32a domenica del Tempo ordinario (C)
2 Maccabei 7,1-2.9-14 • Salmo 16 • 2 Tessalonicesi 2,6-3,5 • Luca 20,27-38
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Appunti per l'omelia
La donna, alla risurrezione, di chi sarà moglie se tutti e sette l'anno avuta in moglie?
La storiella paradossale di una donna, sette volte vedova e mai madre, è adoperata dai sadducei come caricatura della fede nella risurrezione dei morti: di quale dei sette fratelli che l'hanno sposata sarà moglie quella donna nella vita eterna?
Per loro la sola eternità possibile sta nella generazione di figli, nella discendenza. Gesù, come è solito fare quando lo si vuole imprigionare in questioni di corto respiro, rompe l'accerchiamento, dilata l'orizzonte e rivela che non una modesta eternità biologica è inscritta nell'uomo ma l'eternità stessa di Dio.
Quelli che risorgono non prendono né moglie né marito
Con questa risposta Gesù non dichiara la fine degli affetti. Afferma piuttosto che quelli che risorgono, sì, non si sposano, ma danno e ricevono amore sempre, con una capacità di amare più perfetta e per sempre. Perché amare è la pienezza dell'uomo e di Dio, perché ciò che nel mondo è valore non sarà mai distrutto. Ogni amore vero si aggiungerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, portando non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità.
Non possono più morire, perché sono uguali agli angeli
Gesù adopera l'immagine degli angeli per indicare l'accesso ad una realtà di faccia a faccia con Dio, non per asserire che gli uomini diventeranno angeli, creature incorporee e asessuate. No, perché la risurrezione della carne rimane un tema cruciale della nostra fede. Il Risorto dirà: non sono uno spirito, un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho (cf Lc 24,36). La risurrezione non cancella il corpo, non cancella l'umanità, non cancella gli affetti. Dio non fa morire nulla dell'uomo. Lo trasforma. L'eternità non è durata, ma intensità; non è pallida ripetizione infinita, ma scoperta "di ciò che occhio non vide mai, né orecchio udì mai, né mai era entrato in cuore d'uomo..." (1Cor 2,9).
Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi
In questo «di» ripetuto 5 volte è racchiuso il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell'eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio appartiene a loro, loro appartengono di Dio. Così totale è il legame, che il Signore fa sì che il nome di quanti ama diventi parte del suo stesso nome.
Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé. Legando la sua eternità alla nostra, mostra che ciò che vince la morte non è la vita, ma l'amore. Il Dio di Isacco, di Abramo, di Giacobbe, il Dio che è mio e tuo, vive solo se Isacco e Abramo sono vivi, solo se tu e io vivremo.
La nostra risurrezione soltanto farà di Dio il Padre per sempre.
(spunti da Ermes Ronchi)
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Vedi anche:
Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Tutti vivono per Lui (Lc 20,38)
(vai al testo)
Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (10 novembre 2013)
Dio non è dei morti, ma dei viventi (Lc 20,38)
(vai al testo…)
Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Figli della risurrezione (8/11/2013)
Commenti alla Parola:
• di Cettina Militello (VP 9.2016)
• di Marinella Perroni (VP 9.2013)
• di Claudio Arletti (VP 9.2010)
• di Enzo Bianchi
(Illustrazione di Giorgio Trevisan)
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