3a domenica di Avvento (C)
Appunti per l'omelia
Nella liturgia di questa domenica domina il tema della gioia. Il profeta Sofonia (cf Sof 3,14-17) esorta la «figlia di Sion», il resto di Israele rimasto fedele, a dare libero sfogo alla propria felicità, una gioia intensa ed incontenibile, perché Dio ha liberato il suo popolo e stabilisce la sua presenza in mezzo ad esso, come «salvatore potente». Una presenza efficace che rende forti contro ogni paura e scoraggiamento: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia».
Abbiamo appena celebrato la festa dell'Immacolata ed abbiamo contemplato Maria come la "vera figlia di Sion", vera rappresentante del "resto di Israele" ed in definitiva dell'umanità. Anche a lei, con le parole dell'angelo, sono rivolte le parole: "Rallegrati", "Non temere", perché "il Signore è con te". Grazie al Figlio che porta in seno, la presenza di Dio in mezzo al suo popolo raggiunge la sua perfezione somma ed inaspettata.
A questo pressante invito alla gioia fanno eco anche le parole di san Paolo a "rallegrarsi": non è una gioia qualsiasi, ma è "nel Signore", cioè nel Cristo morto e risorto, nel rapporto vitale con lui. Il suo invito lo rivolge dal carcere! È una gioia, allora, che nessuna prova e dolore è in grado di spegnere, una gioia non a intermittenza, ma senza interruzione: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti» (Fil 4,4). Ed è una gioia che porta il nostro cuore ad un abbandono fiducioso in Dio, in una confidenza con Lui dove le nostre preoccupazioni sono unite alla riconoscenza per i favori ricevuti: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti» (Fil 4,6). È una gioia frutto dell'amore.
In questo contesto vediamo Giovanni Battista (cf Lc 3,10-18), annunciando la buona novella al popolo, chiamare tutti alla conversione. Sono le "folle", i "pubblicani", "i soldati", gente comune o invisa ai più a causa della professione o gente di provenienza pagana come i soldati, i più, forse, lontani da Dio.
Ma hanno capito che se la conversione è ritornare al Signore e volgere a Lui interamente il proprio cuore, ciò deve avvenire in modo molto concreto. Ecco allora la domanda: «Che cosa dobbiamo fare?».
Chi ascolta la Parola non può limitarsi a dire: "Che bello! Interessante!", ma si chiederà: "Come non essere più quello di prima? Come cambiare la mia vita?". A tutti è data la possibilità di convertirsi. E la risposta del Battista è chiara e concreta: nessuna professione esclude la salvezza. Non si tratta di cambiare mestiere, ma il modo di esercitarlo. Anzitutto convertirsi significa praticare la solidarietà e la condivisione: «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha…»; significa rispettare la giustizia evitando ogni forma di sopruso e di sopraffazione, così per gli esattori delle tasse o per i soldati.
Preparasi col cuore sincero all'incontro con il Signore che viene, significa lasciarsi battezzare da Lui, essere cioè "immersi" nello Spirito Santo che è l'infinita vitalità di Dio, nel suo amore che è fuoco che purifica, trasforma e rigenera e che ci unisce intimamente a Lui. Egli però ha in mano anche il "ventilabro", espressione del suo giudizio.
Così, se davanti a noi è l'attesa per l'incontro con Gesù che viene, la nostra vita si colora di gioiosa speranza e di grande responsabilità: si tratta infatti di vivere per incontralo nel migliore dei modi.
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Vedi anche:
Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
E noi che cosa dobbiamo fare? (Lc 3,14)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)
Commenti alla Parola:
• di Marinella Perroni (VP 2012)
• di Claudio Arletti (VP 2009)
• di Enzo Bianchi
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