"Incontrare Cristo è l'unica meta", scrive Giuseppe Bellia nel suo intervento (Il diaconato: discernimento, formazione e stati di vita) al Convegno nazionale dell'agosto scorso e di cui sono stati pubblicati gli Atti nell'ultimo numero del 2009 della rivista Il diaconato in Italia.
I passi che riporto sono un semplice mettere a fuoco, in questi giorni, la dimensione più vera del nostro servizio diaconale. Si parla, nell'articolo, di come "un ministro della parola, restando ministro della parola, attraverso la liturgia eucaristica e la messa domenicale, diventa ministro della carità". "Allora, il discernimento (ha a che fare) con questi tre elementi: il primato della Parola, la centralità dell'eucaristia, la destinazione verso la missione e la fraternità".
E ci si chiede "Qual è il futuro di un orizzonte diaconale? …che cos'è il futuro che ci viene chiesto?... Riuscire ad indossare una dalmatica? Fare l'omelia? Fare tanto del bene?".
Sono domande serie, che (senza nasconderci dietro a un dito) ci interpellano direttamente.
"Il ministero cristiano – scrive Bellia - ci spinge a fare delle operazioni di discernimento. Si potrebbe dire con una domanda di immediata comprensione: sapete distinguere il quadro dalla cornice? Cosa è più importante il quadro o la cornice? (…) Spesso noi scambiamo la destinazione di un ministero con la sua cornice che è il luogo dove siamo messi, le cose che ci vengono chieste…
Il quadro, invece, è un altro.
Se il quadro è incontrare Cristo, ogni vocazione si decide proprio nell'incontro con Cristo. È così anche nel matrimonio cristiano. L'unità non è data dall'antropologia di base: siccome due stanno bene insieme allora c'è di mezzo il sacramento. Non è così. Per noi cristiani è al contrario: siccome i due cristiani hanno conosciuto Cristo, si uniscono in Lui: in Cristo l'uomo non può separare ciò che Dio ha congiunto. E nel caso in cui nel matrimonio solo uno dei due è radicato in Cristo, basta quel radicamento a reggere l'unione. Questo vale anche nei tre gradi dell'unico sacramento dell'ordine. La cosa più importante è incontrare Lui. (…)
Non si dà una cornice sproporzionata a un quadro grandioso ma se il quadro è meschino, se il quadro è l'autopromozione di qualcuno che umanamente aspira al diaconato perché è una rivincita, una rivalsa su sé stesso o sul proprio ambiente, a che vale la cornice? (parlo ai diaconi ma per noi preti è anche peggio, in uno degli ultimi, scritti il cardinal Martini metteva in evidenza quanto sia diventata imperante l'autocensura in vista di un'autopromozione). Il punto di riferimento nel quarto Vangelo è al capitolo 12,26: «Se uno mi vuoi servire mi segua». Il primato è dato alla sequela, non al fare qualcosa per lui, e Matteo sia alla fine del capitolo 7 delle Beatitudini, sia nel mirabile capitolo 25 presenta alcuni che hanno fatto, strafatto per Lui, che però risponde: «Andate via operatori di iniquità». Dunque c'è il rischio che si possa servire senza seguire. O che si possa servire senza avere più alcuna attesa".
Mi sono rimesso, in questo periodo di quaresima, a guardare, con occhi e cuore nuovi, a quel "Quadro" che altro non è se non la ragion d'essere del nostro essere e del nostro agire, il Signore Gesù.
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