A margine della Giornata mondiale del malato, celebrata l'11 febbraio scorso, rileggo un articolo di Filippo Urso, apparso sul n° 2/2012 di Vita pastorale (le citazioni sono riprese da quell'articolo).
Il tema della Giornata verte sui sacramenti della guarigione ed il testo biblico scelto è quello della guarigione dei dieci lebbrosi (Lc 17,11-19).
Gesù, il Maestro, ci indica il modo per rapportarci, secondo il cuore di Dio, con ogni situazione di malattia e di sofferenza, luogo di quella diaconia dove è possibile fare esperienza della misericordia del Padre: incontro dove chi è guarito, è, per la fede, soprattutto salvato; e, per chi si pone con amore di fronte a chi soffre, occasione di essere presenza misericordiosa di Cristo.
Nel racconto di Luca si racconta che "tutti furono guariti, ma uno solo, il samaritano, che con gratitudine lodò Dio, fu salvato in virtù della sua fede".
Il comportamento di Gesù è modello per ogni nostro operare: "in una terra ai margini della comunità", "vicino ai lontani".
"Gesù di proposito cammina in una terra ai margini della Giudea, in un luogo abitato da gentili e samaritani, da gente, cioè, esclusa dalla comunità giudaica e alla quale appartengono anche i dieci lebbrosi". È tipico di Gesù: "andare verso esperienze e percorsi umani sconosciuti. La malattia è un'esperienza di questo tipo e proprio questa Gesù viene ad attraversare in ogni uomo ferito nel corpo e nello spirito, perché colui che soffre possa fare esperienza della sua salvezza.
Gesù vuole farsi partecipe della storia degli uomini, condividere la loro vita, avere compassione delle loro infermità, essere provato in ogni cosa a somiglianza loro, escluso il peccato (cf Eb 4,15), camminare insieme con coloro che, come i discepoli di Emmaus, sono delusi nelle loro speranze". Così i dieci lebbrosi, "offesi nel corpo e nello spirito".
"La malattia è sempre una esperienza di limite e spesso anche di marginalità. È esperienza di solitudine e alle volte di esclusione, perché non si è in grado di fare ciò che si faceva prima e si è messi da parte. Persino viene esorcizzata, pur di tenerla a debita distanza. Eppure Gesù anche se talvolta l'uomo sofferente si ferma lontano da lui, entra dentro queste esperienze, vi passa attraverso, le raggiunge e le visita con la grazia della sua presenza nei sacramenti di guarigione".
"I lebbrosi, dopo aver pregato Gesù, si abbandonano fiduciosamente alle sue parole… e di conseguenza vengono risanati mentre sono ancora in cammino… Solo uno, vedendo che era stato guarito, tornò indietro lodando Dio. Era uno straniero, un samaritano". "Il suo non è un semplice cambiamento di direzione, ma il risultato di uno stravolgimento interiore: è stato visitato dalla grazia di Dio e raggiunto dal suo amore; relazionandosi in modo nuovo con Dio ha trasformato la malattia in benedizione, la lontananza da lui in un più profondo rapporto di confidenza. Per questo torna indietro e sente il bisogno di ringraziare".
"Gesù non rimane indifferente davanti al comportamento di coloro che sono andati via e del samaritano che, invece, torna dando gloria e ringraziando".
"Gesù alla fine dice al samaritano: «Alzati e va'!»… Il verbo risorgere, acquista il significato di cammino secondo una vita nuova da risorto dopo la morte. La fede del samaritano, prima espressa come glorificazione a Dio e rendimento di grazie a Gesù, ora è apportatrice di salvezza: «La tua fede ti ha salvato!». Tutti furono sanati, ma uno solo fu salvato per una fede grata che gli ha fatto incontrare Dio e cominciare una vita nuova da risorto".
"Nell'incontro con Dio mediante i sacramenti – vissuti con fede e amore – la malattia è trasformata e la sofferenza diventa offerta e occasione di maggior comunione con Dio. È poi il ringraziamento che permette ai doni di Dio di produrre i suoi frutti, primo fra tutti la salvezza. Non si può avere una relazione personale con Dio – anche nella malattia – senza il rendimento di grazie, per ogni grazia ricevuta da Dio".
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