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venerdì 21 giugno 2013

Riconoscere Gesù e seguirlo


12a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

«Le folle, chi dicono che io sia? … Ma voi, chi dite che io sia?».
Gesù è intento a verificare il grado di maturità nella fede che hanno raggiunto coloro che lo seguono, che vivendo con lui. E li provoca a una decisa presa di posizione nei suoi confronti (cf Lc 9,18-24). È quanto peraltro vuol fare con noi. È un dono che fa', una opportunità che offre ai discepoli per addentrarsi di più nel mistero della sua persona e scoprire la sua identità.
L'episodio narrato da Luca avviene in un contesto di preghiera: «Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui», associati alla sua preghiera.
È una costante di Luca mostrare Gesù che prega nei momenti più importanti e significativi della sua missione. Nel dialogo col Padre attinge la luce e la forza per le scelte che compie e per l'esperienza che vive. Così anche in questa circostanza.
La prima domanda che pone non è molto impegnativa, una specie di "sondaggio" di opinione: la gente cosa pensa, cosa dice di lui? Ma Gesù non è tanto interessato a sapere che cosa si pensa sul suo insegnamento, sulla sua attività, ma su di lui. Questo è decisivo per Gesù. Al centro non sta il suo annuncio, ma la sua persona: "Chi sono io secondo la gente?". E la gente manifesta un'alta opinione su Gesù, anche se nutre una grande stima per lui. Ma dimostra di non aver colto la sua posizione singolare, la sua novità e originalità e lo colloca tra i grandi personaggi della storia religiosa di Israele. Uno dei tanti "grandi", ma non l'unico.
A questo punto Gesù imprime una svolta inattesa al dialogo, ponendo ai discepoli una seconda domanda, che è diretta, immediata, coinvolgente: «Ma voi, chi dite che io sia?». Io chi sono per te, per ciascuno di noi, per la nostra comunità? Non si può sfuggire al carattere personale di questa domanda e alla sua forza di provocazione. Ognuno è obbligato ad interrogarsi nel proprio cuore, a non accontentarsi di qualche formula imparata a memoria e ripetuta meccanicamente, ma a cercare invece di capirne il significato profondo.
La risposta che dà Pietro a nome dell'intero gruppo è una stupenda confessione di fede sull'identità di Gesù: «Il Cristo di Dio», l'unico, ultimo e definitivo Re e Pastore del popolo d'Israele, l'inviato da Dio per dare a questo popolo e a tutta l'umanità la pienezza della vita. L'unico necessario, di cui tutti hanno bisogno. Pietro, e con lui i suoi compagni, riconosce che Gesù ha con Dio un rapporto unico e originalissimo che mai nessun uomo della storia ha avuto e avrà. Riconosce anche, di conseguenza, che quanto Gesù ha compiuto e compie in favore degli uomini nessun uomo della storia è in grado di fare.
Nelle parole di Pietro si esprime e risuona la fede della Chiesa di tutti i tempi. Fede che Pietro e i suoi successori hanno l'incarico di custodire e proclamare integra e sempre nuova. Quella di Pietro non è appunto una semplice dichiarazione, ma una scelta entusiasta, un impegno deciso a seguire Gesù, un vero atto di fede.
Certo, riconoscendolo Messia, Pietro e compagni pensavano al liberatore politico e militare che con la forza di Dio avrebbe vinto tutti gli oppressori del suo popolo. Ma Gesù imprime una svolta alla sua opera educativa: «Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto… venire ucciso». Un tragico destino lo attende. Sa bene che le sue scelte in favore dei peccatori e degli ultimi, il suo stile di vita libero da ogni forma di legalismo ma tutto incentrato nell'amore, provocano l'opposizione e la resistenza da parte dei responsabili d'Israele. Sa di avere molti nemici, che cercano di eliminarlo e che presto o tardi ci riusciranno. Gesù intravede il fallimento umano della sua missione…
Tutto questo però non è legato a un destino cieco e crudele e non è neppure soltanto la conseguenza "logica" del suo comportamento contro corrente. Indica piuttosto (ed il verbo «deve», che ricorre spesso sulle labbra di Gesù, lo precisa) il disegno di Dio, misterioso e insindacabile che deve compiersi nella storia. Un disegno d'amore che si attua attraverso vie e modi non conformi alla logica umana, ma in stridente contrasto con essa. Ma questo piano divino non riguarda soltanto la sconfitta umiliante del Messia, ma anche la sua suprema glorificazione: «deve… risorgere il terzo giorno».
Accettare il Messia crocifisso, «guardare» nella fede «a colui che hanno trafitto» (Zc 12,10) è essenziale all'esperienza cristiana.
Ma questa fede cosa implica nella vita concreta? «A tutti diceva» (quindi anche a noi oggi): "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso…"». Ad essere pronto a spostare ogni visione personale della vita e a mettere da parte se stesso per porre al centro Gesù e il suo progetto di vita. «Prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Seguendo il Maestro nella stessa sorte.
Il discepolo, che aderisce con tutto se stesso a Gesù, non può non mettere in conto una simile prospettiva, il martirio.
«Ogni giorno»: le esigenze radicali di Gesù vanno vissute nel quotidiano. Ciò non significa che tali esigenze siano private della loro radicalità, ma che nella vita quotidiana si possono e si devono fare scelte radicali. Ogni giorno l'amore e la fedeltà a Cristo possono richiedere tagli, rinunce, sacrifici che procurano sofferenza. Ogni giorno sono chiamato a «prendere la croce» dietro a Gesù, perché la vita - aggiunge Gesù - si salva perdendola, cioè donandola per amore. E ciò non avviene una sola volta con la morte fisica, ma ogni giorno: in ogni gesto quotidiano la vita può essere donata goccia a goccia.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Tu sei il Cristo di Dio (Lc 9,20)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


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