Voglio ringraziare dal più profondo del cuore colei che in tutti i sensi mi stata madre e maestra, Chiara Lubich.
Milioni di persone potrebbero testimoniare, con parole diverse, ma con convinzione profondissima di essere stati da lei amati come “figli unici”.
Ne ho avuto la conferma, se ce n’era bisogno, l’altra sera quando, in una commozione intensissima, mi sono trovato con la mia famiglia assieme a tantissime altre persone a darle l’ultimo saluto prima che ci lasciasse.
In quegli istanti, davanti al suo letto, mi è passata davanti agli occhi tutta la mia vita, sperimentando come non mai il suo amore “personale”.
Ero un giovane ventenne, pieno di ideali, desideroso di spendere la propria vita per qualcosa che valeva. L’incontro con il Carisma di Chiara mi aiutò ad uscire dal mio “buonismo”, dall’essere una “brava persona”. Lei stessa mi ricordò le parole che il Padre misericordioso rivolge al figlio maggiore, rimasto sempre a casa: “…e tutto quello che io ho è tuo” (Lc 15,31) (io ti do tutto, lanciati, il mondo è tuo!). Era l’invito ad uscire da me stesso e a guardare al mondo che aveva bisogno anche di me, a mettere Dio a primo posto, indicandomi anche uno stile di vita che mi richiamava il NADA di san Giovanni della Croce, cioè: sul nulla di me ci fosse solo Dio. Essere “nulla”, un nulla (d’amore) che dovevo incarnare di fronte ad ogni prossimo, facendomi vuoto di fronte a lui, indicandomi in Gesù abbandonato il modello da seguire.
Ora dopo tanti anni, comprendo quanto questo è stato attuale, quasi una profezia del mio essere diacono, di come viverlo…
Incontrai mia moglie e formammo una famiglia che pensiamo bella, aiutati soprattutto dal Carisma dell’unità che ne ha dato forma, aprendola ad un amore grande per la Chiesa.
Ricordo con gioia e gratitudine quando, in prossimità dell’ordinazione diaconale, Chiara ci indicò nell’unità in famiglia il modo migliore per vivere bene questo evento di grazia, invitandoci a fare nostre le parole di san Giovanni “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi” (1Gv 4,12). E a Dio, ci sembra - come ne siamo stati capaci -, abbiamo cercato di dare il meglio della nostra vita, “facendo tutto per il vangelo” (cf. 1Cor 9,23), impegnandoci sempre di più alla diffusione di quel vangelo che ha il colore del servizio, della diaconia, vedendo nella famiglia diaconale una grazia speciale per la Chiesa.
Alcuni anni fa Chiara ce lo spiegò con una sua lettera personale, in risposta ad una nostra domanda su come lei vedesse la famiglia del diacono: “sono famiglie come le altre”, ma devono “essere anche al servizio del mondo sacerdotale”, per la loro esperienza “di coppie speciali”.
Poche parole, ma dense di significato: in esse vediamo riflessa l’esperienza della Famiglia di Nazaret, in cui Maria diventa icona di quel “servizio vero” che dobbiamo offrire alla Chiesa e all’umanità.
Grazie, Chiara!
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