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mercoledì 25 gennaio 2012

La diversità, dono reciproco



Conversione di san Paolo

"Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Cor 9,22).
Nel celebrare oggi la festa della Conversione di san Paolo, al termine della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, mi sono preso questo motto "farsi tutto a tutti", perché mi illumina sul modo di affondare e vivere il nostro rapporto con i cristiani di altre tradizioni.
Ho vissuto, in questa settimana, momenti di forte condivisione con i fratelli di altre chiese cristiane nella preghiera comune; ho pregato, assieme alla mia comunità, per il dono dell'unità; ho avuto modo di ascoltare diversi interventi sull'ecumenismo…
E mi sono chiesto: come vivere con frutto la grazia di questo momento?
Ho notato diverse posizioni, da chi, con verità, mette in risalto l'identità cattolica per il timore di livellare tutto, a chi guarda più ai rapporti con gli altri fratelli cristiani in un'amicizia che forse non ti soddisfa appieno, ma è piena di speranza…
È vero, il dialogo è fatto di un "andare" e un "venire", di un sapersi ascoltare ed accogliere nelle rispettive diversità.
L'impostazione, a senso unico, dell'identità cattolica potrebbe, a mio avviso, rischiare di metterci in una posizione di non saper ascoltare e conoscere fino in fondo l'altro.
Certo, per amare una persona devo conoscerla; per accoglierla devo "aprire la porta"…
Penso che questo non implichi una diminuzione della propria identità (a meno che non sia una difesa nei confronti della propria debolezza testimoniale), semmai mi spinge a "farmi uno" con l'altro… e la "conquista", di cui parla Paolo, è l'accoglienza reciproca di Gesù.
Lo "svuotarsi" del Figlio di Dio per "farsi servo di tutti" è modello per ciascuno di noi; Lui che non ha mai perso la sua identità (forse ha cercato spesso di nasconderla)!
Mi passano per la mente alcune scene (con i loro limiti, evidentemente) che mi possono aiutare a capire meglio tutto questo: l'incontro tra chi "vede bene" ed uno a cui potrebbe far difetto la vista; oppure tra chi ha difficoltà di deambulazione con chi cammina diritto.
Certo, il "farsi tutto a tutti" comporta non umiliare chi, secondo noi (e forse anche a ragione) non vede bene o cammina male, ma piuttosto farsi carico della sua cecità perché lui possa vedere con i miei occhi o camminare accompagnato dalle mie gambe robuste. È ovvio che per agire così occorrano reciproca fiducia e somma umiltà, sull'esempio di Gesù!
Al di là di ogni metafora, ritengo che fare esperienza dell'unità significhi accogliere in pienezza ciò che ci unisce ed accettare la diversità per scoprire in essa un dono reciproco, che ci arricchisce e ci porta, con speranza, verso mete non ancora esplorate.

(Icona: Pietro e Andrea, abbraccio ecumenico)



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