6a domenica del Tempo Ordinario (B)
Levìtico 13,1-2.45-46 • Salmo 31 • 1 Corinzi 10,31-11,1 • Marco 1,40-45
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Appunti per l'omelia
Quando Israele è diventato «saggio» ai propri occhi, ha creduto di poter stabilire sicuramente una volta per sempre e per ogni possibile situazione che cosa fosse la volontà di Dio, e il singolo uomo ha creduto di dover difendere la vita umana non più in un popolo, e dunque preoccupato contemporaneamente della vita dell'altro, ma da sé solo, allora il dialogo della vita si è isterilito in un soliloquio autosufficiente. La Legge non era più mezzo ma dominatrice sull'uomo. L'obbedienza non era più una ricerca, ma la minuziosità di un fare.
Si arriva così all'aberrazione dell'uomo che si difende dal fratello radiandolo dalla cerchia dei suoi rapporti, in nome della legge di Dio.
Quel che risulta dalla prima lettura, è che la Legge - per mezzo della quale Israele era chiamato a cercare di interpretare la volontà di Dio per ogni suo nuovo «oggi» - vegliava a difendere la vita dell'uomo nella comunità: anche le primordiali norme di igiene e prevenzione contro le malattie, erano accolte come la voce stessa del Dio dell'alleanza che si prendeva cura della incolumità del suo popolo. Giacché la vita del popolo era originata e riposava continuamente sulla fedeltà della provvidenza di Dio, ogni gesto di vita era interpretato come obbedienza alla volontà di lui.
È a questa originaria funzione della Legge, in riferimento al dialogo vivo tra Dio e il suo popolo, che si ricollega Gesù nel suo atteggiamento verso le leggi ebraiche, compiendole e insieme, necessariamente, superandole.
Se dunque il comandamento di Dio era legge sempre in vista e in ordine alla liberazione dell'uomo nel suo più autentico essere, Israele aveva il compito di cercare ogni giorno di nuovo il modo con cui obbedire: poiché in se stessa la formulazione della legge non era nulla di assoluto, ma era storicamente condizionata. E in tal modo Israele ha di fatto vissuto l'osservanza della Legge, fino a che la sua vita è stata un dialogo vivo e comunitario con il Dio dell'alleanza, conosciuto a partire dai fatti della storia di ogni giorno.
Un uomo lebbroso si presenta a Gesù. Non è ossequiente alle leggi, ma crede disperatamente nel Dio di Gesù. Crede che lui può essere il sacerdote nuovo, vero, capace come il primitivo sacerdote di interpretare la volontà del Dio vivo, di essere mediatore della sua liberazione. Quell'uomo lebbroso è, contro la legge, obbediente alla fede. Là dove l'uomo da sé non potrebbe che respingere, disgustato e pauroso di contagio, l'altro uomo alienato dal peccato e dal male (cf. prima lettura), l'atteggiamento di Dio è totalmente diverso: la verità dell'uomo, posta senza difese dinanzi alla verità di Dio, si trasforma - nonostante tutto - in canto beato di liberazione: «Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall'angoscia»; «Un grande profeta è sorto tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo», si canta al salmo responsoriale e al vangelo.
Uno di questi impuri infrange le restrizioni impostegli dalla legge e viene da Gesù, supplicandolo in ginocchio: «Se vuoi, puoi guarirmi». Gesù «ebbe compassione di lui, tese la mano, lo,toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato!».
Avviene un fatto inaudito: Gesù osa toccare il lebbroso, e così agli occhi di tutti fatalmente è considerato lebbroso anche lui.
Gesù, prima di tutto assume su di sé la drammatica condizione dell'uomo: «Non ha apparenza né bellezza... per le sue piaghe siamo stati guariti», si legge in Isaia nel carme del "Servo di Jahveh". Il servo del Signore diventa "lebbroso" (piagato) per noi!
Ma subito dopo, lo ammonisce severamente e lo caccia via, intimandogli di non dire niente a nessuno. Perché questo atteggiamento di Gesù così contrastante con la commozione viscerale? Si potrebbe ipotizzare che la compassione che aveva portato Gesù a compiere il miracolo era un misto di compassione e di ira per la miserevole condizione nella quale era costretto a vivere il lebbroso. L'eccitazione che prende Gesù subito dopo il miracolo (oltre all'aver restituito l'uomo ad un consesso umano e liturgico) si rivolge verso coloro che lo avevano condannato.
Ma il lebbroso non tace e fa tale pubblicità della sua guarigione da trasformare paradossalmente Gesù quasi in un lebbroso; perché è lui adesso a non poter più entrare pubblicamente in una città e a dover stare fuori in luoghi deserti. Si direbbe che l'evangelista senta gusto nel mostrare come veramente Gesù facesse ogni sforzo per presentarsi a tutti nell'umiltà del "Servo di Jahveh" e tuttavia c'era in lui tale virtù di Spirito Santo che difficilmente il mistero della sua persona potava restare nascosto per intero, giacché qualcosa di lui traspariva sempre, nonostante tutto.
(spunti da Lectio: Abbazia Santa Maria di Pulsano)
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Vedi anche:
Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù lo toccò... e subito la lebbra scomparve da lui (Mc 41.42)
(vai al testo…)
Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
• Lo voglio, sii purificato! (Mc 1,41) - (15/02/2015)
(vai al testo…)
• Se vuoi, puoi purificarmi (Mc 1,40) - (12/02/2012)
( vai al testo…)
• Se vuoi, puoi purificarmi (Mc 1,40) - (13/02/2009)
(vai al post "Aver compassione")
Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
• Una parola “antica” capace di incantare (14/02/2015)
• La compassione di Dio (10/02/2012)
Commenti alla Parola:
• di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 1.2018)
• di Luigi Vari (VP 2.2015)
• di Marinella Perroni (VP 2.2012)
• di Claudio Arletti (VP 1.2009)
• di Enzo Bianchi
• di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
• di Letture Patristiche della Domenica
(Illustrazione di Stefano Pachì)
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