"Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto". Così dal vangelo della festa odierna del martire san Lorenzo, diacono della chiesa di Roma. Sant'Agostino lo chiama "ministro del sangue di Cristo" e "per il nome di Cristo versò il suo sangue".
La diaconia a cui siamo chiamati porta il frutto che Dio vuole solo se effettivamente è testimonianza di quel dare la vita, che è l'essenza della vera carità.
Se nel mio servizio pastorale riscontro questa mancanza di frutti, se la presenza del diacono nella comunità ecclesiale è spesso relegata a funzioni marginali non significative del sacramento ricevuto, è forse il caso di chiedersi se personalmente e come comunità diaconale siamo veramente "ministri del sangue di Cristo" e il nostro "dare la vita" frutta nella comunità quella vita che trova nella reciprocità dell'amore la sua massima espressione.
Ma, scrive Chiara Lubich nel suo libro L'Arte di amare, "l'amore reciproco, così come Gesù lo chiede, comporta un vero martirio. Esso infatti domanda di amarci tra noi fino al punto di essere pronti a morire l'uno per l'altro. E questo è martirio, un martirio bianco, se vogliamo, ma vero, perché domanda la vita. È un martirio quotidiano, anzi, di momento per momento. Forse, nonostante tutta la nostra buona volontà, non l'abbiamo vissuto proprio così. Ma solo in tal modo siamo veri cristiani, raggiungiamo la perfezione, appunto come i martiri; e con essa l'unione con Dio, la presenza piena di Cristo in noi".
Quando si fa questa esperienza, sia pur minima, si coglie tutta la potenza dell'amore di Dio e con esso quella "pazienza" che ti fa "perseverare fino alla fine".
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