Ricevo dall'amico don Tonino, parroco in una cittadina del nord d'Italia, questo articolo, pubblicato nel suo bollettino parrocchiale, in riferimento alle prossime elezioni politiche. Lo riporto nella convinzione che il vivere con coscienza e responsabilità la dimensione politica del nostro vivere civile corrisponda ad esercitare una "speciale" diaconia al servizio della comunità: «La politica - secondo l'espressione di Paolo VI - è una maniera esigente di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri».
4 marzo - Un appuntamento da non mancare
Ha senso per una comunità ecclesiale interrogarsi sulle elezioni politiche? La tentazione, che nasce a molti in questo momento storico, è di non credere più al valore della politica, di riversare ogni responsabilità su chi "fa politica" e di "tirarsi fuori" come dicendo "non tocca a me", "non ci posso far nulla", "tanto son tutti uguali". Eppure…
Sono rimasto colpito ancora una volta da un episodio della Scrittura: l'elezione del re Saul. Un'elezione che è tale solo nel senso originario della parola: una scelta. Il racconto (1Sam 9,1-10,1), letto in profondità, supera l'aspetto puramente "religioso" e i limiti del tempo storico. Esso conclude: «Samuele prese l'ampolla dell'olio e gliela versò sulla testa, dicendo: "Ecco, il Signore ti ha unto capo sopra il suo popolo. Tu avrai potere sul popolo del Signore…"». L'unzione, anche quando riguardava un capo politico, era il segno di una "scelta" operata non dalla persona, ma da Dio stesso. E la scelta richiamava ad un "servizio" verso il popolo: perché il popolo non apparteneva al re, ma a Dio: "il popolo del Signore". Il racconto sottolinea più volte questo rapporto del popolo con Dio: «Domani a quest'ora ti manderò un uomo della terra di Beniamino e tu lo ungerai come capo del mio popolo Israele. Egli libererà il mio popolo dalle mani dei Filistei, perché io ho guardato il mio popolo, essendo giunto fino a me il suo grido» (9,16); «Quando Samuele vide Saul, il Signore gli rivelò: "Ecco l'uomo di cui ti ho parlato; costui avrà potere sul mio popolo"» (9,17). La stessa cosa avviene con Davide: «Disse il Signore: "Alzati e ungilo: è lui!". Samuele prese il corno dell'olio e lo consacrò con l'unzione in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi» (1Sam 16,12-13). Il re acquistava un "potere" solo a nome di Dio, quel potere del "servizio" per cui il popolo era prima del re, proprio come Dio è prima di ogni autorità.
In questa luce può apparire ardito, ma non lo è, parlare della politica come "l'amore degli amori", e quindi come una "vocazione":«La risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio. (…) Il compito dell'amore politico, infatti, è quello di creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli altri amori di fiorire: l'amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di una casa e di un lavoro, l'amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri, l'amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade e ferrovie, di regole certe… La politica è perciò l'amore degli amori, che raccoglie nell'unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione» (Chiara Lubich).
Per questo «Lo Stato, visto alla luce della fraternità, rappresenta l'amore reciproco in un popolo, amore che è cresciuto e si è consolidato fino a diventare istituzione. Lo Stato è la garanzia, nel tempo, che tutti i cittadini vengano inseriti nel circuito dell'amore reciproco. Certamente lo Stato è un mezzo e non un fine: non esaurisce l'amore di un popolo, che fiorisce negli infiniti aspetti dell'esistenza delle persone e delle comunità, ma crea le condizioni perché questo amore si esprima»(Antonio Maria Baggio).
In questo senso non è il cittadino che prende valore dalla nazione, ma la nazione che prende valore dai cittadini. Non viene prima la politica e poi il diritto dei singoli; la politica è diretta a tutelare il diritto dei singoli nella comunità. L'autorità che, invece, mette a proprio servizio il popolo si capovolge in dominio e in autoritarismo.
La tentazione, di cui parlavo all'inizio, ci fa dimenticare che la polis, il popolo, siamo ciascuno di noi e, se il bene comune è il bene di tutti, tutti siamo attivamente coinvolti a costruire insieme le ragioni della convivenza possibile. Qui non si tratta della scelta di un partito o di un altro, si tratta di entrare dentro una logica che ci coinvolge tutti. Forse gli spazi che sono concessi al cittadino appaiono ridotti o mortificati: eppure si tratta di non cedere ad un immobilismo rassegnato, ma di credere che dentro ciascuno di noi è racchiuso il "potere" di costruire pezzetti di amore-servizio, che insieme danno colore nuovo al convivere sociale: non lasciando neppure venir menola possibilità, per quanto limitata sia, di discernere le tracce di questo amore-servizio nei candidati e di far la nostra parte perché vengano in luce ed in esercizio reale.
Don Tonino
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