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venerdì 10 settembre 2010

La gioia della rinascita

12 settembre 2010 – 24a domenica del Tempo Ordinario (C)

Parola da vivere

Vi sarà gioia in cielo per un solo peccatore
che si converte
(Lc 15,7)


La parola del Signore di questa domenica rivela il centro del vangelo: Dio come padre di tenerezza e di misericordia. Egli trasale di gioia quando ritrova la pecora smarrita o la moneta perduta. Egli è felice e invita tutti a gioire con Lui quando vede tornare a casa il figlio lontano. La gioia di Dio, nominata ripetutamente in questo racconto, lascia intravedere la sua angoscia e la sua tristezza di Padre quando uno dei suoi figli manca all'appuntamento.
E anche noi siamo invitati ad entrare in questa gioia. Perché questo avvenga Gesù ci chiama a convertirci a Colui che per primo si è convertito a noi nel suo amore. Convertirsi è volgere lo sguardo del proprio io a Dio, e vedere l'occhio di Colui che da sempre ci guarda con amore. Il nostro centro non è più il nostro io, ma Dio. Quel Dio che Gesù ci ha mostrato: un Dio che cerca chi è perduto, che riporta a casa chi gli ha voltato le spalle. Si sa che l'uomo è fragile e incline al male. Per questo Gesù rivela la passione di Dio per noi peccatori. Vuol farci sapere con quanta attenzione, con quanta cura e affetto Dio ci cerca e come gioisce una volta che ci ha ritrovato. E Lui, il pastore, è tutto contento quando ha trovato la pecora smarrita e condivide la gioia con gli amici. Anche la donna invita le amiche a partecipare alla sua gioia per aver ritrovato la moneta persa. Il Padre organizza una festa per il figlio ritrovato. E questa è una gioia contagiosa... perché dà a noi la possibilità di far contento Dio stesso quando ci lasciamo trovare, quando ritorniamo a Lui.


Testimonianza di Parola vissuta


Un sabato pomeriggio ero in turno al lavoro con due colleghe che non sopportavo. Forse anch'io quel pomeriggio ero già un po' più stanco e più pensieroso del solito.
Noi sappiamo che dove non c'è unità... c'è disunità e caos... Ebbene è stato un pomeriggio vissuto così.
In diverse occasioni ho fatto chiaramente capire alle colleghe, con gesti o parole, che non le sopportavo. Poi il pomeriggio prosegue. Si fa tutto quello che si deve fare. Quando manca mezz'ora al termine dei turno e abbiamo completato il grosso del lavoro, posso tirare un sospiro di sollievo. Ma dentro di me non c'è pace, non c'è gioia. "Perché?", mi chiedo più volte. Posso raccogliermi un minuto con Gesù. Avverto subito di "essere fuori nota". Sono chiamato a vivere per l'unità, mi ripeto; ed invece ho creato disunità con le colleghe. Mi rimetto in pista prendendole personalmente e chiedendo loro scusa...

(F.M.)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)
(vedi Commento alla Parola di Claudio Arletti)

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