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venuto per servire
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sabato 5 aprile 2008

Essere e servire (1)


Con “Essere e servire” voglio tradurre le parole “Stare in piedi davanti al Signore e servirLo” (Astare coram te et tibi ministrare).
Mi riferisco all’omelia che Benedetto XVI ha pronunciato Giovedì Santo (20 marzo 2008) in occasione della messa crismale.
L’ho fatta oggetto della mia meditazione.
Il Papa si rivolge ai sacerdoti, ma non sbaglio se, quanto detto a loro, lo applico anche a me, diacono, intimamente legato al sacerdozio del vescovo e a servizio del collegio dei presbiteri.
Anche noi diaconi abbiamo detto il nostro “Eccomi”, anche a noi, che “sull’altare saremo messi a contatto con il corpo e il sangue di Cristo”, abbiamo promesso di “conformare a Lui tutta la nostra vita”…
(Sarebbe interessante approfondire il rapporto tra presbiteri e diaconi all’interno del ministero ordinato).

Stare in piedi” indica “vigilanza”, “essere uno che vigila”: “tenere sveglio il mondo per Dio”, stare in piedi “diritto di fronte alle correnti del tempo. Diritto nella verità”. “Lo stare davanti al Signore deve essere sempre, nel più profondo, anche un farsi carico degli uomini presso il Signore che, a sua volta, si fa carico di tutti noi presso il Padre”. “Farsi carico di Lui, disposti ad incassare per il Signore anche oltraggi”.
Il diacono non è forse “l’occhio e l’orecchio del vescovo” che vede e ascolta i bisogni della comunità, del mondo e diventa tramite di grazia? E questo implica vigilanza!
È dell’amore vigilare… C’è una meditazione di Chiara Lubich al riguardo che voglio riportare:
«“Vigilate…” (cf Lc 12,35). Il vangelo parla di vigilare con i fianchi cinti e la lanterna accesa e promette al servo vigilante che il padrone, all’arrivo, si cingerà e lo servirà. Solo l’amore vigila. È dell’amore vigilare. Quando si ama una persona, il cuore vigila sempre attendendola, e ogni minuto che passa senza di lei è in funzione di lei e si trascorre vigilando. Gesù vuole l’amore: per questo domanda di vigilare. (…)».

Se lo stare in piedi davanti al Signore è l’atteggiamento tipicamente liturgico, significa che devo “dare corpo” a questo mio “essere” nelle situazioni concrete della vita, dove il Signore si fa trovare ed è presente: nei fratelli che sono chiamato a servire, offrendo il mio “corpo come sacrificio spirituale”; riversando la grazia dell’Eucaristia nel cuore e nella vita delle persone, fuori del tempio, nel mondo, che è diventato il “mio tempio”.
Anche per il diacono, come per il sacerdote, l’Eucaristia è il “centro della sua vita”!

2 commenti:

  1. Caro Luigi, per servire occorre "essere" e per "essere" c'è un metodo sicuro: imitare Cristo, servo dei servi.
    Un messaggio in piena contraddizione con il mondo e mai come oggi con "questo mondo". Le sirene del successo, del potere, del denaro suonano melodie graziose all'orecchio dell'uomo ma subito dopo c'è l'inganno più profondo, la delusione più scottante, il dolore più intenso. Riscoprire e imitare Cristo è veramente l'unica strada per il vero "successo della vita". Fraterni saluti Vincenzo

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  2. Hai ragione, Vincenzo: è proprio vero che per "servire" veramente bisogna imitare Cristo. Il colmo, nella "vuotezza" di questo mondo, è che per "essere" bisogna "non-essere"!
    In fraternità, Luigi

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