Davanti alla situazione attuale di una Italia in cui si fa fatica a dialogare, l'editoriale di mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), apparso su Avvenire del 15 agosto scorso, mi ha riportato a quanto altre volte ho scritto su questo blog riguardo alla rivitalizzazione dei cristiani che cercano di essere presenti nel vivere comune.
È l'attuazione di quella diaconia che dà sapore al nostro appartenere alla comunità degli uomini, è quel sale evangelico che i cristiani sono chiamati ad essere, prima di tutto (e soprattutto) con la propria vita e testimonianza.
Mons. Crociata parla di "persone rinnovate", prima che di programmi. E si chiede “come uscire da tale situazione" e da un certo "andazzo che rimpicciolisce il nostro cielo, rendendo irrespirabile la convivenza".
"Bisognerebbe innanzitutto intendere l’indole spirituale del malessere che ci affligge: siamo poveri di idealità, di pensiero, di orizzonti, di speranza”.
"Ci ricorda Benedetto XVI: «Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune»".
La comunità cristiana è pienamente tale se è il luogo privilegiato di questa porzione di umanità rinnovata, in cui si attua quella diaconia, quel servizio reciproco che è carità che porta all'unità.
"Dobbiamo imparare a scrutare - conclude mons. Crociata nel suo editoriale - ciò che avviene nel tessuto molecolare di una società che custodisce riserve e fermenti di comunione, e spesso sente il bisogno di proteggersi dal chiasso superficiale e dalla dispersione caratteristica della spettacolarizzazione di massa. In quei fermenti troviamo, insieme a un segno di speranza, l’invito a coltivare l’arte di rientrare in se stessi e scoprire inedite possibilità di incontro e di alleanza per trasformare dal di dentro una società che appare a volte insensata".
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