In questo tempo di Pasqua quasi quotidianamente il vangelo ci parla della gioia che il Signore Risorto ci dona; di quella gioia che Gesù vuole che sia "piena". Una gioia che scaccia ogni timore, ogni paura. Infatti, «chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio Dimora in lui… Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore…» (1Gv 4,16.18).
La gioia quindi ha la sua radice nell'esperienza di Dio che è Amore: nell'amore che noi rivolgiamo a Lui, attraverso l'amore al fratello (cf 1Gv 4,19-20).
È la radice della nostra diaconia, del nostro concreto servizio verso chi il Signore ci mette accanto; la radice per una comunità viva, di figli e fratelli che sperimentano la gioia della presenza del Risorto.
Lo ha detto Gesù:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (Gv 15,9-11).
Ma è una gioia che nasce anche dall'aver superato i momenti di difficoltà, di solitudine, di tentazione:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16,20-24).
È quella gioia che Gesù ha chiesto al Padre prima di morire, prima del dono della sua vita: «Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,13).
Anche Papa Francesco, nell'omelia del 15 maggio scorso, ha parlato di questa gioia, guardando a «comunità paurose e senza gioia», che quindi «sono malate, non sono comunità cristiane».
«Paura e tristezza fanno ammalare le persone e anche la Chiesa, perché paralizzano, rendono egocentrici e finiscono per viziare l'aria delle comunità che sulla porta espongono il cartello "vietato" perché hanno paura di tutto. È invece la gioia, che nel dolore arriva a essere pace, l'atteggiamento coraggioso del cristiano, sostenuto dal timor di Dio e dallo Spirito Santo».
«La paura è un atteggiamento che ci fa male, ci indebolisce, ci rimpiccolisce, ci paralizza anche».
La paura, infatti, «non è un atteggiamento cristiano», ma «è un atteggiamento, possiamo dire, di un'anima incarcerata, senza libertà, che non ha libertà di guardare avanti, di creare qualcosa, di fare del bene».
La paura, però, «va distinta dal timore di Dio, con la quale non ha nulla a che vedere». Il timore di Dio, ha affermato il Pontefice, «è santo, è il timore dell'adorazione davanti al Signore e il timore di Dio è una virtù». Esso, infatti, «non rimpiccolisce, non indebolisce, non paralizza»; al contrario, «porta avanti verso la missione che il Signore dà».
La gioia, invece, è il distintivo del cristiano, quella gioia che nessuno ci potrà togliere, come ci assicura Gesù.
Ma «la gioia cristiana - ha avvertito il Papa - non è un semplice divertimento, non è un'allegria passeggera». Piuttosto, «la gioia cristiana è un dono dello Spirito Santo: è avere il cuore sempre gioioso perché il Signore ha vinto, il Signore regna, il Signore è alla destra del Padre, il Signore ha guardato me e mi ha inviato e mi ha dato la sua grazia e mi ha fatto figlio del Padre». Ecco cosa è davvero «la gioia cristiana».
Un cristiano, perciò, «vive nella gioia». Quella gioia che nei momenti del dolore diventa "pace": «Pensiamo a Gesù sulla Croce: aveva gioia? Eh no! Ma sì, aveva pace!». Infatti, «la gioia, nel momento del dolore, della prova, diviene pace». Invece «un divertimento nel momento del dolore diviene oscurità, diviene buio».
Ecco perché «un cristiano senza gioia non è cristiano; un cristiano che vive continuamente nella tristezza non è cristiano». A «un cristiano che perde la pace, nel momento delle prove, delle malattie, di tante difficoltà, manca qualcosa».
È ciò che «accade nei cristiani, accade nelle comunità, nella Chiesa intera, nelle parrocchie, in tante comunità cristiane, … paurose, che vanno sempre sul sicuro: "No, no, non facciamo questo... No, no, questo non si può, questo non si può"». Ma «anche una comunità senza gioia è una comunità ammalata, perché quando non c'è la gioia c'è il vuoto». Dunque, «quando la Chiesa è paurosa e quando la Chiesa non riceve la gioia dello Spirito Santo, la Chiesa si ammala, le comunità si ammalano, i fedeli si ammalano».
Ascolta il servizio della Radio Vaticana
Nessun commento:
Posta un commento