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mercoledì 26 luglio 2017

L'adolescenza dei diaconi



Dal Foglio di collegamento fra i diaconi, i candidati e gli aspiranti della Diocesi di Milano del Luglio 2017, Camminiamo insieme, riporto questo l'articolo del diacono Antonio Faticati. È una riflessione-commento su quanto papa Francesco ha detto ai diaconi durante la sua visita a Milano del 25 marzo 2017.
A questo proposito rimando al mio intervento del 27 marzo 2017, Custodi del servizio nella Chiesa, dove riporto l'intervanto di Francesco in risposta alla domanda che il diacono Robero Crespi gli ha rivolto.


Qui di seguito l'articolo di Antonio Faticati su Camminiamo insieme.

L'adolescenza dei diaconi

Scrivo queste righe subito dopo l'incontro di maggio dei diaconi di Zona V dedicato all'intervento del papa in Duomo il 25 marzo scorso e sull'onda dei pensieri che le riflessioni emerse e le testimonianze ascoltate mi hanno scatenato. In particolare, ho subito pensato a quanto detto recentemente dal cardinale Scola durante i lavori del Consiglio pastorale diocesano dedicato alla visita del papa: "Attenzione perché il liquido prende sempre la forma del contenitore". Intendeva dire, il cardinale, che uno dei maggiori rischi che abbiamo e quello di comprendere le parole del papa partendo dalla nostra sensibilità, dalla nostra esperienza, dal nostro modo di essere. Per esorcizzare un tale rischio, suggeriva il nostro Vescovo, occorre che le parole del papa vengano lette, rilette, meditate. Verità sacrosanta, che richiede uno sforzo analitico e non banale che intendo provare a fare.
Dunque, cosa ci ha detto il papa? Innanzitutto che non siamo preti. E che non siamo laici. E che non siamo neppure intermediari tra preti e laici. Con buona pace, finalmente, del cosiddetto ministero della soglia.
Ma se questa è la definizione per esclusione, quale sarà mai la definizione del diacono per positività? L'espressione del papa è quella di "custodi del servizio":
Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all'Altare, il servizio ai Poveri. E la vostra missione, la missione del diacono, e il suo contributo consistono in questo: nel ricordare ti tutti noi che la fede, nelle sue diverse espressioni - la liturgia comunitaria, la preghiera personale, le diverse forme di carità - e nei suoi vari stati di vita - laicale, clericale, familiare - possiede un'essenziale dimensione di servizio. Il servizio a Dio e ai fratelli. E quanta strada c'è da fare in questo senso! Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa.
Come oramai sappiamo da tempo, la caratteristica del papa è quella di invitare ad avviare processi. Questo si caratterizza con espressioni "imperfette", ovvero espressioni che richiedono pensiero, riflessione, discernimento. È successo lo stesso anche in Duomo a Milano: non vi è una indicazione precisa e determinata di un incarico da ricoprire all'interno della Chiesa. Però vi è l'indicazione di come qualsiasi incarico vada svolto: custodendo il servizio e dimostrando come la fede, in ogni sua espressione nella vita quotidiana, ha come sua dimensione il servizio.
Già, verrebbe da dire, bello. Ma che vuol dire? Come farlo? Qual è il modello? A chi ci riferiamo?
È noto a tutti che si cresce per imitazione: il figlio guarda i genitori o qualcuno che viene scelto per modello. Poi viene la fase della preadolescenza e dell'adolescenza dove per potersi costruire occorre prendere le distanze dal quel modello.
Ma, verrebbe da chiedersi: l'adolescenza dei diaconi è cominciata? O siamo ancora assorbiti dall'imitazione dell'altro modello di ministro ordinato che oggi la Chiesa ci propone, il sacerdote?
Ascoltando qualche confratello impegnato in parrocchia il dubbio che questo percorso sia di là da venire è molto forte: nel migliore dei casi i diaconi sono chiamati a sostituire le funzioni di sacerdoti che per prosciugamento vocazionale non ci sono più, fino a diventare facenti funzioni di parroci o di riferimento parrocchiali. Un'esperienza, questa, che e molto più intensa in altre regioni e che prelude a un rischio concreto: un giorno serviranno uomini di provata fede che possano anche consacrare pane e vino. I primi candidati saranno proprio quei diaconi impegnati già oggi a fare le funzioni del sacerdote. E questa sarà la fine del diaconato.
Nel peggiore dei casi, invece, l'attenzione e la lamentela sono focalizzati sugli spazi che il sacerdote non concede: attività, omelie, battesimi.
Davvero, mi pare che dal modello sacerdotale occorra prendere le distanze rapidamente e in modo radicale, per non creare confusioni, innanzitutto a noi stessi. Per non generare dubbi sui fedeli. Per costruire una identità ministeriale che sia autonoma ed evidente a chiunque. In questo senso lo sforzo di inviare i diaconi fuori dalle parrocchie è fondamentale, anche se poi occorre fare attenzione a che non vi siano sovrapposizioni con il sacerdote. Può senz'altro esistere una configurazione gerarchica ma sembra difficile immaginare un partenariato sacerdote/diacono in qualsiasi attività di servizio: questo genera confusione e rende vuota l'affermazione del papa sul nostro carisma specifico.
Forse non è neppure detto che questa testimonianza alla dimensione del servizio debba necessariamente avvenire in contesti già organizzati. Forse si potrebbe anche cominciare a pensare a ipotizzare nuovi e diversi modi con cui la Chiesa si fa presente agli altri attraverso i diaconi. Magari superando anche la questione dell'ambito familiare, dove il rischio è quello di finire come icone di quanti con pazienza sopportano le suocere, e del lavoro, che e molto cambiato dalle esperienze dei preti operai ma sembra che facciamo fatica a rendercene conto.
Soprattutto però mi pare che sia davvero arrivato il momento di esercitare in modo più intenso il pensiero sul nostro ministero, avendo il coraggio di prendere in mano anche in modo autonomo lo scambio di riflessioni sul nostro essere diaconi evitando il rischio di frammentazione e isolamenti. Insomma, forse è il momento di entrare nella nostra adolescenza…

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