penetranti e convincenti sull' "imperdonabile", che sono essenziali per comprendere la grazia e il perdono a caro prezzo.
Il perdono deve invece sempre affermare la verità e non deve arrestarsi in una regione nebbiosa in cui non si discerne ciò che è male. Proprio per questo il perdono abbisogna di un lungo cammino e di molto tempo. Ci vogliono mesi e anche anni affinché il perdono diventi un atto veramente umano e dunque cristiano. Se qualcuno mi fa del male che mi ferisce profondamente, prima di dirgli: "Ti perdono", devo imparare a non rispondere con il male, a non volere una rivalsa o una vendetta. A volte per disarmarsi è necessaria una distanza, uno stare lontano da chi è armato; a volte occorre un lungo silenzio, perché si è troppo fragili per rispondere; a volte occorre confessare a se stessi che per ora, non per sempre, è impossibile perdonare. Non si dimentichi che nella tradizione cristiana, anche nel matrimonio e ancor più nel contesto familiare allargato o nell'amicizia, prendere le distanze e separarsi è augurabile al fine di non entrare in spirali infernali. Una persona ha sempre il diritto e anche il dovere di difendersi non con la violenza, non rispondendo con le armi della lingua, ma con il silenzio e la distanza, lasciando che il tempo operi ciò che nell'immediato resta impossibile.
Perdonare sempre e subito può anche essere una tentazione di orgoglio e di protagonismo spirituale: sono talmente buono che perdono! Non si dimentichi che Gesù in croce, rivolto ai carnefici, non ha detto: "Io vi perdono", ma ha invocato Dio: "Padre, perdona loro!" (Lc 23,34). Con umiltà ha chiesto al Padre di perdonare, affidando a lui l'atto radicale del perdono di cui solo Dio può essere soggetto. Il perdono è faticoso, difficile, e quando avviene è un vero e proprio miracolo, un'azione dello Spirito di Dio, sigillo della misericordia.
(Immagine: Bosephotoarchiv)
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