Rileggendo una riflessione sul famoso brano di Atti 6,1-6 sulla istituzione dei Sette, fatta dal diacono Piergiorgio Roggero di Verona e pubblicata nel n° 163 della rivista Il diaconato in Italia (a cui rimando per il testo integrale), mi ha confermato su un aspetto importante del ministero diaconale: il diacono quale "animatore" della carità nella comunità, oltre che operatore lui stesso, in prima persona.
Emerge chiaro dal testo dell'articolo che la scelta dei Sette si è indirizzata, non tanto a persone esperte nella "organizzazione delle mense" (forse lo erano anche), quanto a "uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza". Il servizio delle mense infatti era già operante: «alla comunità viene chiesto di individuare non persone che sappiano manovrare bene i mestoli, o cucinare, ma uomini "pieni di Spirito". Dunque quello che veniva cercato era la presenza dello Spirito in ciò che la comunità faceva».
«È importante notare che i sette non sono mandati a sostituire la comunità nel suo servizio alle mense ma, e qui è il cuore del servizio, a custodire nello Spirito l'agire della comunità».
Il ministero del diacono, infatti, non sostituisce l'operato dei fedeli laici, ma ne è l'animatore, quale segno sacramentale della diaconia di Cristo.
Il diacono non è tale per quello che fa, ma per quello che è!
Così pure non è in competizione con l'opera dei presbiteri e, nel brano di Atti, degli apostoli, a cui sta a cuore principalmente il «non trascurare la parola di Dio per il servizio delle mense», compito che probabilmente «avevano svolto per qualche tempo».
Il diacono, chiamato ad animare la carità, concorre in maniera specifica ad incrementare ed attualizzare la comunione e l'unità all'interno della comunità. Nel Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi, infatti, si legge: «Il diacono ricordi che la diaconia della carità concorre necessariamente a promuovere la comunione all'interno della Chiesa particolare. La carità, infatti, è l'anima della comunione ecclesiale» (n° 55).
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