22a domenica del T.O. (A)
Appunti per l'omelia
Il brano evangelico della scorsa domenica riportava la confessione di fede di Pietro, portavoce dei Dodici: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!». E Gesù, in risposta, rivelava l'identità e la missione dell'Apostolo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». In questo dialogo si avverte un'aria di festa e di entusiasmo per la scoperta che i discepoli hanno fatto.
Gesù però, pur soddisfatto per il traguardo che essi hanno raggiunto nel loro cammino di fede, sa che molta strada resta da fare perché questa fede, ancora acerba, diventi più chiara e matura. Così, con il barano evangelico odierno (cf Mt 16,21-27), vuole imprime una svolta alla sua opera educativa: «Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
È il primo dei tre annunci della passione-morte-risurrezione che Gesù in diverse riprese fa ai discepoli durante il viaggio verso la città santa.
Un tragico destino lo attende. Egli ne parla senza esitazione e con lucida consapevolezza. Sa bene che le sue scelte in favore dei peccatori e dei "lontani", il suo stile di vita libero da ogni forma di legalismo, ma tutto incentrato nell'amore, provocano l'opposizione e la resistenza da parte dei responsabili di Israele. Sa di avere molti nemici, che cercano di eliminarlo e che presto o tardi ci riusciranno. Gesù intravede, quindi, il fallimento umano della sua missione, che sta tutto in quel «doveva ... soffrire e venire ucciso». Ma questa "necessità" non è legata a un destino cieco e crudele, e non è neppure soltanto la conseguenza "logica" del suo comportamento contro corrente. Il verbo "doveva", che ricorre spesso sulle labbra di Gesù, indica il disegno di Dio, misterioso e insindacabile, che deve compiersi nella storia. Un disegno d'amore che si attua attraverso vie e modi non conformi alla logica umana, ma in stridente contrasto con essa. Questo piano divino, però, non riguarda soltanto la sconfitta umiliante del Messia, ma anche la sua suprema glorificazione: «doveva ... risorgere il terzo giorno». Anche quest'ultima parte dell'annuncio rimane però oscura, tanto che i discepoli non la prendono in considerazione. Sono invece "shoccati" dall'annuncio della passione e della morte.
Riconoscendo in Gesù il Messia promesso, Pietro e i suoi compagni pensavano al liberatore politico e militare che con la forza di Dio avrebbe vinto tutti gli oppressori del suo popolo, instaurando una condizione di pace universale.
Gesù invece rivela un aspetto del Messia che li coglie impreparati e li "spiazza" radicalmente: il Salvatore inviato da Dio non sbaraglierà gli avversari con una vittoria totale, ma subirà la sconfitta. E questo perché, in umile obbedienza al disegno di suo Padre, percorrerà la via dell'amore che si fa servizio fino al dono della propria vita.
In tal modo rivelerà un volto inedito e insospettato di Dio: non il Dio che schiaccia con la sua potenza, ma un Dio debole e "perdente", che condivide fino all'estremo la condizione dell'uomo peccatore, così ricuperandolo.
L'incomprensione e il rifiuto di un Dio così si manifestano nella reazione di Pietro: «...questo non ti accadrà mai!». La contro-reazione di Gesù è però quanto mai forte: «Va' dietro a me, satana!».
Il contrasto con la scena precedente, in cui Gesù aveva proclamato "beato" l'Apostolo rivelandogli la sua missione nel piano di Dio, non può essere immaginato più netto e più crudo. Gesù lo chiama addirittura "satana": il Nemico, che nel deserto aveva cercato di persuaderlo a imboccare la via del potere e del successo, boicottando il disegno del Padre. Ora torna all'assalto con una forza di suggestione ancora maggiore, servendosi del discepolo stesso. Ma ecco la sua risposta dura e perentoria di Gesù: «Va' dietro a me, satana!». Gesù richiama Pietro a mettersi di nuovo nella sua posizione di discepolo che non pretende di precedere il Maestro insegnandogli la strada, ma lo segue accettando umilmente di condividere la sua sorte.
Non può darsi che anche noi ragioniamo come Pietro e gli altri discepoli? Anche noi, come loro, spesso siamo prigionieri di un'immagine di Dio che, se è potente e buono, non può permettere il dolore in tutte le sue forme e dovrebbe sopprimere quanti operano il male. Questo Dio però non è il Dio di Gesù. Il rimprovero rivolto a Pietro è quindi anche per noi!
Ci siamo lasciati educare finora da Gesù a riconoscere questo aspetto essenziale nella figura del Salvatore e nel vero volto di Dio? Accettiamo che il Messia ci salva attraverso il dolore vissuto nell'amore? Siamo consapevoli che la gloria e la suprema felicità rimangono il traguardo certo per Gesù e anche per noi, ma la via per raggiungerle è la "via della croce"?
Così Gesù non si limita a esigere dai discepoli che lo riconoscano come il Messia crocifisso-risorto. Egli li chiama ad abbracciare le sue stesse scelte e il suo stile di vita, spiegati soltanto dall'amore: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua». Parole di un radicalismo inaudito: il discepolo deve essere pronto a spostare ogni sua visione della vita, a dire di no a ogni suo progetto, che non collimino con quelli del suo Maestro.
La vita si trova perdendola, cioè donandola per amore! E questo può avvenire una sola volta con la morte fisica. Ma la vita può essere data anche goccia a goccia in ogni gesto quotidiano motivato dall'amore e compiuto con amore.
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Vedi anche:
Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)
Commenti alla Parola:
• di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
• di Marinella Perroni (VP 2011)
• di Enzo Bianchi
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