1a domenica di Avvento (B)
• Isaia 63,16-17.19;64,1-7 • Sal 79 • 1 Corinzi 1,3-9 • Marco 13,33-37
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Appunti per l'omelia
Ogni domenica proclamiamo nel Credo: «La risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». Il momento che attendiamo è quello della seconda venuta di Gesù: una nuova dimensione, aldilà del tempo, quando tutto si riunificherà e ci saranno cieli nuovi e terre nuove. Per ciascuno l'ingresso in questa nuova dimensione coincide con la conclusione del cammino nella storia: l'ora della morte o, come dicevano i primi cristiani, l'ora della "rinascita".
Parlare di "quel momento" sembra terribilmente di cattivo gusto, come se si trattasse di profezia di sventura o di antiquate prediche sulla "buona morte". O forse si ha l'idea che pensare all'aldilà ci impedisca l'impegno umano nelle cose terrene. In realtà, "quel momento" è presente in ogni istante della nostra vita: non prenderne coscienza, significa falsare l'esistenza.
Ma c'è qualcosa di più: Gesù ci invita a mantenere il desiderio dell'incontro faccia a faccia con Lui. «Vegliate»: possiamo attendere quell'incontro come un'innamorata attende l'innamorato o una mamma il ritorno del figlio. Il rischio è di riempire la vita di mille cose da fare, privilegiando le cose sulla "persona" da incontrare.
«Ciascuno secondo il suo compito». Vegliare non è solo aspettare: è cominciare a vivere come vivremo in "paradiso" («come in cielo così in terra»), sullo stile del cammino storico di Gesù. Il confronto con il Vangelo, personale e comunitario, ci porta a scoprire il lavoro e gli impegni come volontà del Padre e amore al prossimo, a crescere nella comunione e nella condivisione dei beni con gli altri.
«Non sapete quando ritornerà». Proprio perché chiamati ad anticipare il "paradiso", proviamo a parlare come fosse l'ultimo discorso che teniamo, a lavorare come fosse l'ultima azione che facciamo, a soffrire come fosse l'ultima sofferenza che abbiamo da offrire, a pregare come fosse l'ultima occasione in terra di parlare con il Padre o con Gesù.
Vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, allora, non diventa più una finzione, soprattutto perché, dato che "quel momento" ci sarà, poco importa se avverrà oggi o fra cinquant'anni. Il tempo che ci rimane è appunto un tempo "che rimane": un tempo finito, che ha l'impronta di preparazione, di attesa, di vigilanza, di desiderio, come detto sopra. Molte cose perdono valore e altre ne acquistano: ci rendiamo conto che rimane solo la carità, l'amore vero.
"Fammi parlare sempre come fosse l'ultima parola che dico;
fammi agire sempre come fosse l'ultima azione che faccio:
fammi soffrire sempre come fosse l'ultima sofferenza che ho da offrirti;
fammi pregare sempre come fosse l'ultima possibilità
che ho qui in terra per parlare con Te"
(da un canto)
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Vedi anche:
Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Vegliate, perché non sapete quando è il momento (Mc 13,33)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)
Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (27/11/2011)
Aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo (1Cor 1,7)
(vai al testo)
Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
L'attesa vigilante (25/11/2011)
Commenti alla Parola:
• di Luigi Vari (VP 2014)
• di Marinella Perroni (VP 2011)
• di Claudio Arletti (VP 2008)
• di Enzo Bianchi
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