In questi primi giorni della settimana santa ci è riproposta la figura del Servo di Jahvè, di cui parla Isaia. È come l'icona a cui il diacono deve guardare, il modello di spiritualità a cui conformarmi.
"Il modello per eccellenza – si legge nelle Norme fondamentali al n. 11 - è Cristo servo, vissuto totalmente al servizio di Dio, per il bene degli uomini. Egli si è riconosciuto nel servo del primo carme del Libro di Isaia, ha qualificato espressamente la sua azione come diaconia ed ha raccomandato ai suoi discepoli di fare altrettanto".
I vescovi italiani, nel documento del 1993, Orientamenti e norme per il diaconato permanente, scrivono: "L'ordinazione sacramentale, proprio in quanto tale, configura secondo una modalità loro specifica i diaconi a Gesù Cristo. Essi sono costituiti nella chiesa come segno vivo di Gesù, Signore e Servo di tutti. Sono consacrati e mandati al servizio della comunione ecclesiale, sotto la guida del vescovo con il suo presbiterio.
(…) Non sono ordinati per presiedere l'eucaristia, ma per sostenere in questa presidenza il vescovo e il presbiterio. Proprio attraverso questa disponibilità essi sono chiamati a esprimere, secondo la loro grazia specifica, la figura di Gesù Cristo servo, ricordando così anche ai presbiteri e ai vescovi la natura ministeriale del loro sacerdozio, e animando con essi, mediante la Parola, i sacramenti e la testimonianza della carità, quella diaconia che è vocazione di ogni discepolo di Gesù e parte essenziale del culto spirituale della chiesa" (n.7).
Guardare a Lui, che "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita", dà spessore e senso ad ogni mia azione, illumina ogni oscurità che assieme ai fratelli di fede debbo affrontare, infondendo quella forza soprannaturale che non fa venir meno la speranza.
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