Vegliare significa reagire operosamente…
La storia è attesa, ma non è una sala d'aspetto in cui incrociare le braccia. La nostra operosità non nasce dalla convinzione di abbreviare la notte, ma dalla speranza certa che essa ha una fine. La sua fine coincide con il fine della nostra operosità.
(dal commento di Claudio Arletti sulla Parola della prima domenica di Avvento. Cf Vita Pastorale, n. 10/2008)
Quando incontro qualcuno lungo il corso della mia giornata, ho un'unica occasione per "essere": accogliere chi mi passa accanto e non mi sfiori invano.
Se in me c'è la Vita, posso trasmetterla, magari solo con lo sguardo o con un sorriso, allontanando, anche con fatica, ogni giudizio, ché solo a Dio compete giudicare.
Sperimento così la beatitudine di chi ha ricevuto dal Padre cose nascoste ai dotti e ai sapienti, perché così è piaciuto a Lui (cf Lc 10,21-24).
Così vivo la mia diaconia e contribuisco per la mia parte alla pace e alla fraternità, dove gli opposti si riconciliano, "il lupo dimora con l'agnello, il vitello e il leoncello pascolano insieme, e la saggezza del Signore riempie il paese, come le acque ricoprono il mare" (cf Is 11,1-10).
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